Il meccanismo europeo di salvataggio del sistema bancario e, di fatto, del debito, spagnolo appare diverso e, finalmente, più intelligente di quello usato nel caso greco basato su condizioni di politica economica e fiscale depressive. A Madrid verranno concessi crediti speciali di 100 miliardi per la ricapitalizzazione delle banche più sofferenti, che senza l’intervento europeo avrebbero dovuto essere generate a debito da Madrid portandola verso l’insolvenza, ma senza chiedere in cambio misure eccessive di austerità. Nel caso greco, invece, la Germania pose inizialmente il veto a un prestito di circa 10 miliardi che avrebbe permesso ad Atene di tamponare il buco di bilancio. Tale rifiuto poi innescò la crisi finanziaria e richiese dopo poco tempo finanziamenti superiori condizionati all’accettazione di un’austerità depressiva che portò Atene in una spirale di impoverimento rapido e di insolvenza del suo debito. Nel caso greco il salvataggio “aiuta punendo” imposto da Berlino peggiorò la situazione. In quello spagnolo il metodo tedesco non sembra essere stato applicato.
Le indiscrezioni, più che le cronache aperte, fanno filtrare un negoziato teso e duro dove la Germania è stata bloccata da Italia e Francia (nonché da America, Regno Unito e Fmi) e costretta a passare dal metodo “aiuta punendo” a quello più morbido “aiuta pretendendo solo un riordinamento sostenibile”. Se così, allora sarebbe un annuncio di svolta sul piano sistemico. La Germania non vuole che l’euro salti ed è consapevole che, per non farlo implodere, a un certo punto bisognerà creare un’Eurozona confederalizzata garante, via eurobond e simili, dei debiti nazionali. Ma Berlino vuole che l’unione fiscale avvenga secondo i suoi criteri e per ottenerlo ha voluto massacrare la Grecia come esempio dissuasivo, nonché portare la situazione a un centimetro dal disastro per costringere alla resa quelli non vogliono sottomettersi al criterio tedesco. Dove il punto è che le altre nazioni restavano passive e scoordinate tra loro, ciascuna negoziando con Berlino in modi bilaterali e riservati per avere sconti.
Ora, pressate dal rischio di destabilizzazione sistemica per la scala della crisi spagnola, sono diventate attive e convergenti nel correggere il metodo tedesco, con il decisivo sostegno dell’America. La Germania sembra aver ammorbidito la sua strategia, pur mantenendo a parole la durezza condizionale. Da un lato, un’eventuale crisi bancaria non contenuta in Spagna colpirebbe in particolar modo le banche tedesche, e questo è un fattore da mettere in conto. Dall’altro, Berlino mostra di capire che deve limare la propria strategia.
Fino a che punto? Finora la soglia – come definita da Merkel in vista delle elezioni politiche del settembre 2013 – è stata quella oltre la quale l’elettorato tedesco percepirebbe che denari fiscali tedeschi vengono usati per salvare altre nazioni meno virtuose. Ma la minore condizionalità imposta alla Spagna in cambio del salvataggio indica che Merkel sta iniziando a modificare la soglia perché vede il rischio di importare in Germania le crisi bancarie e insolvenze altrui.
Inoltre, le banche locali tedesche hanno un buco di circa 400 miliardi che finora è stato coperto con mezzi opachi dal governo e ciò rende la Germania vulnerabile a scossoni e imputazioni di disordine gestionale, cosa segnalata dal declassamento fatto dalle agenzie di rating di questi istituti.
In conclusione, la maggiore morbidezza di Berlino non è dovuta alla consapevolezza dei difetti della strategia, ma alla paura di guai se insiste con un metodo troppo duro. Per questo la modalità del salvataggio spagnolo appare un buon segnale di ritorno del realismo per la tenuta prospettica dell’euro e dell’Italia.