Il Cancelliere Angela Merkel ha dichiarato che “fino a che è in vita” non darà mai il consenso agli Eurobond, né ad alcuna altra condivisione del debito in Europa. Una linea tutt’altro che conciliante, in vista del Consiglio Europeo di oggi e domani che dovrà decidere il futuro dell’Ue. Ilsussidiario.net ha intervistato Manfred Kolbe, deputato federale tedesco della CDU, per chiedergli di commentare le affermazioni del Cancelliere.
Il no agli Eurobond espresso dalla Merkel è condiviso da tutta la CDU?
E’ una posizione condivisa al 100% dal partito, non esiste nessun parlamentare cristiano-democratico che sia a favore degli Eurobond.
Una posizione granitica …
Anche il partito socialdemocratico è d’accordo con la Merkel, come hanno dichiarato pubblicamente i suoi leader nel corso di un dibattito di due settimane fa. Le dirò di più, a essere contrari agli Eurobond sono il 95% dei tedeschi, ma anche gli olandesi, i finlandesi e l’intero Nord Europa. Non è quindi una questione specificamente tedesca.
Da dove nasce questo “no” così deciso?
Noi siamo contrari agli Eurobond perché non sono la soluzione del problema del debito. La principale criticità dell’Europa è la competitività, in quanto alcuni paesi come la Grecia non sono più concorrenziali sui mercati mondiali: è necessario quindi avviare delle riforme strutturali. Il secondo problema è la crisi del debito, in quanto alcuni Stati hanno speso troppo e devono ritrovare un equilibrio. Gli Eurobond non possono risolvere questa situazione, perché anche le forze di Germania, Paesi Bassi e Finlandia sono limitate. Nella migliore delle ipotesi garantirebbero una fase di respiro di sei mesi, poi tutta l’Europa crollerebbe. Non ci sono quindi alternative alle riforme strutturali e alla politica dell’austerità, se veramente vogliamo salvare l’Europa.
E’ questa quindi la soluzione che proponete?
Sì. In Italia, per esempio, occorre una riforma del mercato del lavoro, che includa una modifica dell’articolo 18. In Francia è necessaria una riforma delle pensioni, perché è insostenibile che si possa uscire dal lavoro a 60 anni. In Grecia la principale criticità è il settore pubblico, nel quale lavora il 30% degli occupati. Senza queste riforme strutturali l’Europa subirà il tracollo economico.
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