Dopo mesi di tasse, tagli e sforbiciate varie, dopo aver sentito decantare l’equità dei provvedimenti adottati e inneggiare al sacrificio collettivo per far fronte all’angosciosa crisi che sta affondando il Paese, l’esecutivo inciampa nuovamente nel suo inflessibile cammino di austerità. Il governo è stato infatti battuto ieri in aula al Senato su quattro emendamenti presentati dall’Italia dei Valori riguardanti le cosiddette “pensioni d’oro” dei manager pubblici. E’ stata così cancellata dal decreto legge sulle commissioni bancarie, con 124 voti favorevoli (di Idv, Lega e Pdl) e 94 contrari, la norma che imponeva un contributo di solidarietà per gli stipendi dei manager pubblici oltre i 300.000 euro annui. In pratica veniva previsto un trattamento privilegiato per i dirigenti pubblici che hanno maturato i requisiti pensionistici entro il 22 dicembre del 2011, decidendo però di rimanere in attività. Il comma 2 dell’articolo 1 stabiliva infatti che il calcolo di queste pensioni venisse fatto sulla base allo stipendio percepito prima dell’entrata in vigore delle misure sul tetto agli stipendi dei manager pubblici, a condizione che questi mantenessero le stesse mansioni. IlSussidiario.net ha chiesto un commento su quanto avvenuto a Gianni Dragoni, inviato de Il Sole 24 Ore.
Cosa dimostra secondo lei la sconfitta di ieri del governo?
Dimostra certamente un aumento del solco tra il governo e la maggioranza che lo sostiene. Quello di ieri è stato senza dubbio un voto di protesta contro una norma che in pratica salvaguardava coloro che posseggono di più, in un periodo in cui invece la crisi aumenta e la manovra del governo Monti, fatta quasi solamente di tasse, colpisce soprattutto le fasce più deboli. Il governo ha sempre dichiarato di voler abolire i privilegi, ma come è ormai chiaro non è mai stato fatto.
Anche lei crede che quello di ieri sia stato un vero e proprio “scivolone” del governo?
La norma abrogata era stata innanzitutto inserita nel provvedimento tampone sulle commissioni bancarie, intervenuto per correggere una decisione del Parlamento riguardo le banche, il cui settore è stato sostanzialmente risparmiato e in qualche modo favorito dalla politica del governo e dalle mosse della Bce in Europa. Tutta una serie di passi falsi che si sarebbero dovuti evitare.
Qual era allora l’obiettivo del governo Monti, che da mesi non parla altro che di tasse, tagli e sacrifici?
Credo che la norma votata al Senato sia più che altro frutto delle lobby interne alla Pubblica Amministrazione che sono ben rappresentate anche nel governo: alcuni cosiddetti “grand commis”, quindi Alti funzionari di Stato, sono sottosegretari oppure presenti nei Gabinetti dei ministeri, quindi credo proprio che nasca tutto da una situazione di questo tipo.
Monti ha recentemente affermato che «l’Europa, sul piano della crescita, non sta facendo molto bene». Come possiamo commentare queste parole?
Questa affermazione di Monti mi ha sorpreso, perché proprio lui ci ha abituati a seguire le indicazioni europee e portarle anche nel contesto italiano. E’ particolare che Monti, nella difficoltà dell’economia italiana, con il crescente debito pubblico e con l’allontanamento dell’obiettivo del pareggio di bilancio nel 2013 e probabilmente anche nell’anno successivo, dia in qualche modo la colpa all’Europa. Credo quindi che si tratti essenzialmente di una chiara difficoltà della politica economica di questo governo.
Durante l’incontro a Roma con Monti e Fornero, il premio Nobel per l’Economia, Joseph Stiglitz, ha detto sottolineato che «nella storia, nessuna grande economia europea si è mai ripresa rapidamente solo con l’austerità. Deve essere chiaro che la situazione peggiorerà». E’ d’accordo?
In linea generale mi trovo d’accordo con questa affermazione, soprattutto perché quando l’austerità si accompagna ad un aumento delle tasse, come nel caso italiano, si arriva ancor di più alla recessione. Come hanno fatto notare anche oggi sul Corriere della Sera Francesco Giavazzi e Alberto Alesina, con cui mi trovo perfettamente d’accordo, un tentativo di curare il deficit imponendo delle tasse ma senza incidere sulla spesa non fa che alimentare la spirale recessiva che, portando al raffreddamento dell’economia e alla riduzione del Pil, crea proprio l’effetto opposto.
(Claudio Perlini)