“Sulla crisi dell’Eurozona i prossimi dieci giorni saranno decisivi per approvare misure a difesa della moneta unica”, ha detto il Premier Mario Monti dal G-20 di Los Cabos. I riflettori sono quindi già puntati sul Consiglio europeo del 28-29 giugno, a conclusione di un mese che ha vissuto già tappe importanti per l’euro. Una di queste proprio domenica, con le elezioni greche, il cui risultato è stato visto positivamente per il futuro della moneta unica. «Che sia positivo per l’euro è un fatto, ma che lo sia per la Grecia è un altro. Ma i problemi non sono risolti» spiega a ilsussidiario.net Paolo Savona, economista e Presidente del Fondo interbancario di tutela dei depositi. «I problemi dell’euro restano quelli noti: è una moneta senza Stato che non può contare su una politica adeguata alla sua sopravvivenza. Su questo punto i mercati vogliono una risposta chiara».



Leggendo anche le dichiarazioni di Monti, sembra che si stiano creando grandi aspettative sul Consiglio europeo di fine giugno. Potrà davvero risultare decisivo oppure, come molti altri vertici e summit, non produrrà alcun risultato?

Non ripongo grandi speranze. Stiamo transitando da una indicazione all’altra passando il testimone della speranza. Finché dura, non saprei. Il problema non è l’economia, ma la capacità di resistenza sociale.



Monti lunedì ha ripetuto quanto detto dalla Merkel: ci vuole un’unione politica. È questa la strada giusta per mettere al sicuro l’euro?

L’unione politica è il viatico a ciò che andrebbe fatto: un mandato per la Bce simile a quello della Fed, la banca centrale americana, che assegna due obiettivi (sviluppo e lotta all’inflazione) e tre strumenti (finanziare banche, tesoro ed estero); una politica economica che tratti tutti i cittadini nello stesso modo, ossia libera circolazione del lavoro e politiche compensative degli svantaggi a restare ancorati a un’economia che, senza l’euro, dovrebbe rivalutare di molto il cambio e scoraggiare le sue esportazioni. Avendo lasciato acuire questo stato di cose, l’unione politica diviene sempre più difficile da realizzare. Perciò sono favorevole a uno shock salutare, senza il quale l’Italia si muoverà verso un lento degrado e si sveglierà troppo tardi .



Da più parti si punta il dito contro l’atteggiamento che sta tenendo Berlino. È vero che i problemi dell’euro non trovano soluzione per colpa della Germania?

È certamente un grande ostacolo, ma non dimentichiamo che la Francia ha respinto la proposta di Costituzione europea e altri paesi non intendono né entrare, come il Regno Unito, né caricarsi degli oneri che comporta restare uniti. È passato il momento e riprendere le fila delle iniziative è molto difficile. Le culture europee sono troppo forti e radicate per ripetere l’esperienza positiva degli Stati Uniti, dove la cultura si è formata con l’unificazione politica. Avremmo dovuto iniziare con la scuola europea. In 20 anni saremmo stati veramente uniti.

 

Recentemente si è parlato di creare un fondo europeo di garanzia per i depositi bancari. Secondo lei, si tratta di uno strumento utile e, soprattutto, la cui creazione non incontrerà ostacoli di sorta?

 

Dipende da come viene organizzato. La precedente proposta era imperfetta e, per certi versi, pericolosa. La garanzia dei depositi italiana è stata la migliore tra i paesi europei, ma si vuole imporre il meccanismo che ha fallito un po’ dappertutto. Se muoviamo verso l’unione politica qualsiasi devoluzione di sovranità è giustificata, altrimenti si approfondiscono le diversità.

 

C’è che dice che all’euro restino meno di tre mesi di vita. Lei cosa ne pensa: quanto tempo resta prima della sua dissoluzione?

 

Ripeto ancora una volta ciò che ho detto quando le cose cominciavano ad andare male. L’euro sopravviverà perché la Bce non consentirà che deflagri, dato che ne andrebbe di mezzo e ha tutti gli strumenti per intervenire. Ma i costi che pagheranno i paesi deboli, dalla Grecia all’Italia, saranno tali che è lecito domandarsi se forze esterne alla democrazia possano decidere le nostre sorti. È giunto il momento, come accaduto in Grecia, che il popolo eserciti il suo diritto di scelta, anche di scelta sbagliata, e se ne prenda le responsabilità.

 

Vista la situazione dell’euro, dei paesi che pian piano stanno “crollando”, si può dire che ci fosse già qualcosa che non andava al momento della sua nascita? È possibile rimediare?

 

Che l’euro fosse un’area monetaria non ottimale e fosse destinata a mal funzionare era cosa ben nota a chi aveva la testa sopra le spalle e il cervello ben innestato. È stato un errore fare appello alle emozioni e nascondere gli effetti di una scelta giusta, ma mal fatta. Fino a poco tempo fa la Bce pubblicava lavori che “dimostravano” che le economie dell’euroarea convergevano. Il risveglio è stato brusco, ma ancora non si reagisce.

 

In Italia sembra che non si voglia ancora prendere in considerazione l’ipotesi di un piano per gestire un’eventuale uscita dall’euro. Come mai, a suo avviso, esiste questo tabù?

 

A parte la conoscenza che un “piano B” esisteva presso il Mef (o altrove, non saprei) – una decisione che torna a merito di Tremonti -, ho già espresso il mio parere che mi stupirei e mi preoccuperei non poco se la Banca d’Italia non lo avesse. Il problema è che non se ne vuole discutere apertamente, come se gli italiani fossero incapaci di capire e di scegliere, come in ben altre difficili circostanze hanno fatto i greci.

 

(Lorenzo Torrisi)

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