L’economia italiana, quella reale, è stata definitivamente contagiata dal morbo della crisi, scatenatasi inizialmente come congiuntura finanziaria negativa per poi estendersi al settore produttivo. Lo ha certificato il centro Studi di Confindustria. Spiegando che il campo nel quale abbiamo sempre eccelso che ci ha consentito di reggere all’onda d’urto del dissesto economico degli ultimi anni sta facendo drammatici passi indietro. Parliamo della produzione manifatturiera che arretra dalla quinta all’ottava posizione, scavalcata dall’India, dal Brasile a della Corea del Sud. In particolare, le quote di mercato del nostro paese passano dal 4,5% del 2007 al 3,3% del 2011. Al timone resta la Cina, con il 7,7%, del mercato. Gli Stati Uniti hanno perso, invece, 3,9, la Francia e Regno Unito 0.9, la Spagna 0,7 e il Canada 0,4. Complessivamente, inoltre, la fetta di mercato dell’Europa a 15 pass dal 27,1% al 21%. Secondo lo studio, diverse ramificazioni del nostro tessuto industriale sono a rischio di sopravvivenza. In particolare, le nostre aziende sono messe a repentaglio non tanto dalla competizione internazionale, quanto dalla seconda caduta in recessione e dal calo degli ordinativi. Si tratta di «una carenza difficilmente trascurabile a fronte del netto rallentamento dei consumi interni, diventato vera e propria e prolungata contrazione durante la crisi e con prospettive di ulteriore flessione per gli effetti delle manovre di bilancio restrittive e del credit crunch». Un modo per uscirne ci sarebbe. Peccato che, al momento, la classe politica non si è ancora dimostrata all’altezza. L’unica possibilità, infatti, di risollevarsi è legato ad una seria ed efficace politica industriale. Cosa di cui il nostro Paese è del tutto priva. In particolare, tale pecca è motivata, rileva sempre lo studio, dall’inefficienza della pubblica amministrazione e dal fatto che i governi che si sono avvicendati nel coso degli anni mancavano di una visione a lungo termine. Il centro studi del sindacato degli industriali ha altresì rilevato il declino di un settore che, da sempre, è simbolo del Made in Italy. Ovvero, la moda.
Tutti i beni ad essa legati sono calati, dal 1991 al 2011, dal 21,5% al 13,9% dell’export. Come se non bastasse, la situazione è aggravata dal sisma che ha messo seriamente a repentaglio una delle zone a maggiore vocazione manifatturiera del nostro Paese.