Anche l’Italia, specialmente alla vigilia delle elezioni francesi, aveva nutrito grandi aspettative sul futuro capo dell’Eliseo. Neanche ai più strenui antiberlusconiani erano andati giù i sorrisini di Sarkozy con la Merkel in risposta a un giornalista che chiedeva se il nostro fosse uno Paese affidabile; giustizia è stata fatta. Ma non è certo l’unico né il fondamentale motivo per il quale si sperava in un avvicendamento. Si auspicava che François Hollande potesse rappresentare il più solido alleato di Mario Monti nella battaglia per una maggiore integrazione europea, connotata dalla condivisione del debito e dalla volontà di insistere, oltre che sul rigore, sulla crescita. Abbiamo chiesto a Piero Ostellino, ora che il presidente si è insediato da alcuni mesi e le sue intenzioni sono più chiare, cosa dobbiamo aspettarci.



Come prima mossa, Hollande ha abbassato l’età pensionabile minima a 60 anni (anche se per una platea di sole 110mila persone: tutti quelli con almeno 41 anni di contributi e che hanno iniziato a lavorare intorno ai 18-19); nell’immediato futuro, cosa dobbiamo attenderci?

Quanto sin qui annunciato conferma che Hollande agisce nel solco della tradizione socialista francese che, tendenzialmente, è molto vicina a quella comunista; posizioni estreme dal punto di vista sociale e sul fronte antiborghese. Quando, infatti, si parla di tassare al 75% la ricchezza che superi una certa soglia, è evidente che ci si pone contro la modernità e che non si attua una seria politica sociale, ma semplicemente avversa ai ceti benestanti. Tutti sanno che se il progresso di un Paese è legato al suo welfare, lo è altrettanto alla sua capacità di produrre ricchezza; indebolirla, di conseguenza, indebolisce il Paese. Ed è quanto già sta avvenendo.



Cosa intende?

Molti capitali sono già stati portati altrove. Non in paradisi fiscali. Ma in Inghilterra. Un Paese altrettanto europeo e attento allo Stato sociale, ma dove si pagano meno tasse e la ricchezza non viene perseguita; lì, infatti, si è mantenuta una concezione liberale dell’economia. La vera rivoluzione di Hollande consisterà nell’impoverimento della Francia. Attraverso uno Stato sempre più costoso e sempre meno in grado far fronte alle proprie spese. Ridurre la ricchezza ridurrà il Pil. E, non  riuscendo, a quel punto, a reperire il gettito fiscale che si era proposto, sarà necessario aumentare ulteriormente le tasse in un perverso circolo vizioso.



Crede che concretizzerà le sue intenzioni e porterà l’aliquota più alta al 75%?

E’ molto probabile. La Francia, tradizionalmente, ha una pubblica amministrazione estremamente forte ed efficiente, ed è fedele allo Stato. Aiuterà, quindi, Hollande nel realizzare la sua rivoluzione. In ogni caso, che sia portata a compimento o meno, il risultato di far fuggire i capitali è già stato raggiunto. 

 

Perché, tuttavia, gli spread francesi non sono schizzati alle stelle?

 

Il grado di fiducia dei mercati nei confronti della capacità della Francia di restituire i soldi che gli sono stati prestati è ancora alto. Per il momento, infatti, il rapporto tra debito pubblico e Pil è ancora virtuoso. Non appena le politiche di Hollande invertiranno il trend, è presumibile che i mercati non tarderanno a prenderne atto.

 

Crede che Hollande potrà rappresentare il migliore alleato di Monti come si sperava?

 

I tedeschi hanno chiarito che chi vuole ricorrere allo scudo anti-spread dovrà avere i fondamentali in ordine. Noi non ce li abbiamo e la Francia rischia di non averli in futuro. L’alleanza sarà unicamente sul fronte della comune incapacità di tenere i conti in ordine e di aumentare la spesa come, del resto, è accaduto da quando si è insediato l’attuale governo. Entrambi condividono, in sostanza, la contrarietà ad esercitare la virtù tedesca.

 

Quale?

 

Quella secondo cui lo Stato non deve costare eccessivamente, le tasse vanno contenute, mentre si devono assistere i bisognosi; ma non tutti indiscriminatamente. Non è un caso che la Germania abbia mantenuto la spesa pubblica e l’imposizione fiscale entro limiti ragionevoli e neppure il fatto che gli operai tedeschi sono pagati molto di più di quelli italiani e costano agli imprenditori molto meno. 

 

(Paolo Nessi)