L’Eurozona farà molto poco, perlomeno fino al settembre del 2013 – quando ci saranno le elezioni politiche in Germania, il cui governo ora frena qualsiasi vera soluzione europea alla crisi -, per aiutare l’Italia a ridurre il costo del suo debito e per attutire la recessione che i dati mostrano poter durare fino al 2014. Quindi tocca all’Italia gestire i propri problemi con soluzioni nazionali. Inoltre, la sua tenuta (sul piano del debito e della capacità di crescita) viene vista dal mercato globale come l’indicatore principale per scommettere sulla continuità o implosione della moneta unica.



Il governo Monti sta tentando di evitare la solitudine dell’Italia e di condividere la responsabilità della tenuta dell’euro con le altre nazioni. Questo era lo scopo del summit dei quattro “eurograndi” a Roma. Ma ha ottenuto poco sul piano sostanziale: la conferma di un piano di investimenti europei, ma spalmati su tutta l’Eurozona, cioè un quasi niente, e un atto di rispetto da parte di Francia e Germania, tuttavia viziato dalla manifesta freddezza di Merkel e Hollande. Il messaggio tedesco all’Italia è chiaro: la Germania vuole l’euro, ma europeizzando il rigore, eventualmente la vigilanza bancaria, e non altro. Ciò verrà ribadito nell’eurosummit del 28 giugno.



La Francia negozierà riservatamente uno sconto dalla Germania e in cambio non si metterà di traverso. L’Italia non avrà sconti. Forse otterrà, nel bilaterale con Berlino del 4 luglio, che la Germania chiuda un occhio sulle azioni della Bce per ridurre gli spread, che ora la Bundesbank osteggia, per dare a Monti il tempo di dare segnali nazionali di più forte riordinamento. Ma quali potrebbero convincere il mercato che rifinanzia il debito italiano?

In teoria: (a) l’annuncio di almeno 150 miliardi di tagli alla spesa e alle tasse in cinque anni; (b) una riduzione secca del debito di almeno 400 miliardi in un triennio ottenuta attraverso la finanziarizzazione e vendita (differita) del patrimonio disponibile (circa 800 miliardi di immobili, concessioni e partecipazioni, nazionali e locali); (c) una modifica del sistema istituzionale che renda credibile un futuro governo con reali poteri esecutivi per fare queste cose; (d) la percezione che vi potrà essere una futura conduzione politica di qualità della nazione.



Da un lato l’Italia è in grado di poter fare queste cose. Dall’altro, le condizioni politiche correnti lo rendono improbabile. In questa situazione è probabile che Monti provi una strategia di galleggiamento con qualche limatura alla spesa e iniziative di minimo sviluppo, ma contando ancora sull’aiuto europeo in quanto la legittimità del suo incarico deriva dall’idea che nessuno meglio di lui possa ottenerlo. ù

La Bce, infatti, qualcosa farà. E forse potremo galleggiare per tutta l’estate. Ma poi il calo del Pil annuo che sta andando oltre il 2% produrrà conseguenze nelle strade. La pressione del mercato globale che vuole una garanzia europea per il debito italiano o un progetto nazionale fortissimo che lo riduca, come detto sopra, diventerà più forte e vorrà risposte. La Germania impedirà all’Europa di darle e l’Italia non potrà più sperare di galleggiare. Quindi l’Italia può solo rimandare solo di qualche mese la decisione di avviare un progetto nazionale fortissimo di riordino o di cadere nel disordine irreversibile a cui seguirebbe la perdita totale della sovranità.

Dobbiamo renderci conto che per la prima volta dal dopoguerra l’Italia dovrà generare un progetto nazionale fortissimo e serissimo che dovrà cambiarla per intero. Non si scherza più.

 

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