Dopo un estenuante braccio di ferro conclusosi alle 4 di mattina, pare che Mario Monti l’abbia avuta vinta. Ha posto il veto sul patto per la crescita minacciando di non firmarlo se i Paesi della zona euro non avessero approvato il Fondo taglia spread. L’hanno approvato. Le sue caratteristiche saranno stabilite dettagliatamente nel tempo. Per ora, è stato deciso di affidare ai fondi europei di stabilità finanziaria Efsf ed Esm il compito di intervenire sui mercati per calmierare gli spread. La Bce, si legge in una nota, «ha dato il via libera a fare da agente per i fondi Efsf ed Esm nel condurre le operazioni di mercato». Questi potranno, oltretutto, ricapitalizzare direttamente gli istituti di credito senza dover passare dagli Stati nazionali. Un’opzione che sarà resa concreta nel momento in cui – e questa è la seconda importante novità di ieri – sarà data piena attuazione della legge 127/6 dei Trattati che permette il passaggio della vigilanza bancaria alla Banca centrale europea. IlSussidiario.net ha chiesto a Emilio Colombo, docente di Economia internazionale nell’Università Bicocca, come valutare quanto stabilito nel vertice. «Il Fondo salva spread – spiega – rappresenta un parziale successo. Nel senso che, ora, saranno i mercati a stabilire quanto è rilevante e in che misura le proposte avanzate nel corso del vertice potranno raggiungere l’obiettivo. Di sicuro, è un successo politico. Per la prima volta, non è stata la Germania a porre le condizioni». Anche perché Monti è arrivato con i compiti fatti. «Ha fatto valere il varo di tutte le misure necessarie per mettere i conti pubblici in equilibrio e, in cambio, non ha chiesto dei favori, ma che l’Italia sia messa nelle condizioni di far sì che le misure assunte siano efficaci. Se, infatti, lo spread restasse agli attuali livelli, tutti i provvedimenti e i sacrifici fin qui intrapresi sarebbero vanificati dai miliardi di euro necessari per ripagare gli interessi sul debito».
Quello che Monti poteva ottenere, quindi, l’ha ottenuto: «E’ da sottolineare, anzitutto, il dato politico. C’è stato un cambiamento di indirizzo. Finora, l’Europa ha parlato tedesco. Ora, inizia a parlare altre lingue». Secondo Colombo, il nuovo corso degli eventi è strettamente legato al ruolo della Bce: «Alcuni strumenti sin qui adottati erano al limite del proprio mandato. Quando Draghi ha concesso una serie di prestiti straordinari alla banche, il governatore della Bundesbank aveva fatto trapelare una certa irritazione, facendo presente che l’operazione andava al di là dei poteri dell’istituto. Draghi, dal canto suo, ha fatto più volte presente di aver bisogno di una forte legittimazione politica. La scelta dei Paesi europei rappresenta un messaggio in questa direzione. Ora, la Bce dispone della legittimazione che chiedeva. Mi aspetto, ad esempio, che presto tagli i tassi». In molti pensano che la soluzione ideale sarebbe stata quella di consentire direttamente alla Bce di intervenire illimitatamente e automaticamente sul mercato secondario. «Per fare questo, è necessaria una modifica del suo statuto per il quale è richiesta l’unanimità. La Germania non lo avrebbe mai permesso».
Per Colombo, anche la seconda novità rappresenta un cambiamento decisivo. «Pone rimedio ad un paradosso: ci sono le banche centrali che hanno il ruolo di supervisionare gli istituti degli Stati di cui fanno parte, ma non esiste un organismo analogo a livello europeo. La Bce, infatti, si limita a effettuare la politica monetaria. Tuttavia, il mercato è integrato a tal punto da rendersi necessaria una vigilanza a livello superiore». A fronte di questa interconnessione, la Bce è l’unica in grado di bloccare il rischio sistemico dell’area euro. «Se fosse esistito un organismo del genere, ci si sarebbe accorti subito, per esempio, del rischio sistemico della bolla bancaria spagnola».
(Paolo Nessi)