Le cose potrebbero andare anche peggio. Non nel senso che, tutto sommato, non stanno andando così male; si intende dire che, effettivamente, è probabile che andranno peggio. Le banche spagnole sono sull’orlo del dissesto. Madrid finora ha temporeggiato; finché gli ispettori del Fondo Monetario Internazionale non avessero certificato il rischio di catastrofe, era intenzionata a non chiedere ufficialmente aiuti all’Europa. Ora, invece, lo farà. Volente o no, lunedì chiederà ufficialmente una mano. L’Europa dal canto suo, ha messo sul piatto 100 miliardi di euro per ricapitalizzare gli istituti di credito iberici. A patto che la Spagna riformi il suo sistema bancario. Claudio Borghi ci spiega cosa sta succedendo.



Perché, anzitutto, la Spagna si trova in questa situazione?

Da quando esiste l’euro, la Spagna è stata il Paese che ha maggiormente tagliato il proprio debito pubblico e, quindi, secondo tutti i criteri che ci hanno inculcato, avrebbe dovuto essere tra i più virtuosi. Contestualmente, tuttavia, vedeva salire esponenzialmente il proprio debito privato. Prima dell’euro, infatti, gli spagnoli erano abituati a tassi del 12%. Con l’euro i tassi sono scesi al 3%. E, convinti che le prospettive fossero di prosperità, stabilità e crescita, hanno iniziato a comprare casa. Accendendo dei mutui. E indebitandosi.



Poi, cos’è successo?

E’ arrivata la crisi. E la disoccupazione. Il cittadino spagnolo si è ritrovato senza lavoro e con un mutuo da pagare. Le banche, a quel punto, non hanno potuto fare altro che confiscare le abitazioni sulle quali gravano le loro ipoteche. Ora gli istituti di credito si trovano a non potere esigere i propri crediti. E con in mano case che valgono la metà di quello che valevano all’acquisto. Un valore che, tuttavia, esiste solo sulla carta. Non è detto, infatti, che riescano a venderle. Intanto, devono trovare il modo per pagare le proprie obbligazioni in scadenza.



Come valuta la richiesta europea di riformare il sistema in cambio dei fondi?

Lascia perplessi. Chi, infatti, in una nazione controlla il sistema bancario? Non di certo il governo. Di norma, chi dispone di tutti i dati relativi alla situazione degli istituti sono le banche centrali. Siccome, da quando c’è l’euro, il loro ruolo è stato notevolmente ridotto, il compito di vigilare spetta all’eurosistema. Ebbene: prima, quando stava accadendo tutto ciò, chi stava vigilando?

Quali conseguenze potrebbero esserci per l’Italia?

Se contribuiremo a salvarli, visto che i fondi europei sono anche soldi nostri, indeboliremo ulteriormente la nostra situazione finanziaria in una situazione in cui non possiamo permettercelo. Se, invece, il sistema salta, l’investitore o il correntista penseranno che nulla può escludere che la stessa cosa possa capitare alla banche italiane. E nessuno potrà fermarli dal riversare i propri capitali altrove.

Il governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, ha dipinto uno scenario a tinte fosche. Ha fatto presente che non siamo ancora fuori dalla crisi, ha parlato della necessità di varare le riforme e ha aggiunto: «Preservare e sostenere la responsabilità  fiscale è essenziale anche a costo di difficoltà di breve termine».

Mi pare evidente che il problema fondamentale non dipenda dai minori introiti fiscali, ma da una perdita di competitività assoluta della nostra industria e della nostra impresa. Derivante, prevalentemente, dal mantenere una situazione di cambio insostenibile. Ci siamo agganciati, infatti, a valute molto più forti della lira.

Il ministro Corrado Passera è convinto che il suo Decreto Sviluppo migliorerà la situazione. Per questo, dopo mesi che è slittato, ha detto che, perché venga emanato al più presto ci «metterà la faccia».

Mi pare che contenga misure decisamente modeste e poco efficaci. Quando si è in recessione, l’unico modo per tornare ad essere competitivi è la svalutazione.

Però c’è l’euro…

Esatto, con l’euro non si può svalutare. E allora, la soluzione ideale sarebbe proprio abbandonare la divisa unica. L’alternativa, da manuale, è aumentare la spesa pubblica e tagliare le tasse. Non è esattamente quello che sta facendo questo governo. 

 

(Paolo Nessi)

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