Pubblichiamo di seguito l’intervento di Giuseppe Guzzetti, presidente dell’Acri, con il quale è stato inaugurato ufficialmente il XXII Congresso Nazionale delle Fondazioni di Origine Bancaria e delle Casse di Risparmio Spa.
Gentili Signore e Signori, Autorità, gentili Ospiti e Associati, il mio intervento introduttivo ai lavori di questa giornata, in qualità di Presidente dell’Acri, apre ufficialmente il XXII Congresso Nazionale delle Fondazioni di Origine Bancaria e delle Casse di Risparmio Spa.
Il Congresso è un appuntamento che ogni tre anni traccia bilanci e prospettive per l’attività delle nostre Associate. Quest’anno coincide con il centenario della nascita dell’Associazione: dunque il titolo dell’edizione 2012 si focalizza proprio sul ruolo che le Casse e, poi, insieme a loro, le Fondazioni hanno avuto in questi cent’anni di storia d’Italia, al cui sviluppo hanno entrambe contribuito sia sul fronte economico sia su quello culturale, civile e sociale.
Nella storia di un Paese cento anni sono molti e sono pochissimi allo stesso tempo: l’Italia è profondamente cambiata, così anche le Casse e le Fondazioni. Soggetti non profit, privati, motore di risorse e di progetti per il terzo settore, queste ultime, inventate dal Parlamento poco più di vent’anni fa. Società profit, commerciali private, particolarmente attente al territorio ma disciplinate dal Codice Civile e dalle norme in materia bancaria analogamente alle altre banche, le Casse Spa.
L’anniversario della nascita dell’Acri cade in una delle fasi più difficili della storia d’Italia dal dopoguerra a oggi, su cui si affaccia un futuro che nell’immediato presenta forti difficoltà per il Paese, dove cresce la domanda di welfare così come quella di salvaguardare e valorizzare il risparmio, soprattutto in termini di sviluppo per i territori.
Le Fondazioni e le Casse Spa hanno un ruolo importante per contribuire a dare risposte. E con loro l’Acri, che è stata, è e vuole continuare ad essere, essa stessa, promotrice di crescita e di innovazione: da un lato rimanendo “la casa” delle Casse di Risparmio, di cui ha accompagnato l’evoluzione da enti pubblici ad attivi soggetti di mercato; dall’altro coltivando l’identità di quei preziosi protagonisti della filantropia che sono le Fondazioni di origine bancaria.
Degli scenari che si aprono di fronte alle Fondazioni e alle banche, con noi, insieme a noi, ne parleranno oggi e domani autorevoli Relatori, che qui saluto e ringrazio profondamente tutti, a cominciare da quelli di questa mattina, in primis il collega, l’amico Presidente della Fondazione Sicilia, Giovanni Puglisi, che ci ha aiutato a organizzare questo Congresso. Un Congresso che, se non per altro, certamente sarà memorabile per la terra che ci ospita.
Era l’ultima tappa del “Grand Tour” la Sicilia: chiudeva il viaggio che i giovani aristocratici europei compivano attraverso il continente per perfezionare la propria educazione umanistica. Le culture greca, latina, araba e normanna in questa terra festeggiata dal sole si sono incontrate, sovrapponendosi e contaminandosi. Non hanno, però, lasciato solo vestigia del passato e una grande ricchezza di opere d’arte e di pensiero, ma anche un “habitus” alla convivenza che si offre come concreta possibilità perché si sviluppi un vero dialogo tra l’Europa e i paesi che si affacciano sul Mediterraneo, dal quale né l’Italia né la Ue possono prescindere per il proprio rilancio politico ed economico. E poi la Sicilia è anche il luogo dove, insieme alla Toscana, si è parlato l’italiano per la prima volta e dove, nel maggio del 1860, è cominciata la marcia per l’unificazione del Paese. Ed è ancora qui che martiri dei nostri giorni, come Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, ma anche tanti – purtroppo tantissimi – altri, hanno dato testimonianze fra le più alte e dolorose dei valori di civiltà e di fedeltà alla legge e alle istituzioni, memento stabile per chi vuol difendere la democrazia anche là dove l’illegalità tenta di renderla fragile. É dunque a Palermo, capoluogo eroico di questa Sicilia, che l’Acri ha deciso di celebrare il proprio Congresso del centenario.
Ringrazio i Relatori che interverranno dopo la mia relazione d’apertura: il Vicepresidente del Consiglio Superiore della Magistratura Michele Vietti, il Presidente dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato Giovanni Pitruzzella, il Direttore Generale della Banca d’Italia Fabrizio Saccomanni, che già in altri Congressi ci ha onorato con la Sua presenza testimoniando sempre una grande attenzione alle nostre Associate, Casse di Risparmio e Fondazioni. Ringrazio il Presidente del Consiglio dei Ministri e Ministro dell’Economia e delle Finanze professor Mario Monti, che con il suo intervento da Roma chiuderà i lavori di questa mattina, dando un contributo imprescindibile allo svolgimento di questo Congresso. Al presidente Monti dico, in modo chiaro, che a Lui va la nostra solidarietà e l’augurio del più pieno successo, tra le mille difficoltà che incontra, per quanto sta facendo a favore del nostro Paese. Fra gli obiettivi che in questi pochi mesi ha conseguito voglio sottolinearne uno, sopra tutti, di cui ha grandissimo merito: la credibilità internazionale che con Lui l’Italia ha riacquistato.
Ringrazio i Colleghi e le Autorità che interverranno nel pomeriggio e tutti coloro che parleranno domani. Ringrazio, infine, il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, che in questi anni non ci ha mai fatto mancare la Sua attenzione, rivolgendoci parole che ci hanno sempre dato coraggio, stimolandoci ad andare avanti nell’impegno – delle Fondazioni e delle Casse – per la crescita dell’Italia.
Ringrazio Voi, gentili Ospiti, e Voi, cari Colleghi, Presidenti di Fondazioni e di Casse di Risparmio, che in questi tre anni avete confermato quel grande spirito di unità e di collaborazione che contraddistingue gli Associati Acri e che è visibilmente testimoniato dalla Vostra numerosissima presenza qui oggi. Così come la presenza assai numerosa degli altri Ospiti che hanno inteso partecipare a questo nostro Congresso testimonia un’attenzione verso le nostre Associate che è via via cresciuta nel tempo. Voglio, poi, ringraziare la stampa, che da dieci anni ci segue con una puntualità prima inusitata per i nostri Congressi. Della Vostra presenza Vi siamo grati, quali che siano naturalmente le valutazioni e le considerazioni che farete sullo svolgimento e sui contenuti di queste due giornate.
Chiudo questi ringraziamenti con un grazie speciale a quei ragazzi seduti nei palchi di fronte a me, che ci hanno fatto l’onore e il dono di essere qui con noi oggi. Sono una rappresentanza dei bambini e dei ragazzi del Centro Padre Nostro di Palermo, che insieme ad alcuni operatori del volontariato, partecipano a un’importante iniziativa sostenuta da molte nostre Fondazioni: le crociere di Nave Italia, il brigantino a vela più grande del mondo, che è ancorato in questi giorni nel porto del capoluogo siciliano, in omaggio alla celebrazione del centenario dell’Acri. Questo brigantino naviga lungo le coste del nostro Paese e ha permesso sinora a più di 3.500 ragazzi portatori di disabilità psicofisiche e adolescenti in difficoltà di vivere l’avventura del mare. Realizzata dalla Fondazione Tender To Nave Italia, che è stata costituita dalla Marina Militare e dallo Yacht Club Italiano, l’iniziativa consente ai ragazzi di navigare a vela per cinque giorni lungo le coste del Tirreno e dell’Adriatico, in un’esperienza che ha obiettivi terapeutici e formativi. A tutti loro auguriamo buona navigazione, non solo per mare ma nella vita.
Credo che il XXII Congresso, con la fondamentale Carta delle Fondazioni di recente varata dall’Acri, ma che nei prossimi mesi dovrà trovare la sua concretizzazione negli statuti delle singole Fondazioni, chiuda idealmente un ciclo, più che decennale. Sono infatti passati dodici anni dal XVIII Congresso Nazionale, che si tenne a Torino nel maggio 2000. Ero da poco presidente dell’Associazione e lo ricordo con chiarezza. Si era svolto in un clima di positiva attesa, di ottimismo e di forte impegno a dare attuazione alla riforma “Ciampi” (legge n. 461/1998 e decreto applicativo n. 153/99), da pochi mesi finalmente legge. Avevamo cominciato ad avviare le Fondazioni verso un percorso che le avrebbe portate a sviluppare un’identità “nuova”, dalle grandi potenzialità per il Paese e per la società civile. Sul fronte delle banche, liberamente, senza forzature e senza schemi predefiniti, prim’ancora dell’entrata in vigore della Ciampi, si erano realizzati processi di aggregazione che avevano contribuito alla nascita e al rafforzamento di grandi gruppi bancari nazionali, mentre intorno ad altre Casse stavano crescendo interessanti gruppi bancari regionali, ed altre Casse ancora, nella loro autonomia, rafforzavano la propria posizione a livello locale.
È, dunque, in questo clima positivo che a fine 2001, il Governo, con la legge finanziaria per il 2002 – esattamente con l’art.11 della legge n. 448/2001 – bloccò di fatto, temporaneamente, questo processo evolutivo, tentando di modificare in profondità la riforma “Ciampi”, con la messa in discussione, nei fatti, della natura privatistica delle Fondazioni e della loro autonomia gestionale. Quelli immediatamente successivi furono anni complessi, in cui la gran parte delle nostre energie venne concentrata nel superamento di quest’empasse.
Il Congresso del 2003, dunque, che si tenne a Firenze in giugno, venne celebrato in una fase cruciale del dibattito su questa riforma: si era in attesa del pronunciamento della Corte Costituzionale, a cui il Tar del Lazio, dopo il ricorso dell’Acri e di alcune Fondazioni, aveva rimesso gli atti, ravvisando la sussistenza di profili di illegittimità costituzionale di quell’articolo 11.
Ricordo ancora che al Congresso di Firenze esprimemmo il preciso auspicio che le nostre Fondazioni potessero finalmente godere di un assetto giuridico stabile, che confermasse la loro identità di soggetti privati nella forma e nell’essenza, quali la storia e la stessa normativa le avevano definite nel tempo. E così fu.
Qualche mese dopo il Congresso fiorentino, la Corte Costituzionale si pronunciò con le sentenze 300 e 301 del 29 settembre 2003, facendo chiarezza sul ruolo e sull’identità delle Fondazioni di origine bancaria, che furono consacrate come “persone giuridiche private dotate di piena autonomia statutaria e gestionale” collocate a pieno titolo “tra i soggetti dell’organizzazione delle libertà sociali”. In sintesi, la Corte Costituzionale aveva affermato che l’evoluzione legislativa intervenuta dal 1990 aveva spezzato quel “vincolo genetico e funzionale”, “vincolo che in origine legava l’ente pubblico conferente e la società bancaria” e “trasformato la natura giuridica del primo in quella di persona giuridica privata senza fine di lucro (art. 2, comma 1, del d. lgs. n. 153) della cui natura il controllo della società bancaria, o anche solo la partecipazione al suo capitale, non è più elemento caratterizzante”.
I pronunciamenti della Corte Costituzionale, intesi a configurare in maniera risolutiva l’identità delle Fondazioni di origine bancaria appartenenti ai “soggetti dell’organizzazione delle libertà sociali”, privati e autonomi, furono poi ripresi dal regolamento attuativo (D.M. 18 maggio 2004, n. 150) della legge n. 448, concludendo, così, il lungo periodo di incertezza che aveva condizionato l’operatività delle Fondazioni e permettendo loro di dispiegare appieno il proprio ruolo a favore delle comunità locali di riferimento e dell’intera collettività nazionale.
Con l’assoluta certezza che le Fondazioni, come stabilito dalla legge “Ciampi”, sono e vanno considerati come enti non lucrativi, dotati di piena autonomia statutaria e gestionale, che perseguono scopi di utilità sociale e di promozione dello sviluppo economico, si arrivò al XX Congresso, svoltosi a Bolzano nel giugno 2006. È in quell’occasione che l’on. Tremonti, nella veste di Ministro dell’Economia e delle Finanze, riconobbe alle Fondazioni di coprire un ruolo ormai fondamentale per il Paese.
A 15 anni dalla loro nascita le nostre Fondazioni erano già state destinatarie di oltre trenta provvedimenti legislativi, più gli atti amministrativi come decreti ministeriali, atti di indirizzo e circolari… Erano stati esperiti tutti i gradi della giustizia italiana, da quella costituzionale a quella amministrativa, civile e tributaria, ma anche la giustizia europea si era occupata di loro. La Commissione Europea, a seguito della denunzia di un parlamentare italiano, si era dovuta pronunciare sulle Fondazioni di origine bancaria e aveva affermato che sono enti privati, non profit, con finalità sociali e, quindi, ad esse, non sono applicabili le norme sulla concorrenza. Relatore fu l’allora Commissario europeo professor Mario Monti e devo dire che, conoscendo il suo rigore e la sua integrità, quel pronunciamento ebbe per tutti noi un grandissimo valore. Fu poi la volta della Corte di Giustizia del Lussemburgo che, chiamata da un giudice della Corte di Cassazione di Roma ad annullare la decisione della Commissione, ne confermò invece la fondatezza, ribadendo in una sentenza del gennaio 2006 la natura privata e non profit delle nostre Fondazioni.
Insomma, la più alta magistratura italiana, la Corte Costituzionale, e la più alta magistratura europea, la Corte di Giustizia del Lussemburgo, hanno messo la parola definitiva sulla natura privata e senza scopo di lucro delle Fondazioni di origine bancaria.
Non è senza legittima soddisfazione che possiamo affermare che, in tutte queste vicende, legislative, giudiziarie, amministrative europee, i nostri buoni diritti sono sempre stati riconosciuti e tutelati. Questi risultati, è certo, sono dovuti al fatto che si trattava di “buoni diritti” e non di una litigiosità pervicace delle Fondazioni; ma, soprattutto, sono dovuti alla compattezza delle Fondazioni e all’azione dell’Acri, che si è guadagnata sul campo il proprio prestigio per la serietà e la trasparenza dei propri comportamenti.
Il Congresso di Bolzano fu anche quello in cui si espresse l’auspicio di arrivare alla definizione di uno statuto europeo per le Fondazioni. Da allora molto tempo è passato, ma nel febbraio scorso – grazie soprattutto alla costante attenzione al tema da parte dell’Efc-European Foundation Centre, a cui aderiscono 36 Fondazioni italiane di origine bancaria, e di Dafne-Donors and Foundations Networks in Europe, che è l’associazione delle organizzazioni nazionali delle fondazioni, a cui l’Acri aderisce – la Commissione Europea ha finalmente avanzato una proposta articolata volta a istituire un’unica forma giuridica in ambito comunitario, la Fondazione Europea, che sarebbe sostanzialmente identica in tutti gli stati membri e coesisterebbe con le fondazioni nazionali. Essa potrà essere costituita ex novo, tramite conversione di una fondazione nazionale oppure attraverso la fusione di fondazioni nazionali, acquisendo personalità giuridica al momento della sua registrazione in uno stato membro dell’Unione.
Avere una personalità e capacità giuridica uniche in tutti gli stati Ue eviterebbe di incorrere in tutte quelle incertezze burocratiche, legate a regole spesso diverse nei vari paesi, che tanto incidono in termini di dispendio di tempo e di costi in consulenze giuridiche per realizzare interventi transfrontalieri, i quali invece potrebbero favorire la collaborazione tra più fondazioni di diversi paesi, dando maggior slancio ad attività culturali, progetti di ricerca, di solidarietà, sociali e sanitarie, utili ad aggiungere “anima” all’Europa.
Dal punto di vista del regime fiscale, invece, non ve ne sarebbe uno unico per tutti i paesi, ma si applicherebbe quello del paese d’origine della fondazione: ossia le Fondazioni Europee beneficeranno del medesimo regime fiscale applicato alle fondazioni nazionali e i donatori che le sosterranno avranno diritto alle stesse agevolazioni riconosciute in caso di donazioni a una fondazione istituita nel loro stato membro, che considererà le Fondazioni Europee equivalenti alle fondazioni di pubblica utilità istituite nell’ambito della propria legislazione nazionale.
A questo punto, però, ritengo necessario aprire una parentesi. Da quanto già detto risulta ben chiaro che le Fondazioni di origine bancaria sono riconosciute dalla giurisprudenza – e sono nella sostanza – soggetti non profit. Preciso che essere non profit non vuol dire non fare profitti, ma destinare i profitti derivanti dall’investimento dei propri patrimoni, al netto delle imposte e dei costi di gestione, ad attività utili per la collettività. E questo fanno le nostre Fondazioni: il frutto dei loro patrimoni è messo al servizio di uno scopo, spesso riassunto nella parola filantropia, ma che, forse, potremmo più opportunamente cominciare a chiamare welfare di comunità o di secondo livello.
Affronterò il contenuto di questo tema più avanti. Ora voglio portare la Vostra attenzione su un fatto: l’attuale regime di tassazione non valorizza il ruolo sussidiario delle Fondazioni di origine bancaria e non appare coerente con l’art. 118 della Costituzione, che invece la sussidiarietà, sia verticale sia orizzontale, invita a sostenere e a rafforzare. E il confronto con l’Europa rende ancor più evidente il trattamento sfavorevole applicato alle nostre Fondazioni.
Solo per citare qualche esempio, in Francia la legge finanziaria per il 2005 per le fondazioni con finalità di utilità sociale ha in pratica detassato qualsiasi tipologia reddituale, ossia i redditi da investimenti, da dividendi, da immobili e da terreni, i redditi da attività senza fini di lucro e le attività economiche nei settori rilevanti. Inoltre, le attività commerciali eventualmente esercitate dalle fondazioni scontano la normale tassazione prevista per le imprese solo nel caso in cui vengano perseguiti fini di lucro, altrimenti anche i redditi derivanti da tali attività sono esentati. Anche in Germania vige una fiscalità particolarmente vantaggiosa in quanto i redditi da investimento, se utilizzati per fini sociali, sono esentati; è inoltre consentito l’accantonamento al patrimonio fino a un terzo del reddito da investimento e, nel caso in cui l’attività istituzionale non sia concorrenziale con le imprese a fini di lucro, anche questa è completamente esentata.
In Italia, invece, negli ultimi due mesi si è scatenato un fuoco di fila sulle nostre Fondazioni sul tema dell’Imu, utilizzato a mio parere in maniera pretestuosa per rimettere in discussione l’identità delle nostre Fondazioni, non tenendo in alcun conto né il pronunciamento della Corte Costituzionale del 2003, né il virtuoso esercizio dell’attività filantropica che da anni le nostre Fondazioni svolgono e che mi piacerebbe davvero i media approfondissero un po’ di più, soprattutto quelli che raggiungono il grande pubblico e possono illustrarla bene, con testimonianze dal vivo dei beneficiari.
Ebbene, al riguardo devo dire innanzitutto che non è vero che le Fondazioni di origine bancaria non paghino l’Imu. La pagano su tutti gli immobili, così come pagavano l’Ici, con l’eccezione di quegli edifici destinati esclusivamente a finalità sociali e culturali, in conformità alle disposizioni legislative, alla stregua di tutte le altre fondazioni non di origine bancaria, delle associazioni e degli altri soggetti privati non profit. Non vi è stata pertanto nessuna modifica operata dall’attuale Governo rispetto al precedente regime fiscale relativo all’Ici; è vero, invece, che questo dibattito intorno all’Imu è stato utilizzato per alimentare l’infondata e ingiustificata polemica che l’attuale Governo sia a favore delle banche. Infatti, gli emendamenti, non accolti, che richiedevano di introdurre l’Imu anche sugli immobili destinati a finalità non commerciali per le sole Fondazioni di origine bancaria sono discriminatori rispetto a un’unica tipologia di soggetti tra quelli non commerciali e, dunque, incostituzionali, per non dire persecutori.
Tra l’altro, essendo le Fondazioni di origine bancaria prevalentemente a carattere erogativo – cioè per realizzare l’attività filantropica devolvono risorse agli altri soggetti non profit: organizzazioni del privato sociale ed enti locali – possiedono pochissimi immobili destinati alle attività sociali. Ragion per cui il totale dell’esenzione per tutte le Fondazioni di origine bancaria nel 2012 è pari a soli 600.000 euro, significativamente inferiore all’ammontare dell’Imu che viene invece da esse pagata e che è di circa 3 milioni di euro.
Va altresì tenuto presente che le Fondazioni di origine bancaria sono ottimi contribuenti per il fisco, in quanto la quasi totalità dei loro patrimoni – dai quali traggono le risorse necessarie per l’attività erogativa a favore dei territori di riferimento – è investito in attività mobiliari. E per la tassazione sulle rendite da investimenti finanziari esse pagano come gli investitori profit. Quindi, ad esempio, sono sottoposte alla nuova aliquota di imposta sulle attività finanziarie (pari al 20%) e non godono di alcun trattamento di favore. Segnalo che il passaggio di tale aliquota dal 12,5% al 20%, a partire dal primo gennaio di quest’anno, inciderà per decine di milioni euro di imposte aggiuntive annue sui bilanci delle Fondazioni. Così come la modifica del regime dell’imposta di bollo si tradurrà, a partire dal 2013, in una vera e propria “patrimoniale” pari allo 0,15% sulla quasi totalità dell’attivo, rappresentata appunto da valori mobiliari. Queste imposte aggiuntive andranno direttamente a diminuire di pari importo le risorse che le Fondazioni potranno destinare ai territori. Meno risorse, quindi, per l’assistenza agli anziani, per i giovani, per la cultura, per la ricerca, per le università, per gli ospedali, in uno dei momenti di più intensa crisi dello stato sociale in Italia.
Tornando al Congresso di Bolzano, finisco ricordando che quella fu l’occasione in cui la mozione finale ratificò un progetto fondamentale per l’attività istituzionale di sistema delle Fondazioni: la scelta di creare una fondazione per il Sud – quella che oggi, opportunamente, si chiama Fondazione con il Sud – da realizzare insieme al mondo del Terzo settore e del Volontariato.
Cioè una grande iniziativa nazionale che proseguisse e consolidasse l’intervento avviato già negli anni precedenti dalle nostre Fondazioni con il cosiddetto Progetto Sud, il quale aveva contribuito a creare diversi distretti culturali nelle regioni del Mezzogiorno d’Italia. Ma sull’importanza della Fondazione con il Sud avrò modo di soffermarmi più avanti.
La mozione finale del Congresso di Bolzano indicava che le Fondazioni devono avere una funzione strategica, ovvero fungere da banchieri d’affari sociali, con il compito e la capacità di scegliere in maniera lungimirante i settori in cui intervenire con le erogazioni, studiando e proponendo iniziative intorno a cui aggregare altri soggetti, pubblici e privati. Spingeva a fare passi in avanti nella governance e nell’organizzazione, rafforzando gli organici, acquisendo un’autonomia operativa più piena, con strutture funzionali e profili professionali più congruenti con le finalità da perseguire.
Il “peccato originale” delle Fondazioni di origine bancaria – istituzioni formalmente private, ma nate per decreto pubblico e, all’inizio, pensate, esclusivamente, per preservare un controllo parapubblico su una parte del sistema creditizio – doveva essere definitivamente superato grazie ai contenuti dell’azione delle nostre Fondazioni, dall’acquisizione di una loro crescente consapevolezza del proprio ruolo di corpi intermedi della società che si muovono, come aveva sancito l’Alta Corte nel 2003, quali “soggetti dell’organizzazione delle libertà sociali”. Per cui negli anni fra il Congresso di Bolzano e quello di Siena del giugno 2009, e poi negli anni successivi fino a oggi, le Fondazioni, e con loro l’Acri, si sono impegnate sempre più a sostanziare di contenuti concreti la propria identità.
La mozione del Congresso di Siena si pose dunque sulla linea del Congresso precedente, approfondendola e ampliandola. Pose l’accento sull’importanza da parte delle Fondazioni di una capacità crescente in termini di trasparenza, rendicontazione, valutazione, anche al fine di arrivare finalmente a sgomberare l’orizzonte da qualsiasi accusa di autoreferenzialità. Molto si è fatto; e qui voglio sottolineare fortemente quel percorso molto concreto, ma poco visibile all’esterno, di acquisizione di consapevolezza che ha poi portato nell’aprile 2012 ad approvare la Carta delle Fondazioni.
È una sorta di codice di riferimento volontario, ma vincolante, di cui le Fondazioni di origine bancaria hanno deciso di dotarsi per disporre di un documento guida che consenta loro di adottare scelte coerenti a valori condivisi nel campo della governance e accountability, dell’attività istituzionale, della gestione del patrimonio.
La trasparenza, la pubblicità, l’autorevolezza degli amministratori, l’adozione di best practice, l’ordinato funzionamento degli organi di governo (la cui specializzazione funzionale è volta ad attivare il circuito interno delle responsabilità), assieme alle forme di vigilanza previste dall’ordinamento, rappresentano attributi imprescindibili nell’ambito dei quali l’autonomia viene esercitata. Autonomia che non è discrezionalità e autoreferenzialità, come i nostri poco documentati detrattori vanno dicendo con stucchevole ripetitività. Siamo, infatti, sottoposti a controlli interni (collegi sindacali e società di revisione) e controlli esterni: il Ministero dell’Economia e delle Finanze, che verifica la legittimità dell’operato delle Fondazioni. Ma, soprattutto, c’è il controllo democratico dei cittadini, degli enti pubblici e di quelli privati, che sui nostri siti possono verificare giorno per giorno, ora per ora (non lo dico retoricamente), le attività e le decisioni delle nostre Fondazioni.
Apro qui una piccola parentesi per dire che dopo le sentenze 300 e 301/2003 della Corte Costituzionale, il rapporto tra l’Autorità di Vigilanza e il sistema delle Fondazioni è stato improntato alla massima collaborazione nel rispetto delle reciproche funzioni e delle reciproche autonomie; ne sono grato all’allora ministro Tremonti, al professor Vittorio Grilli, con il quale si è instaurato un rapporto molto costruttivo, al direttore della Direzione IV Alessandro Rivera. Colgo l’occasione per esprimere al dottor Vincenzo La Via, nuovo direttore generale del Mef, un sentito augurio di buon lavoro.
Tornando alla Carta, riguardo alla governance essa stabilisce l’incompatibilità tra cariche politiche e incarichi nelle Fondazioni, oltre a misure atte a determinare una discontinuità temporale tra incarico politico svolto e nomina all’interno di uno dei loro organi: una discontinuità che dovrà essere osservata sia in entrata sia in uscita.
In merito all’attività istituzionale, afferma l’esigenza di una gestione orientata da criteri di economicità, efficacia ed efficienza, insieme a parametri definiti per l’individuazione e la selezione delle iniziative da finanziare. Per la gestione del patrimonio, infine, richiede un’attenta pianificazione strategica degli investimenti, secondo criteri di diversificazione e controllo del rischio, in coerenza con l’obiettivo di generare la redditività necessaria per lo svolgimento delle attività istituzionali, dare continuità all’attività erogativa, fornire uno strumento diretto di sostegno a iniziative correlate alle finalità perseguite.
Insomma, con la Carta delle Fondazioni intendiamo dare pienezza a quanto già indicato dalla legge “Ciampi”, che ha definito la natura delle nostre Fondazioni, i criteri per la gestione dei loro patrimoni, le attività connesse all’erogazione: tre pilastri fondanti della loro identità tuttora validi, per cui non c’è alcuna necessità di iniziative legislative tese a modificare la disciplina che norma le Fondazioni.
Lo affermiamo in modo chiaro e forte: la legge Ciampi non va toccata! Semmai la priorità è che il Parlamento finalmente approvi la riforma, auspicata, della disciplina delle persone giuridiche private, affinché le nostre Fondazioni siano naturalmente ricomprese nel corpo unico proprio degli enti non lucrativi di cui al Titolo II del Libro I del Codice Civile, superando così definitivamente la loro specialità giuridica.
Con la Carta si chiude dunque, come Vi avevo anticipato, quel ciclo avviato dal Congresso di Torino dodici anni fa. Le Fondazioni hanno definito linee guida per un orientamento comportamentale comune, capaci di dare sistematicità alle migliori pratiche già sperimentate e pienezza di attuazione allo spirito delle norme che le regolano. Hanno un’identità nuova, quella progettata dalla “Ciampi”, e ne sono consapevoli. Da se stesse si sono date la guida che le aiuterà ad esprimerla nella più completa pienezza.
La Carta delle Fondazione è nata da un processo il più possibile condiviso. Sono stati costituiti tre gruppi di lavoro coordinati da Marco Cammelli, per la governance, Antonio Miglio, per l’attività istituzionale, e Mario Nuzzo, per la gestione del patrimonio. Essi hanno elaborato il testo poi proposto alle Fondazioni a livello territoriale e solo dopo questa piena e puntuale condivisione la Carta è stata portata per l’approvazione in Assemblea, il 4 aprile scorso. Le cose che abbiamo deciso – e questa è la forza della nostra Associazione – le abbiamo decise assieme, convintamente, dopo dibattiti e confronti. È questo l’indicatore di un’Associazione in buona salute. E un’associazione è in buona salute se c’è una compagine associativa compatta, collaboratori e interlocutori attenti e positivi, e soprattutto, appunto, se si riesce a realizzare – non a parole, ma con i comportamenti – una forte collegialità.
In Acri la collegialità è un metodo e, oltre agli organi – l’Assemblea, il Consiglio, l’Ufficio di Presidenza, il Comitato delle Società Bancarie, il Comitato Piccole e Medie Fondazioni – fondamentale è il ruolo delle nostre Commissioni: da quello più ampiamente consultivo della Commissione Comunicazione, presieduta dal collega Giuseppe Ghisolfi, e della Commissione per la Gestione del Patrimonio Acri, presieduta da Sergio Lenzi, a quello più specificatamente operativo delle altre Commissioni, dove lo scambio franco e costruttivo ha finora generato importanti frutti in termini di iniziative di sistema, oltre ad offrire occasioni di crescita professionale grazie all’intensa attività seminariale. Per ognuna di esse farò solo qualche cenno, utile a capire come si stanno muovendo le Fondazioni, ma mi perdonerete se tralascio fatti importanti. Le cose da dire sono ancora molte e abbiamo illustri Ospiti ai quali dare la parola.
La Commissione Ambiente, presieduta da Piergiuseppe Dolcini, ha portato a un importante protocollo d’intesa fra l’Acri e l’Anci a favore della tutela dell’ambiente, per sviluppare insieme progetti e iniziative per l’educazione e la formazione ambientale, la valorizzazione delle biodiversità, la promozione del risparmio energetico, l’utilizzo di fonti di energia rinnovabili, soprattutto negli edifici pubblici. A questo si aggiunge l’elaborazione, da parte della Commissione, di importanti linee guida per la valorizzazione del contenuto ambientale dell’attività istituzionale delle Fondazioni.
La Commissione per l’Attività delle Fondazioni nei Paesi in Via di Sviluppo, presieduta da Gabriello Mancini, ha messo a punto un progetto per la lotta alla malnutrizione della popolazione di Haiti colpita dal terremoto, realizzato con Fondazione AVSI, Fondazione Rava NPH Italia Onlus, Oxfam Italia. Attualmente la Commissione sta lavorando su un’idea di cooperazione internazionale per interventi a favore di alcuni paesi dell’Africa Subsahariana.
La Commissione per le Attività e i Beni Culturali, presieduta da Marco Cammelli, ha realizzato il progetto R’Accolte. Si tratta di un’ampissima iniziativa di catalogazione informatica e messa in rete delle collezioni d’arte delle Fondazioni, la cui apertura al pubblico verrà avviata nel prossimo autunno. Finora sono state inserite circa 9.000 schede, relative a opere d’arte pittorica, scultorea e ceramica, nonché numismatica e stampe. La Commissione ha anche avviato i protocolli d’intesa sottoscritti dalle Fondazioni con il Ministero per i Beni e le Attività Culturali e con alcune Regioni per il coordinamento degli interventi di valorizzazione del patrimonio culturale delle rispettive aree. Ha poi promosso l’aggregazione di diverse Fondazioni per la realizzazione di un bando da 1 milione di euro dedicato alle imprese culturali giovanili, al fine di sostenerne lo sviluppo e garantirne la sostenibilità di lungo periodo. Il progetto, che si chiama “Funder 35”, partirà a breve e l’obiettivo è contribuire all’avvio di attività, metodi e processi di valenza progettuale duratura anziché prodotti come mostre o eventi.
La Commissione per la Formazione e l’Organizzazione, presieduta da Matteo Melley, ha sviluppato un ampio programma destinato ai dipendenti delle Fondazioni, per rafforzarne le competenze e stimolarli ad assumerne di nuove. Ma ha anche organizzato momenti di approfondimento importanti per gli Amministratori.
La Commissione per l’Housing Sociale, presieduta da Ezio Falco, è impegnata a favorire il raccordo tra le Fondazioni che su questo fronte sono maggiormente impegnate.
La Commissione per il Microcredito, presieduta da Luca Remmert, segue l’evoluzione della normativa in tema di microcredito, la quale devo dire con rammarico resta ancora in attesa della pubblicazione dei decreti attuativi. Come le altre, questa Commissione favorisce il confronto e il raccordo tra le Fondazioni già attive nel settore.
La Commissione per le Questioni Contabili e Statistiche, presieduta da Roberto Marotta, ha promosso una profonda collaborazione tra l’Acri e il Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili. Ne è nato un vademecum che individua norme di comportamento a sostegno dell’esercizio indipendente e professionale delle funzioni di controllo e di vigilanza da parte dei Collegi sindacali nelle Fondazioni, nonché linee guida utili ad aumentare l’efficacia della loro azione e a valorizzare maggiormente il loro ruolo.
La Commissione per la Ricerca Scientifica, presieduta da Andrea Landi, ha elaborato linee guida per la valutazione dei progetti e per l’utilizzo dello strumento dei bandi in questo settore; sta inoltre lavorando su linee guida per misurare l’efficacia a posteriori dei progetti finanziati. Non manca, poi, di dare attenzione alle opportunità di collaborazione fra più Fondazioni, sulla scorta della positiva esperienza del Progetto Ager, avviato negli anni scorsi da 13 Fondazioni, che si sono messe in rete per ottimizzare le proprie erogazioni a favore della ricerca nel settore agroalimentare, onde potenziare le eccellenze dei territori in questo campo.
La Commissione per il Volontariato e i Servizi alla Persona, presieduta da Massimo Giusti, ha elaborato delle interessanti linee guida per rendere più efficace ed efficiente l’intervento delle Fondazioni che operano nel settore.
Infine, in considerazione dell’impegno che le Fondazioni riservano al sostegno e promozione dell’attività di formazione e sensibilizzazione verso i mestieri e l’artigianato, è stata recentemente istituita la Commissione Artigianato Artistico, che sarà presieduta dal collega Gian Piero Maracchi.
È chiaro, insomma, che in questi anni è cresciuto molto il ruolo dell’Acri anche nel coordinamento di iniziative realizzate da più Fondazioni: progetti stabili e di lunga prospettiva, come la Fondazione con il Sud, o semplici iniziative per intervenire in situazioni di emergenza, quali il caso già citato di Haiti, prima ancora quello dell’Aquila, poi in relazione ai disastri geologici che hanno colpito le province della Spezia e di Massa-Carrara; né manca il nostro impegno a favore delle popolazioni colpite dal recente terremoto dell’Emilia Romagna, alle quali ci sentiamo in questo momento particolarmente vicini.
Le nostre Fondazioni metteranno a disposizione 6 milioni di euro, che l’Acri sta raccogliendo proprio in questi giorni. Intendiamo finalizzare queste risorse verso iniziative puntuali e mirate, con una particolare attenzione al sostegno dell’economia locale, la cui tenuta è fondamentale per l’occupazione e la ripresa di quei territori, necessaria per l’Italia stessa.
Ma ci sono anche le scelte operate in occasione delle celebrazioni del 150° anniversario dell’Unità d’Italia. In questo caso le Fondazioni hanno voluto realizzare un progetto di sistema, oltre quelli, numerosissimi, finanziati sui loro singoli territori; così hanno dato un sostanziale contributo per il restauro del Forte di Arbuticci a Caprera, che verrà inaugurato dal Capo dello Stato il 5 luglio prossimo. Né dimentico i Quaderni del Cittadino dell’Osservatorio Permanente Giovani Editori, alla cui realizzazione, per il compleanno dell’Italia, l’Acri ha voluto contribuire direttamente, mentre da anni le singole Fondazioni danno il loro sostegno ad Andrea Ceccherini, presidente dell’Osservatorio, per la realizzazione del “Quotidiano in classe”.
Di enorme rilievo è, infine, l’iniziativa volta a dar vita a un nuovo soggetto, la Fondazione Italiana per l’Educazione Finanziaria, in via di costituzione, che consentirà di dare impulso e sistematicità all’azione formativa in questo campo e che vede impegnate, oltre all’Acri, diverse realtà associative quali l’Abi, l’Ania e Federcasse.
Tutte sono iniziative in cui si è ravvisata l’opportunità di un intervento corale da parte delle Fondazioni, al fine di manifestare come sistema l’impegno e la presenza in risposta a esigenze ritenute prioritarie o di particolare rilevanza generale.
Sino a oggi, la partecipazione a questa tipologia di interventi è stata coordinata dall’Associazione attraverso un’azione di vero e proprio fund raising nei confronti di ciascuna Associata, promuovendone l’adesione e sollecitando la destinazione di risorse. L’Assemblea dell’aprile scorso ha stabilito, invece, che ormai sia tempo che l’Acri si doti di un fondo di risorse, ovviamente alimentato dalle singole Fondazioni, da utilizzare a sostegno di progetti di interesse comune, non solo di carattere emergenziale.
Questo consentirà una maggiore possibilità di programmazione, una più tempestiva risposta alle esigenze di intervento, una più omogenea distribuzione dell’impegno tra Fondazioni e una più elevata efficienza gestionale.
Dalla ricognizione dei temi a cui ci dedichiamo anche in sede associativa è evidente che chi pensa alle Fondazioni come a dei poteri forti, invece che soggetti al servizio della collettività, non ha capito nulla di noi e non vuol capire cosa significhi la parola sussidiarietà e che cosa siano i corpi intermedi. È proprio questo dato di autonomia e di terzietà del ruolo svolto dalle Fondazioni che non viene colto da chi ci rivolge le critiche più populiste.
Le Fondazioni di origine bancaria insieme ad altri organismi, sono importanti corpi intermedi della società, ossia strumenti del pluralismo e della democrazia. Sono soggetti che intervengono in iniziative d’interesse per la collettività con un ruolo sussidiario, ovvero aggiuntivo e non sostitutivo, rispetto agli organismi pubblici, cui è deputato il compito di presidiare i bisogni primari del welfare: un compito al quale non possono venir meno.
In questi anni ci siamo molto battuti per coltivare e affermare in Italia la cultura della sussidiarietà. Ed anche la Carta delle Fondazioni con grande forza rivendica questa terzietà delle Fondazioni rispetto allo stato e al mercato, così come lo è e deve essere per tutto il privato sociale. Una terzietà che è importante e che è difesa dalle stesse organizzazioni del non profit, che numerose hanno firmato un manifesto a sostegno delle Fondazioni, presentato a Roma nei giorni scorsi. Con il terzo settore e il volontariato il rapporto è forte e costruttivo. Hanno avuto modo di conoscerci: di verificare quanto di buono e utile per il Paese possiamo fare insieme. E la Fondazione con il Sud ne è solo l’esempio emblematico.
Le attuali difficoltà, ahimè non solo congiunturali, purtroppo alimentano la tentazione intellettuale di assimilare il ruolo delle organizzazioni del volontariato e del terzo settore – e insieme quello delle Fondazioni che ad esse forniscono un sostegno economico essenziale – a una sorta di parastato, culturalmente distante dalle dinamiche e dai processi di tipo privatistico. Con il risultato di snaturare e corrompere il ruolo di tutto il privato sociale.
Non c’è nulla di più sbagliato, perché la sussidiarietà si basa su un sistema di alleanze per l’interesse generale fra i cittadini, le imprese, i sindacati, la politica e l’amministrazione, ma non comporta la possibilità per i soggetti pubblici di sottrarsi al loro compito istituzionale di operare per la soddisfazione dei diritti e dei bisogni fondamentali della popolazione.
La sussidiarietà che ho in mente è fondata sul pluralismo dei soggetti in campo, con ruoli e responsabilità ben distinti, che siano in condizione di operare non tanto in un’ottica mutualistica che ammortizzi i deficit degli organismi pubblici deputati, quanto di sinergia e capacità di dare valore aggiunto alla qualità della vita. La condizione di base perché la sussidiarietà possa realizzarsi in programmi e azioni concrete è, infatti, la compresenza di più attori, di più competenze, di più funzioni con le relative risorse, che, auspicabilmente, siano capaci di fare rete.
In un contesto in cui i fondi nazionali per gli interventi sociali hanno perso in un anno (dal 2010 al 2011) il 63% delle risorse stanziate dallo Stato è evidente che quello che viene chiamato secondo welfare, o meglio, welfare di comunità, debba essere valorizzato e meglio definito. Welfare di comunità vuol dire mix di interventi di protezione e di investimenti sociali che prevedono anche un finanziamento non pubblico, proveniente da fondazioni, imprese, assicurazioni, fondi di categoria, organismi del terzo settore. Vuol dire, cioè, interventi finanziati, nell’interesse dei cittadini, da una vasta gamma di attori economici e sociali collegati in reti con un forte ancoraggio territoriale, ma aperti al confronto e alle collaborazioni trans-locali anche di raggio europeo. Ecco, questo è il welfare di comunità che immagino e sul cui schema di fondo abbiamo realizzato molte cose in questi anni.
A livello di sistema ho già accennato all’esempio della Fondazione con il Sud. Nata da uno storico accordo tra il mondo delle Fondazioni e quello del terzo settore e del volontariato, quest’esperienza è venuta alla luce con l’obiettivo di promuovere e potenziare proprio le strutture immateriali del Mezzogiorno: ovvero favorire lo sviluppo di reti di solidarietà, in un contesto di sussidiarietà e di responsabilità sociale, attuando forme di collaborazione e di sinergia con le diverse espressioni delle realtà locali. Abbiamo cioè deciso di investire nel “capitale sociale” del Meridione, facendo crescere la fiducia fra i cittadini e tra cittadini e istituzioni.
E solo Iddio sa quanto ce ne sia bisogno in questo momento, in cui dall’impegno di ognuno, delle organizzazioni della società civile, in alleanza con lo Stato, come non mai dipende il contrasto a un’illegalità che sempre più lede non solo la vita economica dei territori, ma incide sull’esistenza stessa dei nostri giovani, compromettendone il futuro, quando non la vita stessa.
La Fondazione con il Sud – e voglio qui cogliere l’occasione per riconoscere che il merito va certamente anche a Savino Pezzotta, che ha avviato questa esperienza, e ora a Carlo Borgomeo, attuale presidente, che la conduce con passione e lungimiranza – è un’iniziativa in cui tutte le nostre Fondazioni credono moltissimo. Dotata di un patrimonio iniziale di circa 315 milioni di euro, al quale le Fondazioni aderenti hanno aggiunto negli anni oltre 149 milioni di euro da destinare alle erogazioni, nel suo primo quinquennio di attività ha erogato complessivamente più di 75 milioni di euro, mentre per altrettante risorse sono state avviate le procedure di assegnazione. Queste risorse sono servite per attivare iniziative volte a combattere la dispersione scolastica, contrastare la “fuga di cervelli” dal Mezzogiorno, favorire l’accoglienza e l’integrazione degli immigrati extracomunitari, nonché creare le prime fondazioni di comunità del Mezzogiorno.
Un altro progetto, importantissimo, e al quale tengo molto, è quello dell’housing sociale, che sta finalmente diventando una cosa concreta su scala nazionale. Grazie alla sperimentazione positiva di singole Fondazioni in questo campo, quattro anni fa l’Acri ha potuto offrire al Governo la proposta di un piano nazionale di edilizia sociale, che realizzerà 20.000 alloggi da dare in locazione a canoni ridotti del 40-50% a giovani coppie, studenti, lavoratori con redditi bassi, immigrati regolari, famiglie monogenitoriali, anziani. Ovvero a quelle categorie sociali che non rientrano nei parametri per l’assegnazione di case popolari, ma che non sono nemmeno in grado di accedere a un’abitazione a prezzi di mercato.
Questi 20.000 alloggi verranno realizzati tramite il Fondo Investimenti per l’Abitare (Fia) promosso da Cdp Investimenti Sgr (società partecipata al 70% da Cdp Spa e al 15% ciascuna dall’Acri e dall’Abi) e i fondi regionali e locali che stanno nascendo in diverse regioni d’Italia, anche grazie all’intervento catalizzatore delle nostre Fondazioni. Il fondo nazionale Fia potrà operare direttamente su quei territori dove i fondi locali non dovessero nascere, ma soprattutto potrà investire fino al 40% nei fondi locali: una quota che mi auguro, anzi chiedo, passi presto al 60%. Questo ruolo di fondo di fondi consentirà al Fia di aumentare il proprio potenziale di base, pari a circa 2 miliardi di euro, e ai fondi locali di decollare.
Forse, però, il piano nazionale di housing sociale con alle spalle il Fia non ci sarebbe mai stato se in questi anni non si fosse ampliato il ruolo della Cassa Depositi e Prestiti, anche grazie all’ingresso nel suo capitale delle Fondazioni di origine bancaria. Nel 2003, infatti, 65 Fondazioni hanno investito 1 miliardo e 50 milioni di euro nel patrimonio della Cassa, pari al 30% del suo capitale, aderendo all’offerta dell’allora Ministro della Economia e delle Finanze, il professor Tremonti, che così privatizzava e rinnovava un ente che lo stesso azionista di maggioranza definiva un gigante addormentato. Un gigante che in questi anni da un lato ha dato ai suoi azionisti un rendimento significativo, dall’altro ha intrapreso un percorso di cambiamento capace di esprimere quelle potenzialità e quel ruolo a favore della crescita e dello sviluppo del Paese, che sono una delle principali ragioni del nostro ingresso nel suo capitale. Eravamo convinti infatti che, pur presente da decenni a sostegno della crescita economica italiana, la nuova Cdp avrebbe potuto fare molto di più grazie a una formula organizzativa rinnovata, che dà oggi modo di coniugare la maggior efficacia del ruolo di propulsore di sviluppo per l’Italia con la capacità di creare valore per i suoi azionisti, in quanto impresa.
Con la privatizzazione del 2003, la Cdp è uscita, infatti, dal perimetro del bilancio pubblico ed ha assunto un ruolo innovativo, abbinando alla tradizionale attività di banca degli enti locali (gestione separata) nuove attività che le consentono di intervenire su fronti strategici per l’innovazione e lo sviluppo anche a fianco di imprese private. Le Fondazioni azioniste hanno sempre avuto un ruolo di stimolo affinché la Cdp dia il più pieno sostegno alla ripresa dell’economia reale, anche tramite la costituzione di fondi di investimento dedicati, non ultimo il Fondo strategico italiano (Fsi) e prima il Fondo per le piccole e medie imprese. Essa, inoltre, partecipa a fondi di private equity destinati alle infrastrutture nazionali e internazionali, come F2i, Marguerite e InfraMed, all’housing sociale come ho già ricordato, all’incentivazione del partenariato pubblico-privato, alla valorizzazione del patrimonio immobiliare pubblico. E credo che sempre più nel futuro il suo ruolo di servizio allo sviluppo sarà importante per la ripresa del Paese. In questi centocinquant’anni di storia nazionale a sostenere lo sviluppo del Paese sono state soprattutto le banche. E tuttora abbiamo un sistema bancocentrico, per cui il loro ruolo è anche oggi cruciale. Non hanno sempre svolto nello stesso modo questo compito e soprattutto negli ultimi venti anni hanno realizzato un cambiamento profondo: il superamento della supposta antinomia tra la corretta prestazione di un servizio d’interesse pubblico essenziale – quale quello della tutela del risparmio e dell’intermediazione creditizia – e la possibilità, direi anche la capacità e il dovere, di fare impresa, appunto impresa bancaria. L’ultimo decennio del secolo che si è appena concluso ha visto il progressivo affermarsi della logica e delle regole del mercato, la privatizzazione delle banche pubbliche e la loro trasformazione in società per azioni: un’evoluzione profondamente legata alla progressiva affermazione del mercato unico europeo nel settore del credito.
Qui, peraltro, dovrei fare un lungo inciso, per rimarcare che l’accresciuta interdipendenza delle economie e l’assetto pienamente multipolare dell’economia mondiale stentano a trovare modalità di funzionamento adeguate, che non lascino aperti spazi, purtroppo ora estremamente ampi, a quegli operatori collettivi che mirano a raggiungere risultati finanziari in un’ottica di tempo breve, spesso brevissimo. Tra essi mi riferisco, in particolare, a quelle istituzioni che la pubblicistica ufficiale chiama collettivamente “sistema finanziario ombra”, un’espressione che sottolinea come la scarsa trasparenza sia una caratteristica essenziale di questi operatori. Queste istituzioni, pur intervenendo ampiamente nei mercati finanziari, sfuggono a gran parte dei vincoli regolamentari cui sono sottoposte altre istituzioni finanziarie quali ad esempio le istituzioni creditizie. E tipico di questi operatori è l’ampio ricorso a contratti derivati e a strumenti finanziari caratterizzati da un’elevata leva finanziaria: un’operatività che contribuisce spesso in modo decisivo ad esasperare le fasi di ribasso o di rialzo dei mercati.
È necessario ricondurre la finanza alla sua funzione positiva, che in parole chiare e semplici si può così riassumere: contribuire ad attenuare e a risolvere le difficoltà dell’economia reale, non determinare una loro esasperazione; creare valore per l’intera comunità, non extra-profitti per esperti di speculazione.
Se si guarda all’Europa molto è stato fatto, ma è evidente che non basta data la gravità dei problemi ancora irrisolti. La crisi ha sottolineato ripetutamente e con forza che la debolezza dell’Unione Economica e Monetaria è in misura non secondaria legata alla profonda asimmetria tra la parte “monetaria” e la parte “economica”, con la prima largamente completata e la seconda invece ancora in larga parte da costruire.
Si tratta di un nodo non facile da sciogliere perché, come avvenuto per la politica monetaria, anche nel caso della gestione dei bilanci pubblici la soluzione deve necessariamente prevedere una cessione di sovranità decisionale a favore di istituzioni comunitarie. Senza adeguate rinunce e concessioni, senza la messa a punto di nuove forme di cooperazione tra le diverse aree economiche – e all’interno di esse tra paesi in difficoltà e paesi più solidi – il sistema economico europeo e quello mondiale non riusciranno a trovare un profilo di sviluppo sostenibile. Il mantenimento del controllo dei conti pubblici non è sufficiente; bisogna finalmente attivare strumenti per lo sviluppo.
Per quanto riguarda le banche italiane, rispetto alle altre sono molto più banche commerciali orientate al supporto della economia reale. Due dati (bilanci 2011) lo confermano in maniera chiara. Il primo è il rapporto fra il totale degli impieghi e il totale dell’attivo: in Italia ammonta al 62,2% contro il 27% in Germania, il 28,7% in Francia e contro una media negli altri cinque principali Paesi Ue (Germania, Francia, Gran Bretagna, Spagna e Olanda) del 41,8%. Segnalo, inoltre, che tra settembre 2008 e dicembre 2011 gli impieghi delle banche italiane sono cresciuti del 9,2% contro un modesto aumento del 2,1% nell’intera eurozona. Il secondo dato, che rende ancor più evidente il radicamento nell’economia reale delle banche italiane, è il rapporto fra il totale degli investimenti finanziari e il totale degli attivi: per le nostre banche è del 22,6% contro il 52,8% in Germania, il 48,2% in Francia e una media negli altri cinque principali Paesi Ue del 34,1%.
Le attuali banche italiane di fatto sono “figlie” della legge “Amato”, che promosse la trasformazione degli enti creditizi pubblici in “società per azioni operanti nel settore del credito”. E se la privatizzazione delle grandi banche pubbliche si è concentrata nella seconda metà degli anni Novanta, per quanto riguarda le Casse di Risparmio e le Banche dei Monti di credito su pegno il processo di trasformazione cominciò subito, per perfezionarsi anch’esso negli anni successivi e concludersi sul finire del decennio, con la legge “Ciampi”.
Le Casse di Risparmio, sorte agli inizi dell’Ottocento, erano istituti nei quali convivevano due anime: quella rivolta all’esercizio del credito e quella dedicata a interventi di utilità sociale nei confronti delle comunità di riferimento. Dando attuazione ai principi recati dalla legge “Amato”, esse conferirono l’azienda bancaria a una nuova apposita entità giuridica (Cassa di Risparmio Spa), per assumere la qualificazione di Ente conferente (poi denominato Fondazione) al quale furono assegnate finalità di interesse pubblico e di utilità sociale, che già erano previste negli statuti delle Casse di Risparmio.
Fino al 1994 le Fondazioni ebbero l’obbligo di mantenere il controllo della maggioranza del capitale sociale delle relative Casse, dette anche banche conferitarie. Con l’entrata in vigore della legge n. 474/94 tale obbligo fu eliminato e furono introdotti incentivi fiscali per la dismissione delle partecipazioni detenute (direttiva “Dini” dello stesso anno). Ciò favorì l’avvio di un processo di diversificazione degli assetti societari delle banche partecipate, che consentì di coniugare il raggiungimento di una dimensione adeguata delle società bancarie alle esigenze del mercato con il mantenimento del loro radicamento territoriale.
Posso dire che nel processo di dismissioni le Fondazioni tennero presente – oltre la buona remunerazione del capitale disinvestito, come era giusto per la valorizzazione dei loro patrimoni – anche l’opportunità di cominciare a creare dei “campioni” nazionali in grado di competere su un mercato che si andava sempre più internazionalizzando.
Nel 1998, con l’approvazione della legge “Ciampi” e con il successivo decreto applicativo del ‘99, l’iniziale obbligo di detenere la maggioranza del capitale sociale delle banche conferitarie fu sostituito da un obbligo opposto: la perdita da parte delle Fondazioni del controllo delle società stesse. Unica eccezione le Fondazioni di minor dimensione o con sede in regioni a statuto speciale, che poterono mantenere quote superiori al 50% grazie a una deroga introdotta nel 2003 per favorire il permanere sui territori di banche autonome rispetto ai grandi gruppi creditizi che si andavano formando: ciò in un’ottica di diversificazione della dimensione degli operatori e di servizio legato alla storia e all’economia locali.
Non stupisce, dunque, che le Fondazioni siano tuttora azioniste delle banche italiane: delle Casse di Risparmio Spa e dei gruppi nati dalle aggregazioni realizzatesi negli anni. Azionisti stabili che non hanno mai fatto mancare il necessario sostegno per la crescita e il rafforzamento delle loro partecipate, anche, e soprattutto, in frangenti complessi come quelli degli ultimi anni e ancor più dei nostri giorni. Ma di questo credo si parlerà approfonditamente domani nella sessione dei lavori specificatamente dedicata alle banche, in cui interverrà l’amico e collega, il vicepresidente dell’Acri e devo dire anche Vicepresidente vicario dell’Abi, Antonio Patuelli, che in Acri presiede il Comitato delle Società Bancarie.
Le Fondazioni hanno sottoscritto consistenti aumenti di capitale in questi ultimi anni, evitando così che dovesse entrare in campo lo Stato – e quindi i soldi del contribuente – per rafforzare i patrimoni delle banche italiane, come è invece avvenuto negli Stati Uniti e in altri paesi in Europa, e dove continua ad avvenire. Questo aspetto delle banche italiane partecipate dalle Fondazioni non viene mai messo in evidenza. Qualcuno auspica che le Fondazioni vadano fuori dalle banche, ma se le Fondazioni non avessero sottoscritto gli aumenti di capitale necessari per ripatrimonializzare le banche sarebbe dovuto intervenire lo Stato con soldi pubblici, cioè i denari dei contribuenti, come è stato negli Usa, in Gran Bretagna, in Germania con le Sparkassen, le Landesbanken, la Commerzbank, e come sta avvenendo in questi giorni in Spagna.
Da parte delle Fondazioni non si è trattato dunque di voler mantenere posizioni di forza nelle banche, ma di accollarsi un impegno – gravoso – nell’interesse della banca e della stessa Fondazione, la quale ha cercato così di difendere il valore di un proprio asset. Ma anche e soprattutto, riteniamo sia stato nell’interesse del Paese.
Le banche italiane sono solide e finora hanno prosperato perché hanno saputo diventare impresa, ma non hanno dimenticato di essere comunque organismi che dal sociale traggono la loro forza. Il legame con il territorio, vitale per molte attività economiche, per le banche è ancor più decisivo.
Nel contesto delle aziende di credito italiane le Casse Spa sono quelle per le quali probabilmente più impegnativo è stato il processo di evoluzione. Malgrado questa loro profonda evoluzione, è confortante constatare che la loro specificità rimane e spesso si è estesa ai grandi gruppi bancari di cui molte sono entrate a far parte. La loro storia è descrivibile come un continuo tentativo di contemperare gli obiettivi del profitto con quelli di garantire la sicurezza dell’investimento ai risparmi raccolti e una presenza di servizio nel territorio; sicché le originarie finalità sociali sono ancora parte integrante del loro profilo, anche per il ruolo di azionista delle Fondazioni.
Negli anni Novanta molti hanno creduto che questa evoluzione portasse verso la definitiva chiusura dell’alternativa fra l’essere soggetto attivo della realtà territoriale e l’essere operatore che finalizza la sua attività alla realizzazione di profitti. Allora come adesso penso che questa lettura sia miope e fondamentalmente erronea: non si tratta di un’alternativa ma, al contrario, di una necessaria interazione. Solo una banca che sa operare in modo efficiente può aiutare lo sviluppo della realtà in cui opera e solo nel rapporto con un’economia in sviluppo si pongono le condizioni per la crescita di una banca efficiente. Deve essere però altrettanto chiaro che non serve avere banche efficienti se non contribuiscono allo sviluppo dei territori nei quali operano.
Chiudo ricordando che le Fondazioni di origine bancaria non controllano le banche, ma semplicemente una parte del loro patrimonio è investita in questo settore. E che gli amministratori delle Fondazioni non interferiscono – e non possono interferire – nella gestione delle banche.
Le Fondazioni sono investitori istituzionali e, come tali, hanno i diritti propri degli azionisti (cioè approvare i bilanci e nominare gli amministratori), nulla di più. La normativa vigente dispone la totale incompatibilità tra gli amministratori delle Fondazioni e gli amministratori delle banche. Presidenti, consiglieri, sindaci, direttori e segretari generali delle Fondazioni non possono sedere negli organi delle banche, né delle società controllate e partecipate.
In merito, poi, al preoccupato allarme sul rischio che le Fondazioni possano rappresentare la cinghia di trasmissione per mettere negli organi delle banche i rappresentanti dei partiti, è da sottolineare, oltre alla suddetta incompatibilità, anche il fatto che non è vero che gli enti pubblici (Comuni, Province, Regioni) abbiano la maggioranza negli organi delle Fondazioni.
Saggiamente la riforma “Ciampi”, e in modo ancora più esplicito la sentenza n. 301/2003 della Corte Costituzionale, ha previsto che la componente “pubblica” non debba avere la maggioranza nell’organo di indirizzo delle Fondazioni; anzi, la componente pubblica deve essere minoritaria, spesso largamente minoritaria, in particolare nelle Fondazioni associative. Sono certo, inoltre, che la corretta applicazione della Carta delle Fondazioni renderà ancor più concreta questa separazione rispetto alla politica.
In merito agli altri investimenti delle Fondazioni, essi sono la maggioranza. Si tratta prevalentemente di attività finanziarie gestite in proprio o tramite terzi, mentre gli investimenti in attività immobiliari, come ho già detto sono assolutamente marginali. C’è poi una piccola parte dell’attivo, circa l’1 e mezzo per cento, investito in società strumentali e altri impieghi funzionali alla realizzazione della missione delle Fondazioni: una scelta che si sta affermando sempre più come filosofia di gestione degli investimenti. Si spazia da partecipazioni in società per lo sviluppo dei territori, inclusa la Cassa Depositi e Prestiti, a quelle dirette e indirette in autostrade, aeroporti ed altre infrastrutture locali, municipalizzate e fondi etici.
Ho parlato molto, spero non troppo. Non ho detto tutto ciò che avrei voluto. Voglio, però assicurare al Presidente del Consiglio e al Paese che il sistema delle Fondazioni e le Casse di Risparmio continueranno a fare la loro parte per la crescita dell’Italia, avendo di mira solo l’interesse di questo nostro Paese in difficoltà. E questa non è un’affermazione retorica. Essa trova conferma in tante cose fatte, come la già citata Fondazione con il Sud e il piano per l’housing sociale. Per il futuro lavoreremo a una proposta operativa per realizzare un autentico e più ampio welfare comunitario: ovvero pubblico e privato insieme, per non lasciare senza risposte – rassegnandoci alla riduzione di risorse pubbliche – quei bisogni che è necessario soddisfare per mantenere la coesione sociale nelle nostre comunità: l’attenzione agli anziani, ai disabili, agli immigrati, ai giovani in difficoltà, alle situazioni di infanzia negata e di povertà. A questi bisogni il welfare di comunità dovrà rispondere, per evitare che la disgregazione sociale si sommi alla crisi economica e a tassi di disoccupazione giovanile non accettabili per un paese democratico. Questo è l’impegno prioritario che in modo solenne assumiamo in questo Congresso per l’immediato futuro.