La stampa d’informazione (e anche quella economica) pullula di scenari (a volte piuttosto fantasiosi) e di implicazioni sulla finanza e sull’economia reale di ciò che avverrà il 28-29 giugno a Bruxelles. Vengono presentate le ipotesi più diverse di mediazione. Riaffiorano vecchie idee come quella del vaglio preventivo dei bilanci di previsione (e dei loro “assestamenti”) degli Stati dell’eurozona prima che detti documenti vadano al vaglio dei Parlamenti. Si tratteggiano varie possibilità di “unione fiscale” e di “garanzie europee ai correntisti bancari”. Prematuro commentare su idee in libertà mentre il comunicato del “vertice” dei Capi di Stato e di Governo è stato sostanzialmente scritto dagli sherpas in modo che potrebbe dare adito a una vasta gamma di interpretazioni.



Sarebbe tutto andato per il meglio – per così dire – se non ci si fosse accorti, dopo la riunione quadrangolare di Roma e in seguito alla nuove notizie sulla situazione delle banche spagnole e sui “massaggi” ai conti pubblici greci, che la miriade di uomini e donne che vendono e comprano titoli sui mercati mondiali sono “stanchi e stufi” di comunicati ambigui e di dichiarazioni altisonanti ma senza veri contenuti. Apprezzano il linguaggio di Frau Merkel che dice pane al pane e vino al vino come una massaia di Vigevano o una casalinga di Waterloo, Iowa. Quindi, una “dichiarazione comune” ben scritta ma priva di mordente farebbe più male che bene.



In questo quadro, è emersa nelle ultime ore la possibilità che il Presidente del Consiglio italiano Mario Monti sia il “grande mediatore”. Il compito gli sarebbe stato affidato nientepopodimeno che dal Presidente degli Stati Uniti Barack Obama (anche lui in mezzo a un mare di guai). Poco importa chi ha telefonato per primo a chi il 25 giugno. Il medesimo giorno è arrivata l’investitura ufficiale del Financial Times, ossia della City (quasi a confermare le malelingue secondo cui quello italiano sarebbe il Governo dei banchieri). Senza dimenticare che lo stesso Premier ieri alla Camera ha rivendicato di essere riuscito a favorire l’avvicinamento tra Angela Merkel e François Hollande.



Ma lasciamo ad altri i retroscena. Ora Monti ha la bicicletta (del mediatore) e se non pedala, cade con il rischio di rompersi il femore. Si aprono finestre di opportunità sia positive sia negative. Se usassimo la teoria dei giochi, potremmo dire che Monti è alle prese con un gioco ad ultimatum dove o vince (almeno temporaneamente) e può fare finta di averla vinta alla grande o perde tutto il montante in palio.

In un quadro positivo, Monti riuscirà a portare a casa qualcosa, forse di breve durata, come Mussolini a Monaco: basterebbe, ad esempio, il varo dei project bond (o meglio la loro ripresa, poiché esistevano già negli anni Ottanta quando la Commissione europea era guidata da François Ortoli; li aveva inventati il compianto Tommaso Padoa Schioppa), oppure una road map per garanzie bancarie comuni. Se questi risultati durano alcuni mesi (nei quali si vede qualche barlume di progresso), Monti avrà, con l’aiuto dei suoi “persuasori occulti”, la strada spianata verso l’agognato Quirinale e, dopo le elezioni, in Italia si andrà a maggioranze a geometria variabile orchestrate dal Colle. Pure sotto il profilo finanziario ci potrebbe essere una pausa nella “guerra degli spread” (sempre che da Grecia e Spagna non venga qualche nuova “mattata”).

Se non riuscirà a portare neanche questo, il rischio di rottura è alto e grave: oltre al femore del mediatore, è in gioco la prosecuzione dell’unione monetaria nella veste attuale (ci sono varie alternative possibili) e in Italia la sopravvivenza stessa dell’attuale esecutivo.

Leggi anche

SCENARIO UE/ Il "problema Italia" che decide le sorti dell'euro20 ANNI DI EURO/ Il fallimento europeo che può darci ancora anni di crisiFINANZA/ La “spia rossa” sull’Italexit accesa da Bloomberg