Nella cosiddetta spending review, all’articolo 4, viene affrontato il tema dell’affidamento della fornitura di servizi da parte della pubblica amministrazione al privato sociale. Il testo sta sollevando una serie di preoccupazioni, che si possono riassumere in una: che sia riconosciuta la funzione di quei soggetti che, senza scopo di lucro o comunque con scopo mutualistico, costituiscono una parte importante del sistema di welfare italiano.



Innanzitutto, è di fondamentale importanza che tali soggetti siano riconosciuti per quello che nei fatti sono: attori – principali – del nostro welfare, spesso eccellenti, quasi sempre poco cari. Dunque, non costi da tagliare, ma risorse importanti, da preservare.

Si tratta di enti del privato sociale che in questo periodo vedono la propria sopravvivenza legata a una capacità importante di innovarsi, di trovare nuovi finanziatori e partners, oltre che di contenere all’osso i costi e di coinvolgere persone che – gratuitamente – li aiutino a dare attuazione ai loro scopi; che sono scopi di pubblica utilità.



In questo scenario si fa un po’ fatica a comprendere perché, secondo la norma in esame, le associazioni e fondazioni che intrattengano rapporti contrattuali con la pubblica amministrazione  non possano essere destinatarie di altri contributi a carico delle finanze pubbliche. Infatti, è normale che – ad esempio – una organizzazione di volontariato che vede una parte del proprio servizio di doposcuola remunerato attraverso una convenzione con il Comune, per altre attività richieda contributi – magari quegli stessi contributi per progetti sperimentali previsti dall’articolo 12 della propria legge istitutiva, la legge 266 del 1991.



Nell’esempio citato, il vincolo introdotto dalla spending review ha quale presupposto implicito l’esistenza di organizzazioni che svolgono una sola attività – quella in convenzione – e che per le eventuali altre attività realizzate cerchino di reperire risorse attraverso erogazioni liberali – stante il divieto di ricorrere al mercato per le organizzazioni di volontariato.

Nella disposizione, inoltre, non è tanto chiaro se siano realmente fatte salve le disposizioni relative alla possibilità di affidamento diretto di servizi alle cooperative sociali, sancite dall’articolo 5 della legge 381/91.

Tale deroga alla disciplina sugli appalti ha una ragion d’essere nell’inserimento lavorativo di soggetti svantaggiati che le cooperative sociali attuano. Inserimento lavorativo che è un ammortizzatore sociale importantissimo, non solo per gli alti numeri di soggetti coinvolti: in molti comuni queste cooperative sono veri e propri luoghi di vita in cui persone con varie difficoltà trovano un ambito che, accogliendoli e sollecitandone la responsabilità, li rimette positivamente in moto.

Una incertezza sulla possibilità di effettuare affidamenti diretti paralizzerebbe il sistema, colpendo innanzitutto i lavoratori delle cooperative sociali.

I rapporti che la pubblica amministrazione intrattiene con il mondo del non profit sono territorialmente molto diversificati: si hanno rapporti di accreditamenti e convenzioni, appalti, co-progettazione.

La situazione è molto complessa e in continua evoluzione, nel tentativo di permettere una tenuta a un sistema di welfare che pur necessita di essere riformato nel profondo. In un sistema tanto complesso, ogni riforma deve avere ben chiaro quali siano le sue conseguenze e quali siano i soggetti che si vanno a colpire o, in qualche modo, a compromettere nella propria possibilità di azione.

Un tessuto sociale come quello italiano, seppur così sofferente, è frutto di secoli di storia ed è il nostro tesoro. Faccio fatica ad immaginare un’autentica ripresa senza il coinvolgimento di queste forze vive, capaci di sacrificio e inventiva; ma soprattutto dotate di una inossidabile tenacia nel costruire spazi di umanità.

Bisogna trovare il modo affinché tutte queste realtà siano più conosciute, in modo che le azioni politiche possano tenere presente e ben custodire i gioielli che hanno ricevuto in eredità. E bisogna desiderare di conoscerle.

Dal canto loro, molte associazioni, fondazioni e cooperative sociali sono desiderose di essere non solo conosciute, ma anche valutate, affinché il loro contributo al bene di tutti possa essere rappresentato nel modo più oggettivo possibile. Non si tratta di chiedere favori, ma che sia riconosciuto un valore. Per la costruzione di quel bene comune che ci sta a cuore.

 

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