Che sia la volta buona? La spending review e i tre supertecnici (Bondi, Amato e Giavazzi) chiamati per amministrarla, sono l’ennesimo tentativo del governo di ossequiare, prevalentemente, le richieste europee. Tra le ultimissime indicazioni da parte della Bce, in particolare, vi è quella di tagliare, e al più presto, le Province. Nel frattempo, in Sardegna, si è prodotto un fenomeno tanto inedito quanto virtuoso. Domenica 6 maggio la Regione voterà 10 referendum contro i costi della politica. Promossi dal Movimento Referendario Sardo (l’IdV, La Base Sardegna e Riformatori Sardi di Mario Segni) sostenuto dal governatore Ugo Cappellacci, quattro di questi, con potere abrogativo, chiedono di abolire le province istituite nel 1997 di Medio Campidano, Carbonia-Iglesias, Ogliastra e Olbia-Tempio. Altri quattro (questa volta consultivi) chiedono di abolire le quattro province storiche di Cagliari, Sassari, Oristano e Nuoro. «Si tratta di un segnale politico, di per sé, molto importante. Resta da vedere se, effettivamente, avranno esito positivo o meno», afferma raggiunto da ilSussidiario.net Carlo Buratti, professore di Scienza delle finanze presso la facoltà di Scienze politiche dell’Università di Padova. Il quale, nel merito, aggiunge: «L’abolizione delle Province è ragionevole laddove siano di dimensioni estremamente ridotte; le stesse che, del resto, è stato estremamente irragionevole aver deciso di creare». Oltretutto, senza che i vantaggi per i cittadini siano mai stati particolarmente evidenti. «Gran parte delle esigenze di avere distaccamenti territoriali, attribuibili tipicamente alle Province, di uffici afferenti ad alcuni organi dello Stato (come la Banca d’Italia o il Tesoro) sono state superate dai nuovi strumenti informatici. I titoli di Stato, per fare un esempio, sono stati smaterializzati».



Le conseguenze del ragionamento sono manifeste: «L’istituzione di una nuova Provincia, per lo più, ha sempre rappresentato un accentramento di potere a vantaggio della politica locale». Contestualmente, non sembra che, in linea generale, la loro abolizione rappresenti un svolta così epocale. «Certo, alcuni costi della politica legati al consiglio provinciale e alla giunta sarebbero aboliti; ma tutto il personale non si può certo licenziare, nonostante l’ipotesi avanzata da Monti che non credo si concretizzerà mai». Il risparmio monetario, d’altronde, è piuttosto contenuto.«Non ammonterebbe a più di 200-250milioni». Da dove proviene, quindi, l’insistenza della Bce? «Probabilmente, è anch’essa vittima di qualche “dogma”». 



Sia ben chiaro: qualche beneficio ci sarebbe: «Il personale sarebbe spostato presso altri uffici pubblici. Col tempo, venendo a mancare la necessità del turn over provinciale, si determinerebbe anche in tal caso un certo risparmio». Qualche cambiamento in più potrebbe esserci sul piano dell’efficienza. «Nei grandi centri, che beneficerebbero dell’afflusso di personale dalle Province, si favorirebbe una diversificazione e una maggiore specializzazione delle competenze. Lo stesso funzionario non dovrebbero occuparsi di più settori, ma potrebbe concentrarsi su specifici ambiti. Il che, per i cittadini rappresenterebbe un evidente vantaggio». 



 

(Paolo Nessi

Leggi anche

SPILLO/ Se dalle siringhe si ricavano più risparmi che dalla riforma costituzionaleIDEE/ Il "manuale" per tagliare gli sprechi dello StatoFINANZA/ Perché l'Italia "rinuncia" a pagare meno tasse?