Il 61,3% degli italiani non risparmia più nulla perché non ha le risorse per farlo. E’ quanto emerge da una ricerca di Intesa SanPaolo, secondo cui nel 2012 il risparmio nel nostro Paese ha raggiunto il minimo storico. All’origine del fenomeno ci sarebbe innanzitutto il calo degli stipendi, che tra il 2011 e quest’anno si sarebbero ridotti dell’8,5%. Angelo Abbondio, ex presidente di Symphonia, una società leader nella gestione dei fondi di investimento, commenta i dati e spiega quali sono i consigli ai suoi clienti per far fruttare il loro denaro.
Ritiene che i risultati della ricerca di Intesa SanPaolo siano uno specchio fedele della realtà del nostro Paese?
Sì, si tratta di dati veritieri che dipendono dalla crisi e dal fatto che i risparmiatori non hanno più soldi da mettere da parte.
Quali categorie di risparmiatori sono più colpite dalla crisi?
In particolare i risparmiatori a reddito fisso, per i quali il costo della vita in questi anni è aumentato più di quanto lascino intendere le statistiche ufficiali sul costo della vita, relative per esempio al costo della benzina e della Rc Auto. Inoltre, nelle aziende si fanno sempre meno straordinari, e quindi ci sono meno mezzi a disposizione dei dipendenti. Anche i liberi professionisti e quanti possiedono attività commerciali riescono a lavorare e a guadagnare meno, e quindi hanno meno risparmi a disposizione.
Quali altre cause influiscono sul crollo del risparmio?
Nel 61,3% delle persone che non risparmiano più ci sono anche quanti hanno perso il posto di lavoro, sono stati messi in cassa integrazione o più semplicemente hanno difficoltà a pagare il mutuo in quanto sono saliti i tassi d’interesse un tempo molto più bassi.
Oltre a queste difficoltà oggettive, influisce anche una scelta dei consumatori di spendere anziché risparmiare?
Assolutamente no, non si tratta di una scelta, ma di un’imposizione. I risparmiatori sanno che avere somme di denaro da mettere da parte conviene, e se riuscissero a farlo poi al massimo avrebbero delle difficoltà a decidere dove investirle. Quanto sta avvenendo è invece che la maggioranza di essi non è più in grado di risparmiare, chi appena può invece continua a farlo.
Quanti accantonano per comprare casa passano dal 25,7% del 2004 al 5,5% del 2012. La causa è la riduzione del potere d’acquisto o l’andamento del mercato immobiliare?
Il motivo è esclusivamente la riduzione del potere d’acquisto. Se i consumatori avessero i mezzi per farlo, in questo momento sarebbero incentivati ad avvicinarsi all’acquisto soprattutto per la prima casa, in quanto i prezzi stanno diventando più convenienti rispetto al passato. Il problema è costituito però dalle banche, che offrono mutui con una percentuale sul valore della casa più elevata di quanto avveniva fino a pochi anni fa. Chi mette da parte dei risparmi ha quindi bisogno di versare una percentuale sempre più alta rispetto al valore della casa, e quindi non è più in grado di starci dentro. Il motivo non è quindi che i cittadini non accantonano delle somme, ma che non arrivano alla cifra necessaria per l’acquisto.
Ma la crisi non c’era già prima del 2012?
Gli anni scorsi sono stati difficili, ma la crisi si è progressivamente acuita. Lo dimostra il fatto che quest’anno il Prodotto interno lordo dell’Italia diminuisce rispetto al 2011. Nel rapporto si parla anche di un “disorientamento delle famiglie e una loro difficoltà a guardare al futuro”.
Che cosa ne pensa di questa definizione?
Purtroppo è così. Una volta il posto fisso era una garanzia, oggi invece non è più così. Soprattutto nelle aziende dove la proprietà è straniera, spesso si decide di chiudere la filiale o di ridimensionare la presenza in Italia, licenziando i dipendenti. Dunque anche il lavoro a tempo indeterminato in una società blasonata non è più un posto sicuro, e questo aumenta ulteriormente l’incertezza.
Lei che cosa consiglia ai suoi clienti che le chiedono come investire?
Innanzitutto di diversificare, almeno per quanti sono ancora in grado di mantenere i loro risparmi e investimenti. Venti anni fa si investiva tutto in Italia, anche perché in precedenza non si poteva farlo all’estero. Oggi, soprattutto per quanto riguarda il mercato azionario, è obbligatorio guardare anche ai paesi stranieri. I mercati che un tempo erano considerati emergenti o in via di sviluppo, oggi hanno dimensioni economiche che stanno superando l’Italia e gli altri paesi europei. Non bisogna più quindi limitarsi al nostro piccolo giardinetto, ma diversificare nell’orto molto più grande che offrono i mercati mondiali.
(Pietro Vernizzi)