779 miliardi di euro. Ma anche, per intenderci, un milione e 508mila miliardi delle vecchie lire. Così fa più effetto. Per dare l’idea della mostruosità della cifra. Che, per quanto difficile anche solo da immaginare, è tutt’altro che irrealistica. E’ quanto, ogni anno, sborsa lo Stato. La cosiddetta spesa pubblica. Ben 283 miliardi riguardano solamente il funzionamento dei ministeri. Non resta che dire che, forse, era l’ora che si iniziasse a tagliare. Il comitato interministeriale guidato dal Mario Monti, entro fine mese, dovrebbe emanare il decreto con cui saranno espresse le linee guida della spending review. Con ogni probabilità, sarà ufficializzata la previsione di risparmio pari a 5 miliardi entro il 2012 e di 8,5 per l’anno successivo. Poi, si vedrà. Va da sé che, di anno in anno, le falcidie dovranno aumentare. Sì, ma come? La sacrosanta quanto improrogabile revisione delle spesa, infatti, potrebbe rivelarsi un boomerang. Eugenio Caperchione ci spiega perché.
Tanto per cominciare, in cosa consiste la spending review?
E’ un esercizio di verifica puntuale di tutte le spese effettuate dalle amministrazioni pubbliche, finalizzato a comprendere se continuino a essere giustificate o se eccedano le reali necessità.
Lo Stato spende 779 miliardi l’anno. Una cifra mostruosa. Come ci siamo arrivati?
Dobbiamo tener presente che una volta che nel bilancio di un singolo anno una certa spesa è stata autorizzata, nelle amministrazioni di tutto il mondo è abbastanza normale dare per scontato che tale voce, negli esercizi successivi, resterà invariata. Al limite, potrà aumentare. Tradizionalmente, i governi, agiscono secondo una logica incrementale. Si consideri, del resto, che, per quanto ci riguarda, non essendo l’Italia un Paese di piccole dimensioni, l’entità delle nostra spesa pubblica è anche il frutto di una serie di decisioni che i nostri rappresentanti, tutto sommato, hanno assunto nell’interesse dei cittadini.
E’ ancora così?
Al di là dell’ammontare della cifra, che di per sé, effettivamente, è impressionante, occorre capire come viene utilizzata. Se lo Stato spende, ad esempio, per pagare bravi insegnanti, garantendo un’istruzione di qualità e logiche meritocratiche, o per assicurare l’efficienza della sanità, allora la spesa, seppur elevata, è ragionevole e sostenibile. Il problema è che, in certi casi, le spese delle pubbliche amministrazioni sono tutt’altro che funzionali. E’ noto a tutti come la spesa pubblica pro capite, rispetto ai Paesi più avanzati, sia decisamente superiore a fronte di servizi peggiori.
Crede che il governo stia procedendo nella direzione giusta?
Va detto, anzitutto, che l’esecutivo, prima di dar via all’operazione, ha atteso alcuni mesi, preoccupandosi, anzitutto, di aumentare le tasse. Fatta questa considerazione, per intenderci: mettiamo il caso di un famiglia dove entrambi i coniugi avevano un lavoro, ma uno dei due l’abbia perso; le entrate diminuiscono e, a quel punto, pure loro dovranno fare la spending review. Ora: chi sono le persone più titolate a procedere se non essi stessi e i propri figli? Solo loro, trovandosi all’interno di quella realtà, sapranno di cosa poter fare a meno.
Quindi, come applicherebbe il ragionamento alle pubbliche amministrazioni?
Solo chi ha responsabilità al loro interno sa quali siano le spese superflue. Sarebbe necessario, quindi, che il governo legittimasse e sostenesse queste persone nel controllo di gestione. Conferendo, casomai, degli obiettivi, e premiando chi riesce a presentare, dal basso, in autonomia, in una logica sussidiaria, un piano efficace e credibile di razionalizzazione. Se il lavoro viene imposto dall’alto, temo che ci troveremo con dei tagli non troppo dissimili dai tagli lineari di Tremonti. Dove i ministeri, trovandosi con le risorse decurtate e costretti ad arrangiarsi, non potranno fare altro, in molto casi, che tagliare i servizi per i contribuenti.
Nel caso dei ministeri, chi potrebbe svolgere questo compito?
I direttori generali supportati, magari, dalla Ragioneria generale dello Stato e dalla Corte dei Conti; non escluderei un contributo degli studiosi di management pubblico.
Ritiene che, in ogni caso, i tagli potranno essere indolori?
No. Occorre un patto sociale tale per cui la collettività sia chiamata a riconoscere responsabilmente che ci sono aree di spesa e servizi che possiamo permetterci solo in periodi di crescita, ma che non rappresentano diritti sociali inalienabili.
Perché questo patto sociale venga accettato, non crede che le risorse reperite dai tagli andranno vincolate a destinazioni d’uso ben precise?
Andrebbero finalizzate, prevalentemente, alle politiche occupazionali (specie quelle giovanili), al mondo dell’educazione e alla riduzione del debito pubblico.
(Paolo Nessi)