Il “governo dei tecnici” ha scelto tre altri “tecnici”, forse dei “supertecnici”, per affrontare il problema della cosiddetta spending review. Qualcuno si aspetta che adesso venga nominato, anche un “demiurgo”,  che probabilmente potrà risolvere, dopo le inefficienze e gli errori che la spending review rivelerà nei conti dello Stato, anche i problemi della crisi, della disoccupazione, del debito, dello spread, della crescita, della pressione fiscale, della credibilità internazionale dell’Italia sui mercati. 



I tre personaggi sono indubbiamente brave persone, competenti (tanto per cambiare) e molto professionali. Si tratta di Enrico Bondi, Giuliano Amato, Francesco Giavazzi. Enrico Bondi è un grande dirigente d’azienda e si è dimostrato capace di operazioni di risanamento che erano estremamente difficili. L’operazione che Bondi ha fatto alla Parmalat è un ottimo esempio e potrebbe essere anche una garanzia. In più, Bondi aveva già affrontato altre realtà, come quella di Montedison.



Anche Francesco Giavazzi ha un curriculum di notevole spessore: ingegnere, economista del Mit, editorialista de Il Corriere della Sera, una solida formazione anglosassone, un incarico dal 1992 al 1994 come dirigente del ministero del Tesoro. Non parliamo poi di Giuliano Amato, soprannominato da sempre “dottor sottile” per la sua abilità che dovrebbe essere al contempo tecnica e politica. È una figura storica ormai della politica italiana e un personaggio che ha dettato con grande abilità, secondo alcuni, il passaggio dell’Italia dalla “prima alla seconda repubblica”. Non piace a Beppe Grillo, perché lo accosta a Bettino Craxi, anzi lo chiama sbrigativamente il “cassiere” o il “tesoriere” di Craxi. Ma non è questo il problema.



Il problema è come faranno queste tre brave persone a risolvere i problemi che hanno di fronte, in base a quello che hanno fatto in passato e alla loro formazione più tecnica che politica. Enrico Bondi si è sempre occupato di aziende private, di imprese che hanno una logica ben precisa: individuare gli errori, le inefficienze, rimetterle in condizioni tali che i proprietari e gli azionisti possano ritornare a fare i loro onesti profitti in base alle capacità produttive dell’azienda. Severo come è, Bondi è riuscito, bene o male, a salvare il salvabile da un disastro storico come quello di Parmalat, seguendo una logica che è quella di mercato. 

Ora il problema che Bondi ha di fronte è ben diverso. In quindici giorni deve fare una ricognizione e una proposta che dovrebbe essere in corso da 31 anni. La legge che ha istituito la spending review è del marzo del 1981 (governo Forlani) e, tranne due sospensioni operate da Giulio Tremonti, non ha mai portato da nessuna parte. Anche l’ultima ricognizione del Consiglio dei ministri è stata fatta per recuperare 4,5 miliardi della spesa pubblica (che si prende il 50,1% del Pil) su voci di capitolo “aggredibili” pari a 295 miliardi. Secondo altri calcoli (vedi il professor Ugo Arrigo), la spesa “aggredibile” ammonterebbe a 400 miliardi. Che cosa si può dire a Enrico Bondi in una simile situazione? Solamente fargli gli auguri, ricordando che la spending review applicata al settore pubblico ha come destinatari, al contrario di quella applicata al settore privato, altri azionisti, i politici e le tante corporazioni italiane. I loro interessi coincidono con la spesa, non con la razionalità di un bilancio di un’impresa privata.

Francesco Giavazzi ha sempre avuto una certa sensibilità politica. Da giovane universitario era un repubblicano impegnato nell’Unione goliardica italiana. Non era certo un estremista di sinistra, anzi, simpatizzava per il riformismo, parola allora quasi proibita negli anni Sessanta. Indubbiamente la cultura anglosassone lo ha radicalizzato nei suoi inni liberisti, anche se si dice sempre di sinistra. Qualcuno sostiene che, se si rileggessero i suoi articoli prima e durante la crisi dei subprime, non dovrebbe più uscire di casa. Un modo come un altro per rimproverargli la sua appassionata difesa dei derivati, ad esempio, oppure la facilità (o superficialità?) con cui giudicò l’inizio della crisi finanziaria. Citiamo solo un caso. Il 4 agosto del 2007 scriveva con il solito tono perentorio su Il Corriere della Sera: “La crisi del mercato ipotecario americano è seria, da qualche settimana ha colpito anche le Borse, ma difficilmente si trasformerà in una crisi finanziaria generalizzata”. Si potrebbe dire: alla faccia del pronostico! Ma questa citazione è solo una “perla” di una lunga “collana”.

Giavazzi dovrebbe adesso occuparsi come consigliere tecnico del “governo dei tecnici” degli aiuti alle imprese. Nel fargli gli auguri, vorremmo ricordagli che l’ossatura del sistema produttivo italiano è quella delle piccole e medie imprese che fanno un valore aggiunto pari al 53%. Vanno salvate soprattutto queste, che in genere non si occupano di finanza, ma di innovazione, di processo e di prodotto. Queste imprese hanno una capacità incredibile sul mercato globale e questo Stato non ha mai fatto nulla per loro.

Infine il “dottor sottile”, Giuliano Amato, ex psiuppino (cioè appartenente a quel partito che giudicava il revisionista comunista Giorgio Amendola un pasticcione pericoloso, quello stesso partito che approvò l’invasione dell’Urss in Cecoslovacchia), poi approdato al craxismo, come “folgorato” dalla personalità di Bettino Craxi. Il leader socialista affidava ad Amato compiti soprattutto tecnici e amministrativi. Non dava l’impressione di attribuire ad Amato grandi visioni politiche. In tutti i casi, Amato se la è sfangata bene. Pur commettendo qualche errore. C’è chi si ricorda la famosa manovra “mostruosa”, quando si rapinarono di notte i conti correnti degli italiani. Era come al solito un’emergenza, s’intende. Ma c’è chi si ricorda lo “scioglimento” di un Ente come l’Efim, dove Amato fu attaccato da tutti, persino dalla sua amata stampa anglosassone e poi criticato duramente, nel computo complessivo della stagione delle privatizzazioni all’italiana. Il professor Francesco Forte è ancora oggi stressato perché ha cercato per anni di spiegargli che “l’alta velocità” non è un costo. Sembra che alla fine anche Amato l’abbia capito. 

Amato sarà consigliere tecnico sui fondi ai partiti. Troverà delle soluzioni, certamente. Ha una capacità camaleontica che potrebbe adattarsi anche alla settima repubblica italiana. C’è solo un lato debole, quel suo camaleontismo ricorda un po’ troppo quello (fatte le debite distinzioni) di Joseph Fouché, che amava dire: “C’è un’aria di coltelli”.

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