Nella lingua di Goethe debito significa anche colpa: Schuld. È questo l’immaginario collettivo che guida la signora Merkel e il signor Schäuble e buona parte del laboriosissimo e satollo popolo tedesco in questo terribile frangente, in questi terribili tempi di inizio millennio. Ho il tremendo sospetto che i tedeschi pensino che anche la situazione spagnola, che si va aggravando sempre più, sia questione di colpa o di non colpa, ossia un fenomeno che dipende soltanto dall’antropologia dei popoli e non invece dai meccanismi di una crisi che è diventata drammatica per la caduta della capacità di autoregolazione del capitalismo mondiale. Ma ce n’è anche per i paesi non capitalistici, dato che persino dalla Cina giungono notizie tempestose: la banca centrale abbassa i tassi di interesse e per la prima volta nella sua storia il partito comunista cinese sarà costretto a rinviare il suo congresso per le divisioni nel suo seno provocate dalla paura che la crescita si interrompa.



Obama e Bernanke dagli Usa attaccano l’Europa perché temono che l’inizio della depressione europea metta in crisi i deboli segni di ripresa dell’economia americana. In tutti i paesi del mondo, anche quelli che un tempo correvano più degli altri (i Brics) la crescita o si è interrotta o presenta gravi problemi o la depressione trionfa. Siamo arrivati al punto che l’unico Paese al mondo che non ha questi problemi è il Canada, dove, guarda caso, il sistema bancario è in larghissima misura di tipo cooperativo e non ha provocato, come altrove, la strage degli innocenti, di cui sono stati attori le banche capitalistiche.



Per quanto riguarda l’industria e per capire la situazione in cui siamo bisogna ricordare due cose. La prima è che a livello mondiale ci avviamo verso una colossale depressione che durerà molti anni, ossia come diceva Keynes, una situazione in cui staremo sempre a mezzo tra sprazzi di timida ripresa e passeggiate sull’abisso della catastrofe. Che questo sia vero io ne sono convinto da sempre, ossia da quando trent’anni fa ho cominciato a studiare Keynes e poi Minsky, ma ora sono convinto di essere nel giusto quando leggo sul Financial Times dell’8 giugno di quest’anno che anche uno dei padri del liberismo dispiegato, ossia Samuel Brittan, è d’accordo con le tesi che Paul Krugman espone nel suo ultimo libro testé edito negli Usa: End this depression now! Se lo dice Brittan, e non solo Sapelli, vuol dire che solo le ricette neokeynesiane possono salvarci e che la Merkel deve essere posta nell’impossibilità di nuocere. Eppure, per la signora Merkel il debito vuole ancora dire colpa. Senza una decisa azione politica mi sembra difficile superare questa situazione.



Ai distratti giornalisti italici, soprattutto a quelli economici, è sfuggito il fatto che qualche giorno fa il Parlamento europeo ha votato una dichiarazione bipartisan, ossia votata dalla maggioranza del Ppe e da tutto il Pse, che richiedeva la riforma dello statuto della Bce e l’inizio di una politica di forti stimoli alla crescita. Il fatto straordinario è che la Commissione europea, ai cui tavoli siedono Commissari e Ambasciatori, non ha neanche preso in considerazione queste deliberazioni. Questo vuol dire che alla Commissione della volontà degli eletti del popolo sovrano non è importato assolutamente nulla. E devo dire che anche i singoli partiti nazionali, per quel che posso seguire con i miei poveri mezzi attraverso la stampa nazionale europea, non hanno sollevato alcuna questione.

Quindi, oltre a esserci un problema di malfunzionamento della poliarchia rispetto ai poteri situazionali di fatto – ossia le banche e le grandi imprese che prevalgono sulla volontà dei parlamenti – la poliarchia a livello europeo registra uno sbilanciamento a favore delle istituzioni non elettive piuttosto che di quelle elettive. Si aggiunga poi che chiunque conosca l’inquinamento da patronage, e quindi da incompetenza clientelare superpagata di cui è affetta la tecnostruttura europea, non si può meravigliare che l’angoscia pervada le persone consapevoli. È una fortuna che la consapevolezza sia solo di una minoranza, perché se no avremmo l’esplosione della microviolenza di massa oppure il dilagare della depressione psichica di intere comunità.

Quindi le aspettative che si stanno creando sulla riunione del 28 giugno in Europa, dove la Commissione europea dovrebbe prendere definitive misure per scongiurare la crisi, proprio non le capisco. Lo ho già detto mille volte: se non si riforma lo statuto della Bce e insieme non si spaccano in due le grandi banche che ci hanno portato al crollo e, ancora, non si inizia a creare uno tsunami di spesa pubblica, infrastrutturale e non, e di detassazione sul capitale e sul lavoro, la depressione europea dilagherà in tutto il mondo, sino a sommergere il nido dell’aquila di Berchtesgaden, dove Eva Braun e Hitler passarono giornate indimenticabili al Berghof. Il che sarebbe veramente qualcosa di tragico, ma che in ogni caso ci ricorda che una nuova guerra è in corso.

Per nostra fortuna essa non è più condotta con le armi. E per nostra fortuna, però, ancora, gli Usa continuano a esistere. C’è da sperare che giungano nuovamente gli americani, come accadde l’8 maggio ‘45 al Berghof, imponendo ancora una volta misure radicali per risollevare l’Europa. Per gli amanti delle metafore storiografiche ricordo che il Berghof, tuttavia, fu conquistato prima dai francesi, che arrivarono il 6 maggio, facendo infuriare gli americani. Spero che questo sia un incoraggiamento per Hollande perché faccia sentire tutto il peso della storia francese sulla signora Merkel. Monti giungerà al seguito, ne sono sicuro.

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