L’emorragia di capitali esteri sta mettendo a rischio l’eurosistema. Il denaro fugge, per tornare nelle banche di casa propria, lasciando quelle da cui si è allontanato in una crisi di liquidità sempre più grave. Gli istituti, a loro volta, chiudono i rubinetti, lasciando all’asciutto famiglie e imprese. Che, dal canto loro, non fidandosi più della tenuta del sistema creditizio locale, chiudono i conti correnti per trasferirli in Germania, Francia, Olanda. Un circolo perverso dagli esiti catastrofici. Il trend non riguarda solo Grecia, Spagna e Portogallo, ma anche noi. Da prima della crisi al 2011, Francia e Germania hanno ridotto la loro esposizione nei confronti delle banche italiane di 600 miliardi di dollari. Noi, del resto, non siamo stati da meno. Abbiamo, infatti, rimpatriato il 46% degli investimenti che avevamo in Germania e il 54% di quelli che avevamo in Francia. Alla radice del flusso, vi è la preoccupazione, da parte delle banche, che l’euro possa finire. Quindi, meglio mettersi al riparo in tempo, per evitare di avere debiti in valuta pregiata o crediti in valuta debole. «Il rischio della fine dell’euro esiste. E’, tuttavia, molto remoto. Sta di fatto che, effettivamente, i mercati nutrono questo timore» afferma, raggiunto da ilSussidiario.net Emilio Colombo, docente di Economia internazionale presso la Bicocca di Milano. Le caratteristiche del fenomeno relativo alla fuga, in ogni caso, vanno precisate«E’ indubbio che i capitali rifuggano dagli Stati; si tratta, tuttavia, di una forte riallocazione all’interno dell’Europa. Questo è il motivo per cui la valuta non è così in crisi come si pensa. Non c’è, infatti, una fuga dalla zona euro, ma un riposizionamento all’interno dell’area. I capitali si spostano dai Paesi periferici verso quelli centrali, così la moneta non si deprezza rispetto alle valute straniere».

Non per questo vengono meno i motivi d’allarme: «Considerando gli spread degli Stati, la situazione non è, in ogni caso, sostenibile. Non è neanche pensabile poter attendere l’introduzione del Fiscal compact senza, nel frattempo, agire». Ma per agire, si devono verificare alcune premesse. «Anzitutto, dovrebbe esistere, da parte dei politici, la volontà di compiere passi in tal senso. Purtroppo, al di là delle dichiarazioni di facciata, pare che questa volontà non ci sia». Come è noto, la prima a remare contro è la Germania. «Certo, la Merkel teme di scontentare il suo elettorato. Ma la forza di un politico sta nel convincere i propri elettori delle proprie idee. Dovrebbe far comprendere che misure che aiutino l’Europa sono nell’interesse dei tedeschi». D’altro canto, non c’è alternativa. «Complessivamente la zona euro è messa meglio degli Usa: il debito pubblico, quello privato e il deficit, infatti, sono minori. Se i leader fossero capaci di individuare soluzioni politiche comuni, l’Ue potrebbe finalmente esprimere tutte le sue potenzialità, oltre a uscire dalla crisi. Non c’è, del resto, alternativa. Siamo a tal punto legati che il divorzio non si può prendere in considerazione». Dato e non concesso che si verifichino le premesse, ecco le misure da intraprendere. «Anzitutto, serve una forma di tutela, a livello europeo, delle garanzie bancarie di tutti gli Stati membri. Per i mercati finanziari, infatti, le aspettative sono fondamentali. Si basano su un rapporto di fiducia: se non si fidano della banca, ritirano i soldi». 

Secondo: «Alle tutele, si deve aggiungere un controllo centralizzato. Gli istituti sono interconnessi, perché operano su tutto il continente. Non ha senso, quindi, che siano controllati unicamente dagli organismi domestici. Sarebbe, in tal senso, utile rafforzare il potere dell’Eba». I debiti, infine: «E’ necessario introdurre una forma di condivisione dei debiti sovrani. Attraverso, magari, la Bce, facendo in modo che, finalmente, possa fungere da prestatore di ultima istanza. Il che leverebbe un’enorme spada di Damocle dalla testa degli Stati che stanno aggiustando i propri bilanci e facendo le riforme richieste. Attraverso quel meccanismo di sanzioni previste dal Fiscal compact, del resto, si impedirebbe loro di sforare improvvidamente».  

 

(Paolo Nessi)