Come ci apparirà il mondo il prossimo 2 luglio, alla ripresa dei mercati dopo il summit di Bruxelles? A leggere il tono drammatico del bollettino di Confindustria verrebbe da pensare, per la verità, che il calendario sia tornato indietro al 25 luglio di qualche anno fa: “Non siamo in guerra, ma i danni economici fin qui provocati dalla crisi sono equivalenti a quelli di un conflitto e a essere colpite sono state le parti più vitali e preziose del sistema Italia: l’industria manifatturiera e le giovani generazioni”. E ancora: “L’aumento e il livello dei debiti pubblici – continua il pensatoio degli industriali – sono analoghi, in quasi tutte le democrazie avanzate, a quelli che si sono presentati al termine degli scontri bellici mondiali. Una sorta di guerra c’è stata ed è tuttora in corso, ed è combattuta dentro l’Europa e dentro l’Italia”.



A giudicare dall’andamento dei mercati borsistici, tutt’altro che brillante, ma non così apocalittico, certi toni sembrano fuori luogo. Eppure lo stesso Mario Monti, che è difficile immaginare in divisa da generale, seppur le medaglie non gli manchino di sicuro, ha avvalorato l’immagine dell’ora suprema allertando i membri del governo per affrontare l’emergenza, qualunque essa sia. Anche perché, al momento, non è ben chiaro se i “cannoni” virtuali dovranno essere rivolti contro i mercati, decisi a punire risultati troppo blandi del vertice Ue, oppure verso la palude di Montecitorio, decisa a opporre la solita, efficace guerriglia contro i tagli della spending review.



La situazione, insomma, è seria. Ma l’enfasi rischia di produrre un involontario effetto grottesco: il vertice di Bruxelles è importante, forse più dei 18 che lo hanno preceduto, ma guai a presentarlo come la panacea dei nostri mali, piuttosto che la breccia per penetrare nella difesa tedesca. A guardare l’andamento dei famigerati mercati, che al momento opportuno sanno esprimere una certa saggezza, non si direbbe. Certo, l’orizzonte è sul grigio stabile. La “febbre” sui titoli di Stato italiani e spagnoli è alta e tale resterà per un bel po’. Ma non si è alla vigilia dello scontro finale.



Ahimè, comunque vada a finire la partita di Bruxelles, lunedì non ci sarà alcuna svolta cruciale, né nella direzione auspicata, né in quella temuta: la strada, insomma, resterà in salita, vuoi sul fronte europeo che su quello italiano. Per non parlare di uno scenario globale dove sono maturati gli squilibri che hanno investito la finanza privata e pubblica. E di cui, chissà perché, si parla sempre meno. Quasi che i principali responsabili del disastro non avessero ripreso senza alcun pudore ad aumentarsi gli stipendi e a giocare con i destini degli Stati (vedi vicenda JP Morgan) sul flipper dei megacomputers.

Ma torniamo a bomba. Che può accadere nella due giorni di Bruxelles? Proviamo a indovinare, nella presunzione che il gioco non sia poi così difficile. Al momento, a dire il vero, è stato assai più facile prevedere l’esito dei vertici (finora 18) dei premier europei che non l’esito di una qualsiasi partita degli Europei, anche meno carica di attese di Italia-Germania. Per due motivi. Primo, non si è mai andati, in passato, oltre uno striminzito 0 a 0: tante chiacchiere, molte proposte, obiettivi tanto ambiziosi quanto lontani nel tempo. Pochi quattrini, per lo più prestati dopo il tempo massimo, ai debitori/reprobi. Secondo, l’esito dei vertici è sempre stato anticipato dai discorsi al Bundestag di frau Angela Merkel. Non tanto o solo perché la Germania è il leader incontrastato di questa comunità un po’ acciaccata, quanto perché il controllo che il Parlamento e la Corte Costituzionale esercitano sull’esecutivo è ferreo. Se volete prussiano. E preventivo. Non si può pensare, insomma, che la Cancelliera, dopo aver escluso al Bundestag compromessi sul fronte degli eurobond o di altre forme di mutualità del debito, torni sui suoi passi.

Non tragga in inganno l’apparente apertura di Wolfgang Schaueble. Il ministro delle Finanze ha detto che si potrà parlare in futuro di eurobond (anche Merkel vivente..), ma soltanto se ci sarà uno “zar” europeo a vigilare sui conti pubblici dei paesi dell’euro. Prima di aprire i cordoni della borsa la Germania “dovrà essere pienamente convinta che il progresso verso l’attuazione di un sistema di controllo centralizzato delle politiche di bilancio nazionali sia irreversibile”. Difficile che Parigi, così solerte a sposare la causa dei deboli ora che rischia di far la stessa fine, sia pronta ad accettare “uno zar”.

Niente eurobond, dunque. E niente trattamento speciale per l’Italia, almeno a prima vista. Mario Monti, con non poche ragioni, sostiene la necessità di far intervenire già da lunedì il fondo salva Stati con una missione specificia anti-spread che permetta di raffreddare la febbre su Btp e Bonos. Ce lo meritiamo, è la tesi del premier, per gli sforzi fatti. Altrimenti, se gli alleati ci abbandoneranno al nostro destino nonostante riconoscano che “stiamo facendo i compiti”, si stabilirà un precedente drammatico.

Al contrario, continuano a ripetere i tedeschi: il rischio è proprio quello di stabilire precedenti pericolosi. Avete visto cosa è successo quando i greci hanno chiesto di allungare i tempi della restituzione dei prestiti? Subito Portogallo e Irlanda, per il resto ottimi e obbedienti scolari, hanno chiesto: perché loro sì e noi no? Cosa accadrebbe se noi facessimo scendere in campo il fondo Salva Stati senza che l’Italia chieda, come previsto dai trattati, l’intervento di Fmi e degli ispettori Ue con il ruolo di commissari? Ormai l’elenco dei bocciati (Irlanda, Spagna, Portogallo, Grecia e Cipro) è troppo lungo per fare eccezioni.

Questa, almeno, sarà la prima risposta ufficiale. Poi, grazie anche all’abilità di herr Draghi, qualcosa si inventerà. Il primo luglio, non dimentichiamolo, entrerà in funzione l’Esm, cioè il nuovo fondo già dotato di mezzi finanziari propri. L’Esm potrebbe esordire con un intervento di qualche decina di miliardi per poi rivolgersi alla Bce che non potrà operare come prestatore di ultima istanza, ma potrà escogitare senz’altro qualche meccanismo per moltiplicare la leva finanziaria dell’Esm o di altre istituzioni. Come già successo con l’operazione Ltro, la Bce potrà favorire la tenuta dell’Italia e della Spagna, almeno nel breve-medio termine. La Bundesbank si limiterà a digrignare i denti. La Cancelliera potrà raccontare in Parlamento di non aver versato un solo euro in più a Bruxelles per sostenere il sud Europa. Ma potrà accampare grandi meriti per aver dato il via al piano di sviluppo, 120 miliardi per sostenere il “growth compact” altro mattoncino dell’Europa tedesca.

Basterà questo “cerotto” a evitare nuovi tracolli sui mercati? Chissà. Molto, anzitutto, dipende dalla sensazione che i mercati avranno della cifra che Draghi potrà mettere in campo. Di sicuro ci sarà da ballare sul fronte dei Btp. Ma, per il resto, l’Ue dovrebbe tenere. Almeno per ora. A vantaggio della tesi che lunedì non ci sarà l’Eurocatastrofe gioca la sensazione che i mercati si siano rassegnati a volar basso: non c’è aria di panico, ma di rassegnazione, come dimostrano i quantitivi infimi scambiati sulle Borse valori. Se qualche mese fa si poteva temere (a ragione) che l’Europa potesse infettare un mondo in convalescenza, oggi si ha la sensazione che dalla Cina al Brasile fino agli Usa i mercati e i consumatori si siano rassegnati a vivere anni grami, senza speranza, ma senza il rischio di grossi capitomboli: chi è a terra, si sa, più di tanto non può scendere.

Ma l’Italia, che è a terra, ha i numeri per risollevarsi? Senz’altro sì, soprattutto se da lunedì penserà meno alla signora Merkel, alibi di una politica gaglioffa e disonesta, e più a rimettere ordine in casa: un Paese che finora non è riuscito a vendere una sola caserma non è in grado di affrontare quella guerra che ci siamo messi in testa di aver già perso prima di averla combattuta.

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