Al famigerato spread è stato conferito un peso specifico. Ogni cento punti base – certifica l’Istat – l’Italia sborsa circa tre miliardi di euro in più all’anno. Ora, se il differenziale tra i titoli italiani e gli omologhi tedeschi continua a veleggiare sopra i 450 pb, e se, già adesso, spendiamo 60-70 miliardi di euro l’anno solo per ripagare gli interessi sul debito, non bisogna fare chissà quali calcoli per capire che l’ulteriore esborso ci danneggerà parecchio. Di tanto in tanto una buona notizia tampona la situazione. Oggi, per esempio, sono stati messi all’asta 10,42 miliardi di Bot a un rendimento pari al 2,697%, in netto calo rispetto al mese scorso (3,97%). Sullo sfondo, tuttavia, resta un clima incerto, aggravato dallo stallo dello Scudo antispread e da un’estate che si prospetta, finanziariamente, turbolenta. Fare previsione sulla sostenibilità del nostro debito, in ogni caso, non è attualmente impresa facile. «Ovviamente, non si possono reggere tassi eccessivamente elevati a lungo; ma i tassi, di per sé, non sono sufficienti a indicare quanto lo scenario sia preoccupante», afferma, raggiunto da ilSussidiario.net, Marco di Antonio, professore ordinario di Economia presso l’Università di Genova. «Occorre considerare una serie di fattori quali l’inflazione e la crescita basse, la composizione del nostro debito (che per fortuna, a differenza del passato, è per la maggioranza in mano italiana), e l’incidenza del rapporto debito/Pil al 120%, tale da rendere lo sforzo per ottenere un avanzo primario sufficiente a ripagare gli interessi sul debito notevolmente arduo».
Il quadro è notevolmente complicato dal fatto che l’attribuzione del compito di scudo anti-spread all’Esm, i cui meccanismi tecnici sono ancora da definire, sono messi a repentaglio dalla Corte costituzionale tedesca. Che non solo potrebbe bocciare lo strumento; ma ha fatto sapere che, per pronunciarsi, potrebbe impiegarci mesi. E, anche laddove decidesse di approvarlo, potrebbe imporre al Parlamento tedesco la ratifica di qualunque sua iniziativa. «Questa circostanza riflette un altro gravissimo problema: il sistema finanziario e i movimenti di capitali pesano sempre di più, mentre i loro tempi non sono assolutamente compatibili con quelli della politica». Non che prima la politica agisse con celerità. «Ma la finanza – continua Di Antonio – non aveva il potere di condizionamento che ha oggi». Siamo ben lungi dal venirne a capo: «Non si può certo pensare di rallentare il sistema finanziario; né di accelerare quello politico. Le soluzioni che il primo attende dal secondo non si conciliano con i regimi democratici».
Cosa interessa, di preciso, ai mercati? «Del Fondo Salvastati o di strumenti analoghi non importa granché. Li considerano palliativi. L’unica cosa che vogliono è la mutualizzazione europea dei debiti sovrani, l’unica misura in grado di garantirne la solvenza. Pretendono, cioè, che l’Europa raggiunga in tempi rapidissimi l’unione politica, cosa che non è riuscita a ottenere in dieci anni». Si diceva del caldo agosto che si prospetta: «Effettivamente, in genere, è un brutto periodo: Nei mercati, infatti, c’è meno operatività e le correnti speculative hanno un alto impatto. Mentre UNA quota di mercato non opera, i fondi speculativi hanno modo di impattare maggiormente sui prezzi».
Anche in tal caso, tuttavia, ciò che pesa maggiormente è «il profondo disallineamento tra quanto i mercati chiedono e quello che l’Europa è disposta a offrire». Ovvero: «la volatilità dei mercati è tale che intuiamo come una dichiarazione in più o una in meno cambi tutto. Basterebbe, quindi, che, prima di andare al mare, i governanti europei mettessero nero su bianco alcuni impegni, invece di continuare a nicchiare. Nel tentare di prevedere l’andamento estivo dei mercati, non bisogna scordare che la stagionalità (agosto è un mese tradizionalmente non favorevole) resta un fattore meno importante delle parole che verranno pronunciate dai politici e da come i mercati le interpreteranno».
(Paolo Nessi)