Giusto un anno fa, nel luglio del 2011, veniva alla ribalta della cronaca una nuova parola, lo spread, di cui, a livello di opinione pubblica, nessuno aveva mai sentito parlare. Il differenziale tra Btp e Bund era salito improvvisamente da 180 a 250 punti. Lo spread non ha caratterizzato solo l’estate, è addirittura esploso nell’autunno dell’anno scorso, tanto che a novembre, quando toccò il punto massimo di 574 punti, il governo di Silvio Berlusconi venne “licenziato”, con un grande tripudio della sinistra, dei grandi quotidiani nazionali, di grandi network. Il tutto fu condito da caroselli di entusiasmo popolare in diverse città italiane, Roma soprattutto. Veniva insediato il professor Mario Monti che, a capo di un “governo dei tecnici”, avrebbe dovuto far scendere lo spread soprattutto per la sua “credibilità internazionale”, che per proprietà transitiva ridava “credibilità all’Italia”. A un anno di distanza e a nove mesi dalla nascita del “governo dei tecnici”, lo spread è a quasi 520 punti, con un crescendo impressionante da alcuni mesi, dopo essere sceso soprattutto in gennaio (raggiungendo poi i “minimi” a marzo) ed essere risalito su uno “zoccolo pesante” di 450 euro a maggio e giugno. Il professor Ugo Arrigo, docente di Finanza pubblica all’Università Bicocca di Milano, sostiene con molta lucidità il fallimento di questo governo e aggiunge: «Se Berlusconi fu licenziato per lo spread, che cosa si dovrebbe fare con Monti?».



Professore, quando arrivò il governo c’erano molte speranze e si sono fatti in questi mesi una serie di decreti che riguardano pensioni, mercato del lavoro, liberalizzazioni, semplificazioni, spending review.  

Allora, andiamo con calma. La riforma della pensioni è stata fatta bene nel suo complesso, tranne che non si è considerato chi era a metà del guado, in altri termini il problema degli “esodati”. Il resto sono una serie di “pallottole spuntate”. Prendo questa immagine dai film comico-demenziali di Leslie Nielsen. Visti i risultati e pensando ai commenti che alcuni facevano sui provvedimenti, mentre altri contestavano, si può dire che qui ci troviamo di fronte alle “pallottole spuntate” di Mario Monti contro lo spread.



Il più grave errore del governo?  

Far sopportare una simile pressione fiscale, una simile tassazione ai cittadini italiani, dai ceti più deboli fino ai ceti medi, togliendo ogni possibilità di consumo, di spesa, di crescita e portando il Paese in una grave recessione. L’operazione fatta da Monti è una ricetta sbagliata perché pensa che l’Italia coincida con il settore pubblico. A questo punto c’è stato una sorta di “orgasmo” per raggiungere il pareggio di bilancio del settore pubblico. Fatto che non ha per nulla inciso sul valore dello spread. E alla fine ci si trova con uno spread altissimo e un Paese in completa recessione, dopo che gli italiani sono stati tartassati in modo incredibile.



Ma gli altri provvedimenti presi?

Quali? Le liberalizzazioni? Le hanno scambiate con l’aumento numerico dei piccoli oligopolisti: più farmacie, più taxi, più notai. Liberalizzare, instaurare una vera concorrenza non significa aumentare il numero dei monopolisti. E’ un’altra cosa. Ma lasciamo perdere questi concetti. La vera sostanza dei problemi è che Monti ha battuto soprattutto una strada vecchia, quella di garantire che lo Stato è sempre solvente, che non può fallire, perché ha la possibilità dell’imposizione fiscale. E non ha toccato nulla del patrimonio dello Stato e della spesa dello Stato. Altro che spending review.

C’è stata anche la riforma del mercato del lavoro.

Che, di fatto, ha irrigidito l’ingresso per i contratti atipici, partendo subito con un’aliquota molto alta. Non si poteva, almeno in quel caso, scaglionare l’aliquota nel tempo, mettendola all’ingresso su livelli bassi? No, si vede che il pareggio di bilancio è un fatto da cui non si può prescindere. Il risultato è che non solo siamo in recessione, ma è stata imballata l’economia italiana. In tutti i casi il mercato del lavoro si può riformare, renderlo più flessibile, più rigido rispetto ai molti contatti atipici che esistono. Ma il problema reale resta quello che non si può assumere nessuno se il livello di tassazione è insopportabile per gli imprenditori.

C’è una crisi internazionale che fa comunque da grande cornice a quello che sta succedendo in Italia.

Per quanto riguarda l’Italia la crisi internazionale non ha fatto che svelare un sistema che non funziona. Così come avviene sulle coste del Mediterraneo, in Grecia, in Spagna, in una piccola parte della Francia. Evidentemente c’è un “Club Mediterranée” in questa crisi. E dirò di più: con questa politica, noi stiamo percorrendo la strada della Grecia. Anche se in Italia esiste ancora un buon sistema manifatturiero, mentre in Grecia non lo conoscono, oggi la pressione fiscale sta facendo crollare il nostro sistema produttivo, oltre ad aver tartassato i cittadini.

 

Anche in Francia si vivono tempi di crisi. 

 

E’ vero, ma Francois Hollande sta facendo tutto il contrario di quello che fa Mario Monti. Lasciamo perdere una parte della politica fiscale sui grandi patrimoni. Ma ha detto no alla Peugeot che voleva licenziare 8mila persone dopo aver ricevuto, solo un anno fa, ampi sussidi statali. E la tassazione non è indiscriminata e violenta come in Italia. Monti dovrebbe continuamente ribaltare la sua politica.

 

A suo parere l’errore fatale è stato inseguire il pareggio di bilancio?

 

Hanno inseguito una chimera, con il rischio che il nostro Pil può andare sotto del 2% già quest’anno. E’ cominciato tutto con la manovra di Tremonti della scorsa estate, quando lo spread viaggiava ancora 200 punti in meno rispetto ai livelli attuali. Ma il danno maggiore lo hanno fatto i tecnici con le ultime manovre che hanno appesantito ulteriormente la pressione fiscale. In questo modo lo stesso gettito fiscale, poiché nessuno compra, vende, lavora, è destinato a ridursi. La differenza con la Grecia è che là ora hanno solo gli evasori, mentre noi abbiamo cittadini che continuano a pagare le tasse. Ma quando lo Stato avrà spremuto tutto ciò che c’è da spremere, allora sì, saremo come Atene.

 

(Gianluigi Da Rold)

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