Il 10 maggio 2009, alla firma di quello che si rivelò essere il primo accordo per il salvataggio della Grecia, non tutti stapparono champagne. Chi non lo fece, come il vostro “chroniqueur”, venne tacciato di essere un menagramo come Cassandra nei poemi di Omero e Virgilio. Oggi, a oltre tre anni di distanza, ancora non si sa come la crisi greca finirà. Essere paragonati alla principessa troiana è tutto sommato un complimento: Cassandra veniva dileggiata per esprimere dubbi sulla natura cavallo donato dalla coalizione avversaria, ma i fatti dimostravano che aveva ragione.
In queste ultime ore molti hanno esultato per il marchingegno escogitato al fine d’evitare il tracollo di importanti banche spagnole. Secondo il vostro “chroniqueur”, si tratta di un tampone di corto respiro che non sarà efficace se non verranno adottate misure molto più incise (o non verrà profondamente riformata l’eurozona), quali un fondo europeo di garanzia (per i dettagli si veda “A European Deposit Insurance and Resolution Fund” di Dirk Schoenmarler e Daniel Gros, Duisenberg School of Finance Policy Paper Series No. 21, 2012).
Andiamo con ordine. Il Presidente del Consiglio spagnolo, Mariano Rajoy, e il suo ministro dell’Economia, Luis de Guindos, insistono nel dire che non si tratta di un salvataggio, ma di una pura operazione finanziaria per facilitare la ricapitalizzazione degli istituti iberici. Un vecchio proverbio dice se non è zuppa e pan bagnato. Lo si chiami come si vuole, ma in pratica i contribuenti del resto dell’eurozona mettono a disposizione di un ente pubblico spagnolo (il Fondo de Reestructuratión Ordenada Bancaria, Frob) una linea di credito di 100 miliardi di euro (20 verranno dai contribuenti italiani) perché il Frob, ora al verde, faciliti la ricapitalizzazione di banche che, accecate dai miraggi dei film di Almodovar di una Spagna secolarizzata e in rapida crescita, hanno impiegato in modo molto poco accorto i depositi dei loro correntisti. Per tentare di celare un salvataggio si è scelto un percorso tortuoso e in salita, il quale, come tutti percorsi tortuosi e in salita, causerà il fiatone a tutti.
Perché a Mariano Rajoy e a Luis de Guindos non piace parlare di aiuti? Non per orgoglio hidalgo che ama risolvere tutto con un sonoro “Olà!”, ma per il timore che la troika – Commissione europea, Banca centrale europea e Fondo monetario internazionale – mettesse troppo il naso nei conti spagnoli: si sarebbe accorta che il disavanzo delle pubbliche amministrazioni sta per raggiungere, nel 2012, non il 5,3% del Pil concordato con il resto dell’eurozona ma l’8-9% e che lo stock di debito pubblico in rapporto al Pil si avvicinerà al 100% nel 2014. Avrebbe anche messo le mani su tante altre cattive statistiche e imposto un programma di rigore (sul tipo di quelli che stanno seguendo Irlanda, Portogallo e Grecia, nonché la stessa Italia).
Perché la troika ha fatto finta di non capire il marchingegno? Nel pasticciaccio brutto ci sono coinvolte troppe banche di altri paesi dell’eurozona; il timore quindi di contraccolpi pesanti in caso di tracollo di istituti spagnoli. Secondo Nomura Research, le banche del resto dell’eurozona rischiano (dalla crisi spagnola) ben 400 miliardi di euro (di cui un terzo a valore su istituti britannici, francesi e tedeschi – 20 a valere su istituti italiani).
Sino a quando tutti fanno finta e ne sono consapevoli – come in “Così fan tutte” di Mozart-Da Ponte -, il gioco regge. Sempre, però, che i numeri siano corretti. Un rapporto di Crédit Suisse ingenera seri dubbi. In breve, il 9 giugno gli istituti spagnoli maggiormente esposti nei confronti del settore delle costruzioni avrebbero dovuto effettuare accantonamenti prudenziali per 150 miliardi di euro, a cui aggiungere altri 50-70 miliardi di euro di ricapitalizzazioni. Ossia un totale di 200-220 miliardi di euro – oltre il doppio della linea di credito concessa.
Lasciamo da parte gli “Olà”. E intoniamo una canzonaccia della goliardia americana: This is number one/ and the fun has just begun – Il divertimento (amaro) è iniziato e ne vedremo delle belle.