Angela Merkel che respinge quasi con disprezzo gli eurobond (“Mai finché vivo”) è la stessa Angela Merkel che con François Hollande parla di “rafforzare l’Europa, unione profonda, aiuto reciproco”?. “La vera Kanzlerin la vedrete oggi e domani, tutto il resto è pretattica”, spiegano fonti diplomatiche di Berlino. Sarà. Ma già l’idea di dire e smentire (una tecnica alla quale la politica italiana ci ha infaustamente abituato) non promette bene alla vigilia di un summit che dovrebbe salvare l’euro e rilanciare l’Unione. Grandi aspettative. A differenza dal romanzo di Charles Dickens, è del tutto improbabile che si trasformino nel quieto ritrovare il tempo perduto. La guerra di mercato non lascia spazi per la nostalgia. Non aspettiamoci la pallottola d’argento che risolve lo scontro una volta per tutte.



Le proposte sul tappeto o sono troppo ambiziose, come l’unione politica, o troppo generiche, come l’unione fiscale, oppure dividono, come l’unione bancaria che la Francia vuole e la Germania no, entrambe per rispondere agli interessi divergenti delle loro élite economiche. La bussola per capire se esiste la volontà politica di rafforzare l’unione monetaria è quel meccanismo chiamato scudo anti-spread. Se uscirà una decisione chiara in questo senso, allora davvero il Consiglio europeo potrà definirsi un successo nel cammino, ancora lungo e accidentato, per uscire dalla crisi del debito.



L’Italia si presenta con alcune importanti carte. Per esempio, la riforma del mercato del lavoro approvata pur con i mal di pancia della destra, le divisioni a sinistra e i limiti prodotti da sei mesi di tira e molla. La Confindustria di Giorgio Squinzi ha interpretato un ruolo scarsamente comprensibile. Il pPesidente che aveva giudicato non importante la revisione dell’articolo 18 e in questo si era distinto dal suo avversario, ha dato poi l’impressione di giocare al rilancio, chiedendo più di quel che il governo Monti poteva dare (e che per la verità il governo Berlusconi non è riuscito a dare). Senza valorizzare a sufficienza la caduta di un tabù trentennale.



Il Presidente del consiglio ha dalla sua anche una reputazione europea che resta alta, nonostante il logorarsi del consenso in patria e le critiche rivolte da giornali finora amichevoli e comprensivi come il Financial Times e il Wall Street Journal. In più, può contare su un buon sostegno degli Stati Uniti. Il governo mette sul tavolo un’idea interessante, cioè usare il meccanismo di stabilità per comprare i titoli dei paesi in difficoltà, ma virtuosi perché hanno seguito le politiche di austerità raccomandate dalla Germania e dalla Banca centrale europea. Inoltre, si batterà per la golden rule, ovvero la possibilità di togliere dal calcolo del deficit pubblico alcuni investimenti infrastrutturali, un piano per la crescita, i project bond, cioè titoli emessi per finanziare progetti specifici.

Gli obiettivi dell’Italia sono ambiziosi, non impossibili. Può contare su un esplicito appoggio della Francia. Anche la Spagna, che ha chiesto formalmente aiuti all’Ue per circa 60 miliardi di dollari, è disponibile a fare fronte comune. E la Germania? Il Parlamento non ha ancora approvato né il fiscal compact, né il meccanismo di stabilità, mentre la Corte costituzionale di Karlsruhe rischia di gettare un macigno insormontabile se deciderà a favore del ricorso presentato dalla Linke, il partito della sinistra radicale.

Un sostegno fondamentale deve venire dalla Banca centrale europea. La possibilità di tagliare le unghie alla speculazione e tenere lo spread entro limiti prestabiliti dipende in ultima istanza da lei. Alla cena dell’Ue, dunque, bussa alla porta il convitato di pietra: Mario Draghi. Se il Consiglio europeo metterà in tavola una ricetta ben confezionata, avrà il viatico per agire. Se invece usciranno solo dichiarazione d’intenti, per quanto solenni, toccherà ugualmente a lui, e solo a lui, evitare il panico lunedì mattina.

Può farlo? E come? Ha un potere ampio, ma è riluttante ad usarlo, secondo l’Economist. È diventato troppo potente, sostengono al contrario i tedeschi che puntano il dito su un bilancio gonfio di 500 miliardi, buona parte in titoli, una vera bomba a tempo. Anche la Banca dei regolamenti internazionali nel suo ultimo rapporto avverte che le banche centrali hanno in pancia una quantità di moneta pari al 30% del prodotto lordo mondiale. Quanto possono spingersi ancora più in là nel salvataggio del sistema economico? Fino a che punto possono fare supplenza? La parola deve tornare ai politici, dicono i banchieri centrali. Un rimpallo che non promette nulla di buono.

È vero che le riforme per uscire dalla crisi toccano ai governi. Sono scelte profonde dalle forti implicazioni per la sovranità dei popoli e i diversi ceti sociali, tuttavia il deleveraging, cioè il processo di digestione dei debiti, privati e pubblici, è un processo lungo e va accompagnato dal ruolo attivo delle banche centrali se non si vuole che precipiti nell’effetto domino descritto da Irving Fisher, il primo ad aver analizzato nel 1933 una crisi da debito che finisce in depressione mondiale.

La Bce, pur senza trasformarsi in una Federal Reserve, ha molte munizioni in canna. Ha già detto che può ricorrere a un terzo finanziamento illimitato delle banche quando si saranno davvero consumati gli effetti degli altri due (mille miliardi di euro). Per evitare che esse parcheggino i fondi presso la banca centrale, Draghi potrebbe far ricorso, spiega Bloomberg, a tassi di interesse negativi come ha fatto la svedese Riksbank, costringendo così a prestare all’economia reale la moneta raccolta e oggi trattenuta per motivi precauzionali. Una misura del genere, accompagnata da un taglio del tasso di riferimento portandolo dall’1% allo 0,5%, può rimettere in moto il circuito del credito a famiglie e imprese. Quanto allo scudo anti spread, se dal vertice uscirà un via libera politico, Draghi potrebbe già riprendere l’acquisto dei titoli pubblici sul mercato secondario in attesa che il meccanismo di stabilità entri in funzione e agisca come soggetto attivo, quasi fosse una banca.

Sarebbe un segnale chiaro: speculatori, la festa è finita; cari fondi dei pensionati californiani o degli operai di Detroit, tornate a comprare Btp e avrete un rendimento equo e sicuro. Semplice a dirsi, ma i prossimi due giorni saranno lunghi come due anni.