La spending review sta scontentando praticamente chiunque. I 24mila lavoratori del pubblico impiego che saranno esuberati, ma anche i sindaci e i governatori di Regione che rischiano un’indiscriminata decurtazione delle proprie risorse finanziarie. A prescindere della virtuosità o meno dell’amministrazione che reggono. Il presidente del Veneto, Luca Zaia, ai microfoni di Radio 24 si è detto addirittura pronto ad impugnare il provvedimento. «Sono assolutamente convinto che la Spending review così com’è impostata – ha dichiarato – sia incostituzionale. Quindi faremo ricorso alla Corte costituzionale». Luca Antonini, presidente della Commissione paritetica per l’attuazione del federalismo fiscale, ci spiega come stanno le cose.



La spending review è incostituzionale?

La disciplina attuale ha dei limiti che andrebbero analizzati nel dettaglio. In essi sono ravvisabili elementi di irrazionalità che, in seguito ad un esame accurato e approfondito, non è escluso possano diventare di incostituzionalità. Per il momento, tuttavia, non possiamo affermare che tali profili sussistano.



A quali limiti si riferisce?

Anzitutto, i tagli alle risorse degli enti locali vengono ripartiti prendendo in considerazione la spesa per acquisti di beni e servizi registrata nel 2001. Ma così facendo, non si fa altro che riproporre i tagli lineari in vecchio stile. Molti Comuni, infatti, in quell’anno possono aver effettuato massicci interventi di spesa a fronte, magari, di dieci anni di risparmi. E’ evidente, quindi, che considerare un Comune più o meno virtuoso a seconda della spesa di un singolo anno, è un criterio privo di razionalità. Tutt’al più, sarebbe stato più sensato contemplare la media della spesa degli ultimi dieci anni. In ogni caso, il criterio preferibile è un altro.



Quale?

La Commissione tecnica per l’attuazione del federalismo fiscale sta approvando i costi standard dei 6700 Comuni italiani e ha già approvato quelli relativi alla polizia locale di tutti; essi rappresentano il costo di un servizio erogato in condizioni di efficienza e tengono conto di tutti i parametri di contesto in cui quel servizio si inserisce. Questo è l’unico criterio scientifico in grado di definire con precisione quali comuni siano da considerare virtuosi e quali stiano sprecando. Tale principio, oltretutto, è previsto dalla Costituzione, dalla legge 42 del 2009 (approvata dal Parlamento con larghissima maggioranza) ed è considerato da tutti i sistemi Ocse Paesi Ocse come il criterio di perequazione tributaria più avanzato. Sarebbe bizzarro che l’Italia, dopo essersene finalmente dotato, tornasse indietro di anni.

Quanto detto finora, vale anche per le Ragioni?

Certamente. Purtroppo, per quanto riguarda, in particolare, i tagli alla sanità, non è citato alcun criterio improntato alla razionalità; tantomeno, si fa menzione dei fabbisogni standard. Anche qui, siamo di fronte a semplici tagli lineari.

Come si dovrebbe intervenire?

Va detto,anzitutto, che occorrono dei processi di revisione dei sistemi sanitari che rispettino l’autonomia costituzionale delle Regioni. Se non si possono chiudere automaticamente i piccoli ospedali, sarebbe necessario trovare un modo per spingere i presidenti di Regione a farlo. L’eccellenza sanitaria delle regioni del nord, infatti, si è basata anche sulla chiusura dei piccoli ospedali, sulla concentrazione delle risorse nei grandi centri e sulla possibilità di curare le cronicità attraverso servizi di assistenza in strutture extra ospedaliere o domicilio. Anche il tal caso, andrebbe adottato il criterio dei costi standard, arrivando a ipotizzare il commissariamento di quei governatori che non li rispettino. Il federalismo fiscale, infatti, offre degli strumenti – che potrebbero essere potenziati – quali il potere sostitutivo nei confronti dei presidenti inadempienti.

Per come è stata messa punto finora, quali effetti potrebbe produrre la spending review?

Il criterio dei costi standard è l’unico che consenta non tagliare le risorse e i servizi, ma solo gli sprechi. Prescinderne, rischia di penalizzare alcuni modelli di efficienza e avviare spirali perverse.

Come giudica, infine, l’istituzione di una centrale unica per gli acquisti

Dobbiamo fare una distinzione: le spese relative agli acquisti, nel caso delle Regioni poco virtuose, sono, effettivamente, foriere di malaffare e la loro centralizzazione rappresenterebbe una novità positiva; nel caso di quelle virtuose, invece, è impensabile che il loro livello di efficienza  possa essere superato dall’amministrazione centrale.

 

(Paolo Nessi)

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