«La mancanza di una reale competizione tra le agenzie di rating e la scelta di Basilea 2 di utilizzare i loro giudizi come riferimento normativo sono criticità che vanno affrontate e risolte. La proposta della Bce di rivedere l’utilizzo del rating nella scelta se rifinanziare o meno le banche va dunque nella giusta direzione». Ad affermarlo è Marco Di Antonio, professore di Economia all’Università di Genova. E mentre la Procura della Corte dei Conti sembra intenzionata a contestare a Standard&Poor’s, Moody’s e Fitch un danno erariale da 120 miliardi di euro per rapporti “avventati” relativi al debito pubblico italiano, ieri la Bce, guidata da Mario Draghi, ha annunciato un allentamento delle regole che attualmente influiscono sulla scelta di finanziare o meno le banche in base ai giudizi delle agenzie di rating sui titoli da esse offerti come collaterale. Per Di Antonio, occorre tenere conto del fatto che le agenzie di rating «valutano il rischio dei debitori secondo le loro metodologie, che sono consolidate e accettate, ma non infallibili, né perfette».



E’ possibile che le agenzie di rating in taluni casi siano in malafede o manipolabili?

Sono certo che normalmente ciò non avviene. E’ possibile che vi siano singoli episodi di malafede, che vanno comunque provati. Questi però sono abusi rispetto a una pratica diffusa, condivisa e accettata in cui dei soggetti specializzati svolgono il loro mestiere con metodologie consolidate, e arrivano a dare giudizi che normalmente sono i più affidabili. Se noi vediamo le serie storiche, collegando i default e i fallimenti ai rating assegnati, osserviamo che i giudizi delle agenzie sono comprovati come abbastanza attendibili. Certo, è sempre possibile che siano commessi errori nella valutazione del rischio, che è un campo che esula dalla certezza deterministica e che appartiene alle previsioni e alle stime.



A parte la possibile malafede, quali sono le criticità nelle valutazioni delle agenzie di rating?

La prima è la concorrenzialità del mercato, che è poco competitivo in quanto è composto da tre grandi agenzie oligopolistiche. Come spesso accade, forse una maggiore concorrenza potrebbe migliorare il “prodotto finale”, cioè l’affidabilità e l’attendibilità del giudizio del rating.

Quest’ultimo può essere anche viziato da conflitti di interesse?

Sì, ma è un’eventualità che si presenta prevalentemente nei confronti dei privati e non invece degli Stati. Quando un’agenzia di rating valuta un’impresa che lo ha richiesto, con lo scopo di presentarsi sui mercati per emettere proprie obbligazioni, il giudizio è emesso dietro compenso. L’agenzia di rating potrebbe quindi essere interessata a esprimere una valutazione di favore nei confronti del suo cliente. In questo caso, però, il problema è opposto a quello che riguarda gli Stati sovrani, nei cui confronti le agenzie sono accusate di avere abbassato arbitrariamente il rating.



 

Che cosa ne pensa dell’utilizzo del rating da parte di Basilea 2?

 

E’ un altro aspetto che ha ricevuto diverse critiche. La normativa in alcuni casi fissa il livello del requisito di capitale richiesto alle banche in funzione del rating, affidando a queste valutazioni una sorta di valore pubblico. Ma il rating non è altro che una valutazione opinabile espressa da aziende private che hanno scopo di profitto e che fanno di questa attività il proprio business. Certo, sono imprese che hanno interesse a svolgere al meglio tale funzione, anche perché la reputazione è il loro asset più importante. Ciò non toglie che il giudizio resti soggettivo e possa anche essere sbagliato. Il problema sorge nel momento in cui questo giudizio è recepito dalla normativa e posto alla base dei vincoli di vigilanza e patrimoniali. Le agenzie di rating sono le prime ad ammettere di non essere infallibili e a non chiedere un riconoscimento normativo.

 

E’ favorevole al cambiamento delle regole per il rifinanziamento delle banche annunciato dalla Bce?

Questo è un altro aspetto delle criticità implicite nel riconoscimento normativo dei giudizi di rating. La Bce, nel rifinanziare le banche, guarda al rating e se la garanzia fornita dalle banche è al di sopra di determinati livelli di rischiosità non concede il rifinanziamento. Questo può avere diverse controindicazioni e vale quindi la pena discutere la proposta dell’Eurotower. Resta il fatto che le agenzie di rating, valutando i debitori, svolgono un lavoro utile alla collettività.

 

Per quale motivo?

 

Se non lo facessero loro, occorrerebbe rinunciare alla valutazione degli Stati o affidarla a un’agenzia di rating pubblica controllata dagli Stati stessi o dall’Ue. Da un lato però chi acquista titoli di Stato ha bisogno di una valutazione su cui basare le sue scelte, e senza quest’ultima verrebbe meno un’indicazione che è pensata per aiutare l’investitore. Se è del tutto sbagliata è meglio non averla, ma se come la storia dimostra tendenzialmente il giudizio è vero, togliere questa informazione può essere solo una scelta negativa. Infine, se un’agenzia controllata dagli Stati valutasse il rating degli Stati stessi, si verrebbe a creare un conflitto d’interessi insanabile.

 

(Pietro Vernizzi)