Il caso del dissesto finanziario della Sicilia, salito agli onori della cronaca in questi giorni, è emblematico della situazione della crisi economica che sta investendo l’Europa. Si tratta di un dissesto che ha radici antiche, dovute sicuramente anche ad una cattiva gestione della cosa pubblica. Ma se le radici sono tanto antiche, come mai il dissesto finanziario è esploso solo ora? Dopo tanti anni di inefficienze, come mai proprio ora la Sicilia rischia il default? Cosa è accaduto di nuovo? Ebbene sì, di nuovo è accaduto che ora abbiamo l’euro, quella moneta unica che avrebbe dovuta essere foriera di benessere per tutti. Invece così non è stato. Come mai? Come è possibile che, dando a diverse regioni le stesse condizioni finanziarie, alla fine si ottengano risultati tanto differenti?
La risposta è data dalla stessa realtà. Facendo un semplice paragone con Lazio e Lombardia, vediamo che il pil pro capite di un siciliano è di circa 17.500 euro, quello di un laziale è di circa 30.000 euro, quello di un lombardo di circa 43.000 euro. In queste condizioni, l’illusione di una uguaglianza delle condizioni finanziarie indotta dall’utilizzo di un unico strumento monetario è destinata a scontrarsi con la realtà di condizioni socioeconomiche molto differenti, incompatibili tra loro. Questo “centralismo monetario” non ha fatto quindi che esasperare inefficienze e conflitti preesistenti, conducendo la finanza e l’economia siciliana al collasso. Infatti l’euro, essendo una moneta debito, è prima di tutto uno strumento finanziario, e in quanto tale può meglio fornire linfa vitale laddove esiste una economia avanzata e ben sviluppata, dove la finanza può essere di sostegno.
E la logica conseguenza è che l’euro, come oggi viene creato e diffuso dal sistema bancario, svolge meglio le sue funzionalità in Lombardia piuttosto che in Sicilia. Per fare un paragone con il settore dell’agricoltura, un certo tipo di pianta preferisce un certo tipo particolare di terreno e di clima. Se viene piantata in un terreno meno adatto, avrà ovviamente una resa minore, oppure non attecchirà affatto. Ora domandiamoci: la moneta euro era ed è lo strumento monetario adeguato all’economia siciliana?
La cosa veramente preoccupante è che questo tipo di domande sono totalmente assenti nel dibattito politico ed economico pubblico. Di fatto siamo di fronte ad un esempio tipico di rimozione del problema. Come mai avviene questo? In effetti questo avviene non per una semplice dimenticanza, ma per una impostazione ideologica ben precisa, quella impostazione secondo la quale la moneta è uno strumento “neutro” rispetto allo sviluppo dell’economia. Ma questo è un pregiudizio bello e buono, non suffragato da alcun fatto (anzi, volendo approfondire l’argomento da un punto di vista storico e scientifico, dovrebbero sorgere moltissimi dubbi).
Al contrario, la moneta deve essere considerata come sorgente di valore: in altre parole, oltre a essere “strumento di misura” del valore, nel momento in cui tale moneta “funziona”, proprio per la sua capacità di “funzionare”, la moneta “ha valore”. Ma allora, quanto “vale” la moneta? E se la moneta è lo strumento di misurazione del valore, come misureremo il “valore della moneta”? Posta la questione, è chiaro che una risposta scientifica, univoca per tutte le situazioni non può esistere. Ma un inizio di risposta decisivo viene proprio dall’affermazione del principio di sussidiarietà: ciò che può essere fatto localmente, non deve essere imposto centralmente. E da qeusto punto di vista, né Roma, né Milano, né tantomeno Bruxelles (o Berlino) sono in grado di rispondere alla domanda “quanto vale la moneta” in terra siciliana, rispetto all’economia siciliana.
Anzi, se deve valere il principio per cui al centro dell’economia vi deve essere l’uomo, tanto più deve valere il principio che la finanza deve essere al servizio dell’economia, e la moneta al servizio di tutte e due. La questione del valore di una moneta in terra siciliana (qualsiasi essa sia) non può essere risolta senza una affermazione del valore della economia siciliana. Ma solo il porre tale questione, vuol dire “affermare il valore”, vuol dire affermare la positività del reale. Una affermazione inaccettabile per l’ideologia nichilista oggi dominante.
Questo è il motivo ideologico per cui gli euro vengono stampati a debito (vengono creati dal nulla e messi tra le passività nei bilanci delle banche centrali dei paesi UE, tra cui Bankitalia). Il principio di sussidiarietà (ed una certa dose di sano buon senso) richiede che uno strumento monetario adeguato all’economia siciliana nasca in terra siciliana, tenendo conto delle specificità e delle esigenze di quella particolare economia. Non si tratta quindi di uscire dall’euro (pure l’economia europea ha bisogno di una moneta a propria dimensione), ma di sostenere l’economia locale con una moneta complementare locale.
Del resto, i sistemi monetari a “moneta unica” sono una invenzione moderna; e non si capisce perché la Gran Bretagna debba avere il privilegio di stare nella Unione Europea e di sedere con propri rappresentanti nella Bce, pur mantenendo una moneta propria, in modo da meglio difendere i propri interessi. Anche la finanza inglese ha i suoi problemi, ma non quello dello spread. Perché loro hanno una loro moneta, e noi non dovremmo avere la nostra?