Molti lettori scrivono che a loro sembra stia cadendo il cielo addosso. In realtà, non c’è una catastrofe, ma è in atto un riaggiustamento globale che in effetti costringe le nazioni a un cambiamento discontinuo. Che va capito. Solo il mercato statunitense cresce grazie ai consumi interni, mentre tutti gli altri più importanti – Cina, Giappone, Germania, ecc. – fanno crescita solo grazie all’export. In sintesi, l’economia non è veramente globale, ma dipende dalla crescita americana.
Tale configurazione del mercato ha un motivo storico: nei decenni passati l’America assorbiva tante importazioni da indurre tutte le altre nazioni a darsi modelli economici più basati sull’export che sulla crescita interna. Anche perché tale scelta permetteva di mantenere un forte protezionismo sociale all’interno, cioè il consenso basato sull’assistenzialismo, perché la sua inefficienza era bilanciata dai profitti via esportazione.
Ciò ha reso possibile creare e sostenere nelle nazioni esportatrici dei modelli inefficienti: il welfare assistenziale in Europa, il sistema consociativo in Asia, per esempio Giappone e Corea del Sud, e l’organizzazione disordinata e sbilanciata del mercato interno cinese. Ora la locomotiva americana è diventata troppo piccola per trainare tutto il pianeta. In più le si è bucata la caldaia nella crisi finanziaria del 2008. Per questo la sua crescita è insufficiente per reggere la domanda globale. E ciò costringe tutte le nazioni a fare più crescita interna e meno via export.
Ma è difficilissimo cambiare modello interno in poco tempo. Infatti, per prendere tempo senza cambiare e continuare il modello trainato dall’export le nazioni tendono prima a svalutare la moneta: la Cina endemicamente, l’America stessa, ecc. L’euro è rimasto alto perché per la Germania, in realtà, il suo valore di cambio, comparato al marco teorico, era competitivo. Ma tale valore ha ridotto la competitività del resto dell’Eurozona. Ora l’euro sarà abbassato, ma ciò non risolverà il problema. Le euronazioni dovranno per forza ridurre di almeno un terzo spesa pubblica e tasse per lasciare più capitale nel mercato interno e permettergli di crescere via consumi ed investimenti.
Il punto: il mercato finanziario teme che nazioni come l’Italia non riusciranno a ripagare il debito perché non sapranno cambiare il modello per fare più crescita interna nel nuovo mondo non più trainato dall’America. La salvezza della nazione si baserà su un cambiamento totale, e non certo su uno limitato, del modello economico.
Cosa vuol dire, in dettaglio, per l’Italia? A occhio significa: (a) tagliare di almeno 150 miliardi la spesa pubblica e le tasse in un periodo di 5 anni; (b) ridurre con operazioni di finanziarizzazione e dismissione del patrimonio di almeno 400 miliardi il debito (ora attorno ai 2 trilioni di euro) nell’arco di tre anni per dare un impulso alla ristabilizzazione finanziaria della nazione e del suo sistema bancario depresso anche dal rischio sovrano (i rating) troppo elevato; (c) togliere tutti i vincoli burocratici che deprimono e caricano di costi eccessivi le dinamiche di libero mercato; (d) mantenere il pareggio di bilancio per comunicare al mercato che il debito, prima di essere tagliato, comunque non aumenterà e quindi sarà affidabile già per questo motivo.
Poi altri cambiamenti saranno necessari a livello di Eurozona, il più importante la trasformazione della Bce in una vera Banca centrale, con poteri di vigilanza sovranazionali e capacità di prestatore di ultima istanza anche nei confronti delle nazioni e dei loro debiti. Ma affinché ciò avvenga sarà prima necessario un totale cambiamento del modello nazionale. Preparatevi: il cielo cadrà addosso solo a chi non sa cambiare.