Il 6 giugno prossimo dovrebbe concludersi l’iter per la nomina del nuovo Presidente dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (su designazione del Presidente del Consiglio, d’intesa con il Ministro per le attività produttive) e dei suoi nuovi quattro commissari, che vengono eletti dai due rami del parlamento. L’Autorità è un organo collegiale di grandissima importanza per il corretto svolgimento, tra le altre, delle attività televisive, di telecomunicazioni e di protezione del copyright sui media digitali. L’Autorità è un organismo “convergente” poiché ad essa sono indistintamente devolute le funzioni di vigilanza e regolamentazione nei settori indicati.
Questa scelta, operata nel 1997, fu quasi “casuale” in quanto la convergenza tra telefoni, fissi e mobili, strumenti televisivi e internet era allora allo stato larvale; anzi, l’impostazione voluta fu criticata perché, si disse, vi era troppa “carne al fuoco” sottoposta alle decisioni dell’Autorità. Tuttora, vi è una certa disarmonia in un organismo che ha la facoltà di occuparsi allo stesso tempo della connessione all’ultimo miglio alla rete dell’operatore telefonico dominante, o della “par condicio” per la distribuzione della presenza dei partiti politici nelle campagne elettorali televisive. Per questo l’Autorità è divisa in due distinte commissioni ed ha un consiglio che raggruppa tutti i suoi commissari per la trattazione di temi più generali.
Il Decreto “Salva Italia” della fine dello scorso anno ha dimezzato da otto a quattro il numero dei commissari, lasciando invariato il loro meccanismo di elezione e mantenendo intatta la struttura dell’Autorità con le sue due commissioni (che era forse preferibile accorpare a causa del ridotto numero dei commissari). Attraverso questo taglio si è voluto ottenere un risparmio dei costi a carico dello Stato, sebbene l’Autorità, secondo la legge finanziaria del 2006, sia sostanzialmente finanziata dalle imprese soggette alla sua vigilanza e regolamentazione. In altri termini, l’Autorità vive delle risorse ad essa attribuite da aziende come Telecom Italia, o Mediaset, o Google.
Il passaggio da otto a quattro commissari si porta dietro un effetto fortemente negativo. Difatti, il meccanismo di elezione dei commissari prevede che ciascun deputato e ciascun senatore esprima il voto indicando due nominativi, ognuno per una distinta commissione. La riduzione del numero dei commissari voluta dal Governo Monti fa sì che le forze di maggioranza possano eleggere tutti essi senza che vi sia rappresentanza per quelle di opposizione.
In mancanza di accordo, si potrebbe così paralizzare la nomina del Presidente, che necessita, a seguito dell’indicazione del Presidente del Consiglio, dell’approvazione dei due terzi delle commissioni parlamentari competenti (circostanza che, a dire il vero, si verificò per la procedura di nomina dell’attuale presidente che si protrasse per circa quattro mesi). Ciò, in un quadro in cui l’invariato meccanismo di nomina e la stessa forma di finanziamento dell’Autorità (come detto, pagano i soggetti controllati) hanno fortemente limitato l’efficienza dell’operato dell’Autorità, contrassegnato, dalla sua nascita ad oggi, da decisioni effettivamente sbilanciate e da moltissime non decisioni.
Non si è difatti giunti a determinazioni apprezzabili per sciogliere nodi centrali, come il mantenimento del duopolio e delle posizioni dominanti nel settore televisivo, la realizzazione di una rete moderna ed efficiente che garantisca la diffusione di internet a banda larga, o l’adozione del regolamento in materia di tutela del diritto di autore sui media digitali. Su questi temi, i passati commissari e quelli attuali hanno avuto una capacità generica, non detenendo sufficienti autonomia e competenza tecnica per dirimere le relative materie: si pensi solo che l’Autorità attuale non conta di nessun economista.
A seguito della concentrazione del numero dei commissari e dell’inevitabile rafforzamento del ruolo del Presidente si è accentuata in queste settimane la battaglia per la loro designazione. Sui mezzi di informazione si è data ampia notizia delle diverse candidature, per rafforzare o bruciare quelle riconducibili alle distinte forze politiche che le sostengono e per esaltare le doti tecniche di alcuni soggetti che svolgerebbero con distacco tutto professionale il ruolo loro attribuito.
Seppur politicamente complesso, la norma che ha dimezzato il numero dei commissari andava inserita in una misura legislativa più ampia per modificare ed aggiornare il criterio di nomina dei componenti dell’Autorità e ridurre la durata del loro incarico (oggi di sette anni), tenuto conto del velocissimo avanzamento tecnologico dei settori vigilati. In tal senso, è condivisibile la proposta avanzata da alcuni esperti del settore che prevede un metodo di nomina attraverso il voto favorevole dei due terzi delle commissioni parlamentari in favore di candidati dotati di un curriculum adeguato e preventivamente e pubblicamente intervistati dalle stesse commissioni: un meccanismo che è utilizzato dal Congresso americano per la nomina dei componenti della Federal Communication Commission, il collegio analogo alla nostra Autorità.
O sarebbe addirittura preferibile procedere come si fa per la selezione dell’Amministratore Delegato dell’OFCOM, l’autorità inglese, che viene ricercato attraverso una società di selezione del personale e secondo criteri di mercato. Nell’immediato, deve gioco forza auspicarsi la convergenza (quasi per ironia) delle forze politiche su nomi dotati di sufficiente competenza ed affidabilità tecnica e di equilibrata capacità di decisione. Non illudendosi troppo, tenuto conto dell’attuale quadro politico debole e confuso.