Ieri il governo (accidentalmente?), si è messo, in via del tutto eccezionale e inedita, dalla parti del cittadino. Lo ha difeso di fronte, addirittura, alle compagnie petrolifere. Chiedendo loro – per bocca del sottosegretario al ministero dello Sviluppo economico, Claudio De Vincenti – di abbassare i prezzi del carburante di almeno 4/5 centesimi al litro. Una richiesta che non vale niente in punta di diritto, non avendo l’esecutivo alcuna prerogativa in tal senso; ma che, di fatto, i petrolieri non possono ignorare. Oggi, intanto, Eni ha abbassato le tariffe di 2 centesimi. Ma Eni non fa testo, essendo lo Stato il suo azionista di riferimento. Resta da vedere cosa faranno le altre; e da capire le ragioni dell’anomalia italiana. Ovvero: sale il prezzo del greggio, e aumentano quelli di benzina e gasolio alla pompa; scende il prezzo del greggio, ma quelli di benzina e gasolio alla pompa no. IlSussidiario.net ha chiesto a Giuseppe Colangelo, professore di Economia Politica all’Università dell’Insubria da cosa dipende lo scarto tra i prezzi italiani e i listini internazionali. «Va detto, anzitutto – spiega – che l’anomalia riguarda pochi centesimi, 3 o 4». In ogni caso, sarebbe motivata, prevalentemente, da ragioni logistiche-geografiche. «In Italia, buona parte delle industrie di raffinazione si trovano al sud e nelle isole, specialmente in Sicilia e in Sardegna (anche se ce ne sono, ad esempio, in Lombardia), mentre i grandi consumi sono al nord». Il carburante va fatto viaggiare, e il suo trasporto costa. «Abbiamo la necessità di traslare il prodotto finito sui camion molto più degli altri paesi europei. Del resto, il tragitto percorso su gomma è estremamente lungo anche a causa della tipica conformazione italiana».
Le distanze non sono l’unica ragione dei costi maggiori. Sembra che il mercato sia scarsamente concorrenziale. Sembra. «In secondo luogo – continua il professore – ci potrebbe essere una collusione tacita tra le compagnie petrolifere». In sostanza, non è escludibile che si siano accordate sui prezzi secondo logiche di cartello. «Il sospetto deriva, in particolare, dal fatto che i prezzi sono, per lo più, molto simili e seguono sempre andamenti analoghi». Più in là del sospetto non si può andare. «Tale collusione non è mai stata dimostrata né potrebbe, del resto, facilmente esserlo. Tutti i procedimenti antitrust nei confronti delle società petrolifere, infatti, non sono mai andati a buon fine. Anche laddove hanno subito delle condanne, il Consiglio di Stato ha, successivamente, cancellato le multe».
Alcuni confidavano nel decreto liberalizzazioni per sbloccare la situazione. «Non mi sembra che, in tal senso, sia stato decisivo – dice il professore -. Anche perché, e questo è il terzo motivo dell’anomalia, le compagnie, prima di apportare variazioni al listino dei prezzi, vogliono essere sicure delle tendenze e, di norma, ritardano i movimenti, specialmente quelli verso il basso». Non si capisce, in ogni caso, perché il governo disponga del potere di moral suasion nei confronti delle società petrolifere, né cosa avrebbero queste da perdere nel rispondergli picche. «Tutte le imprese sanno bene che un punto strategico determinante consiste nell’avere buoni rapporti con il governo, considerando anche il suo potere giurisdizionale e la possibilità di favorirle, ad esempio, con particolari decreti».
Dal canto suo, il governo preme, ma si guarda bene dal cancellare l’aumento dell’Iva o di azzerare quello ulteriore previsto per ottobre. «La decisione è legata alle profonde difficoltà in cui versano le finanze pubbliche italiane. Del resto, l’Iva – così come le accise – sulla benzina sono tasse che vengono percepite ma difficilmente vengono evase; si tratta di entrate certe di cui, adesso, lo Stato ha bisogno». E, in fondo, alle imprese non cambia poi molto. «Queste imposte, alla fine, gravano sul consumatore finale; le imprese, infatti, non sono il soggetto ultimo destinatario dell’imposta. Attraverso un sistema di detrazioni e rivalse, il pagamento spetta interamente al cittadino».
(PN)