Evviva, la diga della Spagna ha tenuto. Ma è vera gloria? Il collocamento, seppur ad alto prezzo, dei titoli spagnoli all’asta offre qualche spunto di riflessione, in attesa dei “dieci giorni che ci restano per salvare l’euro”, come li ha definito il premier Mario Monti. A partire dal meeting romano di Italia, Francia, Spagna e Germania di oggi, che frau Merkel vuol chiudere il più in fretta possibile per correre in quel di Danzica in tempo per vedere la Panzerfussbal armata spianare la Grecia arroccata in difesa.
1) La comunità finanziaria, al pari dei mezzi di informazione, ha festeggiato con un sospiro di sollievo il fatto che il Tesoro di Madrid sia riuscito, seppur a caro prezzo, a tamponare la falla nei conti pubblici collocando i titoli a medio termine offerti in mattinata. È una buona premessa per i lavori dell’Eurogruppo che deve affrontare il dossier Spagna, ma anche risolvere i problemi di Cipro, prossimo presidente di turno dell’Ue in bolletta. Questo intenso lavorio diplomatico cela un segreto di Pulcinella: non sono stati certo i risparmiatori o gli investitori istituzionali a fare il pieno titoli che, a cinque anni, promettono più del 6%.
L’operazione altro non è stata che una partita di giro dall’esito scontato. A comprare i Bonos sono state in pratica solo le banche spagnole che, dopo averr consumato i prestiti Bce, attendono i quattrini prestati dal governo di Madrid che, a sua volta, le finanzierà con il prestito 100 miliardi dall’Ue attraverso il fondo Esm, scelta che ha fatto infuriare la Cina. Il fondo Esm, che entrerà in funzione il primo luglio, non ha almeno per ora la patente di banca (come vorrebbero francesi e italiani), ma gode di un importante vantaggio: è un creditore privilegiato. Insomma, in caso di fallimento della Spagna, o di altri interventi straordinari (allungamento del debito, parziale default), i crediti dell’Esm, in grande maggioranza prestati dalla Germania, sarebbero i primi a essere rimborsati. I soldi prestati, ad esempio, dalla Cina sollecitata più volte a far credito ai Paesi più a rischio dell’Ue, verranno dopo.
2) In forme diverse, insomma, viene replicato il caso greco. Anche allora l’Unione europea decise di prestare o quattrini ad Atene, ma solo dopo aver salvato dal default i soldi della Bce. Un precedente che ha senz’altro indolito la credibilità dell’area euro nei confronti della comunità internazionale: perché dovremmo fidarci, si chiedono Stati sovrani, investitori istituzionali e speculatori, di un debitore di questo tipo? L’Unione europea, come dimostra la tenuta dell’euro come valuta, resta una potenza economica che può contare, a differenza degli Usa, su un forte surplus commerciale e dispone nel suo complesso di una situazione debitoria sostenibile assai più di quella del Giappone, che continua tranquillamente a foraggiare l’economia di Jbond nonostante un rapporto debito/Pil ben superiore al 200%.
Ma la stessa Unione europea, dallo scoppio della crisi greca in poi, non ha offerto una sola, autentica e concreta prova di buona volontà a sostegno della funzione dell’euro. Si è così determinata una situazione paradossale: i benefici della moneta comune, in assenza di barriere, tendono a polarizzarsi verso i paesi più forti, Germania e area scandinava. Ma così i sacrifici della periferia d’Europa vengono vanificati: i maggiori tassi di interesse pagati da Spagna e Italia hanno in sostanza già bruciato i frutti dei sacrifici sul fronte del fabbisogno.
3) Da questo circolo vizioso si può uscire solo con un gesto che ridia fiducia ai mercati: i tassi si normalizzeranno solo quando gli operatori si convinceranno che i paesi forti sono decisi a mettere in campo le proprie ricchezze per difendere un bene comune. D’altro canto, non è pensabile che la Germania, il Paese che più ha creduto e più crede nei benefici di un’Europa effettivamente unita, metta in discussione le sue risorse senza che i partner offrano sufficienti garanzie di adeguarsi a criteri di gestione alla tedesca. Nessuno si illuda che i tedeschi, di destra o di sinistra, accettino di accollarsi fenomeni di mala gestio dell’Europa mediterranea, Italia (e Padania) inclusa.
4) Il confronto è politico. La Germania è pronta all’unità europea purché gli altri Stati funzionino alla tedesca o, comunque, abbiano i conti così a posto che il contribuente tedesco non debba spendere nemmeno un euro. La Francia, al contrario, non ha alcuna intenzione di sottoporre la sua sovranità a una Comunità tinta sempre più di Germania. L’euro, si fa notare a Parigi, è nato su impulso di François Mitterrand per contenere la forza della Germania al momento dell’unificazione. Guai se diventasse la chiave per istituzionalizzare nuovi equilibri in Europa.
E l’Italia? Mario Monti, così apprezzato a Washington (e non solo), sa che la battaglia campale per la tenuta dell’euro passa da Roma e Madrid. Per questo, assieme a Mario Draghi, sta lavorando da mesi a soluzioni tecniche e politiche che consentano di superare l’empasse. Ora, consapevole che la pazienza dei mercati sta per finire, ha giocato il jolly. Come dichiara con tono allarmato il Financial Times Deutschland, “Monti pretende che la Bce su mandato dell’Efsf e dell’Esm compri titoli di Stato dell’Italia e di altri Paesi finiti sotto pressione”. Finora il piano era stato presentato invece come la possibiltà, già prevista dai regolamenti dei fondi, di un acquisto dei bond direttamente da parte dell’Efsf o dell’Esm. Ora l’Italia chiede che la garanzia arrivi dal piano superiore, ovvero dalla banca centrale. “Con il piano di Monti – commenta il quotidiano – l’Italia approfitterebbe dei bassi tassi di interesse come conseguenza dell’intervento della Bce, senza doversi assoggettare a condizioni”.
5) Perché Monti, così prudente, non esiterà a giocare la carta più drammatica? La risposta sta nelle condizioni dell’economia e della finanza. E anche, grande novità, nelle emergenze della politica. In assenza di accordi concreti, il governo Monti perderà il sostegno del Pdl e l’Italia andrà alle urne a ottobre, con effetti ben più devastanti per l’Ue (Germania compresa) di quanto si è rischiato ad Atene. In questa cornice, gli affondi di Silvio Berlusconi contro l’euro fanno il gioco del premier: cara Merkel, dirà Monti alla collega tedesca in visita a Roma, vuoi di nuovo avere a che fare con Berlusconi?
6) Nel frattempo non va sottaciuto che il rimbalzo delle responsabilità e il circolo vizioso messo in evidenza da aste del debito pubblico dall’esito scontato e tarocco tende a scacciare la moneta buona per comportamenti cattivi. Le banche acquistano dosi massicce di debito sovrano nazionale e legano così la loro esistenza agli Stati. Questi ultimi, intanto, si legano sempre più alle banche. Un legame siamese che tende al fallimento di ogni riforma della finanza pur necessaria per uscire dalla crisi: invece di stabilizzare il sistema, i compromessi stanno aggravando la situazione a tutto danno dell’economia reale, cui vengono sottratte risorse.
Si finge che le banche siano più solide, ma nel frattempo gli istituti tendono a replicare l’andamento di Btp e Bonos con una volatilità crescente. La mancanza di accordi in sede comunitaria su un meccanismo comune di liquidazione delle banche a livello europeo (e armonizzazione delle principali procedure fallimentari) o della creazione di un fondo di liquidazione europeo oppure di un fondo europeo per garantire i depositi si traduce così nella sottrazione di risorse per chi lavora: chi paga il conto per il ping pong tra le autorità e l’aumento dei tassi del debito sovrano sono le 23 milioni di piccole e medie imprese europee.
Ci pensi signora Merkel. E capisca: nonostante la simpatia per Schweinsteiger e Muller stasera sarà bello tifare per la Grecia.