Monti inizia ad avere paura dello spread. Ieri, dopo che il differenziale tra il rendimento dei nostri Btp decennali e i Bund tedeschi è schizzato a 464 punti base, chiudendo a 450, e i rendimenti hanno sforato la soglia psicologia del 6%, dicono di averlo visto aggirarsi tra i colleghi del G20, in Messico, con fare inquieto. D’altronde, il nostro debito pubblico è sempre più vicino a quota 2mila miliardi, entro il 2014 dovremmo piazzare 670 miliardi di titoli per pagare quelli vecchi e, prima della fine dell’anno, ci restano da collocare  quasi metà dei titoli previsti per il 2012 (450 miliardi). Una soluzione ci sarebbe. Enzo Moavero, ministro per gli Affari Esteri, l’ha illustrata ai leader del G20. Non si sa come l’abbiamo presa. Né si conoscono i dettagli. Ma, in sostanza, consisterebbe nel far acquistare titoli di Stato alla Bce o ai vari Fondi salva stati, una volta che gli spread superassero una certa soglia d’allarme. Perché, in ogni caso, nonostante Monti, le tasse, l’aggiustamento del bilancio, la sobrietà, il rigore e via dicendo, continuiamo a essere sull’orlo del precipizio? Claudio Borghi, professore di Economia degli Intermediari Finanziari all’Università Cattolica, spiega a ilSussidiario.net: «Se il problema dell’Eurozona fosse il debito pubblico, saremmo stati i primi a saltare. Invece, il nostro debito è lo stesso da 20 anni, mentre i primi a saltare sono stati paesi i cui problemi avevano poco o niente a che fare con il debito pubblico, come l’Irlanda e la Grecia. Coloro che continuano a ripetere che dovremmo fare non si sa quali salti mortali per portare il nostro il rapporto debito/Pil al 100% sono gli stessi che sostenevano che sarebbe bastato mandare a casa Berlusconi e sistemare i conti con nuove tasse per calmare i mercati». Le falle da tappare, quindi, sono altre e sono in ambito europeo. «Anzitutto, diversi Stati hanno un sistema di debito privato non più gestibile che, scaricandosi sulle banche, ha prodotto la necessità della loro ricapitalizzazione. Ci sono, inoltre, alcuni squilibri interni, come il surplus di esportazioni della Germania rispetto agli altri paesi. Il che, ovviamente, avvantaggia la Germania e svantaggia gli altri paesi».



Ma l’incognita principale è un’altra. «I mercati temono l’insolvenza. E vogliono garanzie sull’ammontare complessivo del debito. Che non spaventa di per sé, ma per l’esiguità del reddito necessario per ripagarlo. Considerando le sue dimensioni, il governo non ha possibilità di varare alcuna misura che possa dare tali assicurazioni». Il governo no. «Ma la Bce sì». Sono da escludersi tutte le ipotesi analoghe o complementari. «Consentire ai fondi europei quali l’Efsf o l’Esm, che hanno un budget limitato, di acquistare i titoli sovrani rifinanziandosi attingendo alla Bce, non avrebbe senso. Si acquisterebbe il debito attraverso altro debito». L’istituto centrale, quindi, deve essere protagonista dell’iniziativa. «Se l’Eurozona affermasse, in maniera credibile, che laddove gli spread superassero un certo livello interverrebbe la Bce acquistando, illimitatamente e dichiaratamente, titoli di Stato, i mercati si rasserenerebbero immediatamente; e, a quei livelli di spread, neanche ci arriveremmo». 



Ovunque, del resto, funziona già così. «Non si capisce perché tutto il resto del mondo abbia banche centrali che monetizzano il debito emettendo nuova valuta. Nessuno, per intenderci, pensa che gli Stati Uniti debbano rientrare dal debito». Non ci sono solo gli Usa: «Nonostante le varie rivoluzioni, neppure l’Egitto ha fatto default. Anche lì si emettono titoli di Stato». Tecnicamente, nulla osterebbe. «La Bce può comprare titoli di Stato sul mercato secondario; quindi, indirettamente. Ma non cambia nulla. Il problema è che, finora, l’ha fatto in maniera totalmente imprevedibile. Di tanto in tanto. Dando, quindi, l’impressione di non aver alcuna intenzione di procedere in tal senso». Si dice che voglia mantenere la propria indipendenza. E poi, c’è la Germania. «Che, grazie agli spread così alti, rifinanzia il proprio debito a tassi bassissimi. A lei, il gioco, conviene. Peccato che stia avvelenando la terra in cui ha le radici». 



 

(Paolo Nessi)