Comunque vada, andrà male. O quasi. Il Fondo monetario internazionale ha dipinto per l’Italia sette possibili scenari. Sette differenti gradazioni, dalla più catastrofica alla più ottimista. Nella peggiore delle ipotesi, dobbiamo aspettarci, tra il 2013 il2017, un aumento di 100 punti base dello spread, il rallentamento della crescita di un ulteriore punto e il rapporto debito/Pil al 140%. Con il procedere delle sfumature verso la prospettiva più ottimistica, ogni scenario vede aumentato il Pil, ridotti lo spread e il deficit rispetto al precedente, fino all’ipotesi maggiormente auspicabile: rapporto debito/Pil al 106% e un rialzo di 6 punti di Pil in cinque anni. Peccato che quest’ultima eventualità sia stata paragonata ad una sorta di miracolo. Ogni congiuntura prevista, infatti, deriva dal rapporto tra una serie di variabili quali il persistere della crisi e l’attuazione delle riforme. Gustavo Piga, professore ordinario di Economia politica presso la facoltà di Economia dell’Università degli Studi di Roma Tor Vergata spiega a ilSussidiario.net come invertire il trend. «Se disponessimo unicamente delle riforme, per plasmare il nostro destino, sarebbe un enorme problema. Si presume, infatti, che l’impatto sostanziale sul trend di crescita non si produca prima di cinque anni. E, in ogni caso, per il momento, l’unica riforma azzeccata, seppur con luci ed ombre, è quella della pubblica amministrazione». Che, tuttavia, è ampliamente insufficiente. «Sarà già tanto se quanto messo a punto scongiurerà l’aumento dell’Iva. Tuttavia, sul medio periodo, solo riuscendo a snidare tutti gli sprechi, che corrispondono a ben il 3% del Pil, potremo ottenere le risorse per varare una serie di interventi efficaci». Impresa non semplice, perché andare a tagliare quanto non è effettivamente uno spreco inasprisce la spirale recessiva. «Si tratta di un’operazione analoga a quella chirurgica, ove un minimo errore può causare la morte del paziente. Va detto, inoltre, che nel nostro caso il paziente, posto che l’operazione vada a buon fine, si rimetterebbe in piedi solamente diversi anni». Prima di venire alle soluzioni, vanno fatte altre considerazioni per inquadrare il contesto: «Sappiamo che l’unica fonte di sopravvivenza dell’economia europea sono le esportazioni; ma gli stessi Paesi emergenti stanno rallentando. Va detto, inoltre, che se il ciclo economico mondiale non riparte è in parte colpa nostra. Se, infatti, metà dei nostri prodotti sono esportati e se si è deciso che “recessione è bello”, chiedendo a Spagna, Portogallo, Grecia e Italia di fare politiche recessive, significa che ci stiamo dando la zappa sui piedi». Di conseguenza: «salvo un nuovo boom dell’economia mondiale, con le riforme soltanto, dell’euro, tra cinque anni, non resterà nulla. A meno che non prendiamo il nostro destino nelle nostre mani». Ecco, quindi, come uscirne: «In un momento in cui la domanda esterna non tira più come una volta, mentre all’interno i consumi sono bloccati, l’unico fattore in grado di sbloccare la situazione è la spesa pubblica. Abbassare le tasse sarebbe inutile. Le famiglie avrebbero egualmente paura a consumare e non lo farebbero». L’intervento pubblico dovrebbe svilupparsi su due fronti: «Anzitutto, va attuata una politica europea coordinata di massicci acquisti da parte della Bce di titoli all’emissione». E’ noto, tuttavia, che la Bce non avrà mai il potere di farlo, perché la Germania non lo consentirà. «Fino a pochi anni fa, tante altre cose si ritenevano impensabili. Possiamo, quindi, ben sperare che la Germania comprenda che l’Europa rischia di essere seriamente compromessa tra uno o due anni». Le misure fin qui messe a punto, secondo Piga, avrebbero ben scarsa efficacia.
«Lo scudo antispread avrebbe una potenza di fuoco decisamente limitata. La sua incidenza sui mercati sarebbe pressoché nulla. Nel momento stesso, invece, in cui la Bce fosse dotata del potere di acquisire illimitatamente, non si renderebbe neppure necessario farlo perché gli spread crollerebbero». Tutto ciò, in ogni caso, non sarebbe sufficiente. Ecco il secondo fronte: «Le banche continuerebbero a non prestare e se anche calassero i tassi, le imprese continuerebbero a domandare per timore dei rischi. Si renderà necessario, quindi, accoppiare alla mossa della Bce un forte intervento di spesa pubblica. Gli Stati europei dovrebbe concordare un piano di manutenzione di tutte le nostre infrastrutture. Basterebbe un minimo di leadership politica per convincere i mercati che appena il trend di crescita tornasse a livelli crescenti, e il settore privato rientrasse nell’economia, quello pubblico si tirerebbe indietro».
(Paolo Nessi)