Un giro di corruzione da miliardi di euro per i preparativi di Euro 2012. È quanto denuncia la leader dell’opposizione ucraina, Iulia Timoshenko, che avrebbe inviato al Gruppo di azione finanziaria contro il riciclaggio di capitali (Gafi) dei documenti che proverebbero l’avvenuto pagamento di tangenti. «Il 25 maggio – spiega il deputato dell’opposizione, Ostap Semerak – un altro fascicolo di documenti sugli scandali della corruzione legata a Euro 2012 è stato mandato al Gafi». A detta del parlamentare, citato dall’agenzia Interfax, l’Ucraina avrebbe speso circa 8 miliardi di euro per i preparativi degli Europei, cioè «dieci volte quanto pianificato nel 2007 e il 30-40% di questa cifra sarebbe stato speso in corruzione».



Il Gafi, una task force creata nel 1989 che permette a ogni Paese membro di accedere in tempo reale a informazioni su fondi neri e finanziamento del terrorismo, contemplava l’Ucraina nella sua “lista nera” tra il 2002 e il 2004. L’ex repubblica sovietica è stata nuovamente inserita nell’elenco nel 2010 perché accusata di non combattere efficacemente il riciclaggio di denaro sporco, ma nell’ottobre scorso, guarda caso, è stata di nuovo depennata. Sarà vero? Una cosa è certa: al netto della corruzione, gli Europei di calcio rischiano di tramutarsi nella rovina definitiva dell’Ucraina, esattamente come le Olimpiadi greche del 2004 rappresentarono l’inizio del default per il Paese ellenico.



Qualche numero: al netto di investimenti per 13,4 miliardi di dollari, dalle casse dello Stato ne sono già usciti 6,6. Certo, l’idea come sempre è quella di investire oggi per raccogliere i frutti domani, ovvero tramutarsi grazie alla dinamo degli Europei in una meta turistica e di investimento. Peccato che siano gli stessi analisti a bocciare questa previsione, sottolineando l’azzardo di un investimento di questa portata per un Paese che quest’anno va incontro a scadenze obbligazionarie per 11,9 miliardi di dollari, 5,3 dei quali denominati in valute estere.

Solo tra pochi giorni e in concomitanza con il calcio d’inizio del torneo, Kiev dovrà ripagare 2 miliardi di dollari per un prestito alla russa VTB Capital e far fronte a maturazioni su bonds denominati in euro per 500 milioni di dollari. Bisogna poi ricordare che Kiev ha fallito nei negoziati per ottenere una nuova linea di credito da parte del Fmi e che da oltre un anno è incapace di emettere debito sui mercati, a fronte di un’impennata dello stesso in vista delle elezioni parlamentari di ottobre. Per Andriy Kolpakov, managing partner della Da Vinci Ag citato dalla Reuters, «l’Ucraina non otterrà alcuna entrata finanziaria o significativo impatto economico dagli Europei e anche ogni possibile miglioramento della propria immagine andrà a scontrarsi con le divisioni politiche interne e le reazioni negative dell’Unione europea». E un primo colpo alle aspettative di Kiev è giunto con le molte cancellazioni o la drastica riduzione dei giorni di permanenza da parte di tifosi stranieri, spaventati dall’aumento vertiginoso e fuori controllo dei costi degli alberghi.



I conti, poi, appaiono nebulosi. Se infatti dalle casse statali sono usciti per gli Europei 6,6 miliardi di dollari, il conto sale a 13,4 miliardi includendo il contributo di aziende di Stato e investitori privati. Senza troppi giri di parole, Erik Nayman della Capital Times, sempre interpellato dalla Reuters, ha dichiarato che «il contributo statale agli Europei andrà a incidere sul debito e si trasformerà in un costo che i contribuenti ucraini dovranno pagare per molti anni». Analisti alla già citata Da Vinci AG prevedono che le perdite finanziarie generate dall’organizzazione del torneo saranno in totale tra i 6 e gli 8 miliardi di dollari, a fronte di un ingresso di capitali esteri nel Paese che la Banca nazionale di Ucraina valuta di 1 miliardo di dollari per hotel, ristoranti e souvenir: la stessa Da Vinci AG valuta quel numero sovrastimato e parla al massimo di 800 milioni.

E se le autorità ucraine fanno spallucce, ricordando come molte opere in preparazione sarebbero state comunque necessarie per il Paese – vedi infrastrutture per i trasporti e aeroporti di livello internazionale -, per Alexander Valchishen della Investment Capital Ukraine, «non c’è affatto una correlazione così diretta, gli investimenti esteri diretti aumentano soltanto se si migliora il clima per chi deve investire, ad esempio garantendo meno burocrazia». E ancora: «Nonostante anni di preparazione, non è stata affatto creata una decente rete infrastrutturale e di facilities per i turisti, affinché questi tornino ancora in Ucraina per le vacanze. A Kiev possono scordarsi un aumento netto dell’afflusso di cittadini occidentali in futuro».

I numeri, poi, parlano da soli: gli investimenti esteri l’anno scorso erano in discesa a 4,6 miliardi di dollari, dai 4,7 del 2010 e dagli 8 del 2005, quando si affacciò alla platea occidentale la cosiddetta “rivoluzione arancione”. Di più, sempre alla Capital Times fanno notare che questi Europei si sostanzieranno in un ulteriore carico di debito sul budget, visto che «assumendo un 12% di interesse annuo, significa che 10 miliardi di grivnie (circa 800 milioni di euro) del budget nazionale ogni anno andranno solo per pagare gli interessi. Detto questo, restano poi le necessità di rifinanziare il debito. A oggi, circa metà del debito corrente interno emesso in bonds – qualcosa tra gli 80 e i 90 miliardi di grivnie – può essere collegato alla spesa governativa per Euro 2012».

Unite questa situazione alle decisamente poco rosee prospettive di finanziamento sui mercati di capitale e capite che il rischio immediato è quello di una pericolosa instabilità della grivnia, con speculazioni sempre più probabili. Per finire, poi, l’Ucraina potrebbe precipitare nel caos a causa del prosciugamento delle riserve in valuta estera, letteralmente crollate a inizio marzo a soli 31 miliardi di dollari, denaro sufficiente a finanziare l’importazione di beni e servizi per soli tre mesi e mezzo, ovvero proprio il periodo di inizio degli Europei.

Il problema è che con il prezzo dell’acciaio, la voce primaria su cui si basa l’economia del Paese, che continua a scendere e quello del gas da importare che continua a salire, entro poche settimane – senza un aiuto esterno, già negato dall’Fmi – la situazione potrebbe andare del tutto fuori controllo. Buoni Europei a tutti.

P.S. Nel weekend molti politici, tra cui anche il portavoce del governo francese, hanno lanciato strali contro Christine Lagarde, numero uno del Fmi, la quale si è permessa di dire che se i greci, tutti, cominciassero a pagare le tasse sarebbe già un bel passo avanti. Mancanza di rispetto? No, la verità. I greci, con un debito pubblico di 357 miliardi di euro, pari al 165% del Pil, devono allo Stato circa 37 miliardi di euro. Non sono stime sull’economia nera del Paese, ma dati certi e ufficiali sull’evasione fiscale diffusi dall’ex ministro delle Finanze, Evangelos Venizelos. Il fallimento greco ha infatti due facce: la prima quella di un sistema che vede l’80% delle spese statali destinate a salari e pensioni del settore pubblico; la seconda, meno nota ma altrettanto devastante dal punto di vista dell’equità sociale, un mancato gettito per evasione fiscale calcolata dal premier George Papandreou in 30 miliardi di euro l’anno, su un Pil di appena 280 miliardi.

La diagnosi del Brookings Institution è impietosa: c’è un’economia sommersa pari al 27% del Pil e una corruzione pari all’8%. Non solo. Secondo il Fmi «il 75% dei lavoratori autonomi greci dichiarava fino al 2010 meno di 12mila euro, limite sotto il quale scatta l’esenzione fiscale». Che colpa ha la Lagarde nell’averlo ricordato? Di più. A oggi, tra debito diretto, esposizione ai derivati e garanzie, il debito pubblico ellenico è di 1,3 triliardi di dollari, pari a una ratio debito/Pil del 421,67%! Alla faccia dello swap che doveva risolvere tutto! Di più: dopo le elezioni del 17 giugno, la Grecia dovrà tagliare altri 30 miliardi di dollari di spesa, fattispecie che causerà un calo delle entrate pari a 50 miliardi di euro e un declino del Pil a circa 160 miliardi di dollari. Sapete a quel punto dove andrà la ratio debito/Pil? A oltre il 500%!