Una palese ingiustizia. Paesi con fondamentali economici del tutto analoghi ai nostri se non peggiori vantano spread decisamente inferiori. Tanto per citare due tra i casi più eclatanti: il Belgio, il cui rapporto debito/Pil è al 100,5% mentre il deficit è superiore al 3% (in Italia il primo dato è al 123,3%, il secondo, per il 2012, sarà contenuto entro il 2%), e l’Irlanda, tra i primi Paesi ad aver avuto bisogno di aiuti, con un rapporto debito/Pil al 116% e un deficit all’8,6%. Spread più bassi significa titoli di stato con rendimenti inferiori, la possibilità di finanziare il debito pubblico a tassi ragionevoli e di impegnare le risorse rimanenti per uscire dalla crisi. Noi, invece, siamo costretti a dilapidare ogni centesimo risparmiato per pagare gli interessi sul debito. C’è qualcosa che non torna. Il Sole 24 Ore ipotizza che i mercati finanziari abbiano deciso arbitrariamente quali sono i paesi da affossare. Leonardo Becchetti, professore straordinario di Economia Politica presso la facoltà di Economia dell’Università di Roma Tor Vergata, raggiunto da ilSussidiario.net, afferma: «Effettivamente, è così. E’ mesi che ripeto la necessità di abbandonare la convinzione secondo cui se faremo bene i compiti i mercati, giudici oggettivi, ci premieranno. Non è così». Le vie da seguire sono altre. «Occorre rispondere alla speculazione nei medesimi termini in cui lo stanno facendo gli Usa. Quando la Fed ha lanciato, in pieno attacco speculativo, il piano di acquisto delle obbligazioni delle istituzioni finanziarie in difficoltà, le ha comprate a prezzo stracciato facendoci guadagnare, di fatto, i cittadini. La Bce, analogamente, dovrebbe poter acquistare illimitatamente titoli sul mercato primario». Secondo il professore, invece, il governo ha deciso di ostinarsi «in una sorta di masochismo tale per cui continua ad aumentare le tasse».
C’è una seconda operazione da compiere. «Monti dovrebbe chiedere ai nostri partner europei cos’altro vogliono da noi, oltre a quanto già stiamo facendo, oltre ai sacrifici, alla messa in sicurezza dei conti pubblici, all’aumento delle tasse e al fiscal compact. E, a quel punto, metterli di fronte a un ultimatum. O si fidano di noi, e si passa alla fase due con l’interventismo della Bce. O usciremo dall’euro». L’alternativa è un inesorabile declino. Contestualmente, andranno riformati radicalmente i mercati finanziari. «Il contesto è diventato, ormai, inaccettabile. Basti pensare che il 70% dei movimenti borsistici è il frutto di elaborazioni automatiche basate su speciali algoritmi. Siamo in mano alle analisi dei computer. E’ chiaro che così non si può andare avanti. Mi chiedo cosa si stia ancora aspettando per metter mano a quelle misure che da tempo tutti reputano necessarie».
Ecco quali: «Occorre separare le banche commerciali dalle banche d’affari, ridurre i derivati alla sola funzione di assicurazione, inasprire le leggi antitrust nei confronti delle banche troppo grandi per fallire e legiferare sul conflitto d’interessi di chi siede, contemporaneamente, nei board di banche, agenzie di rating e fondi d’investimento». Nel frattempo, l’economista Daniel Gros, dalla pagine di Avvenire, si è detto convinto del fatto che Mario Monti dovrebbe caldeggiare l’acquisto di Btp da parte degli italiani; sono ancora un titolo solido, l’acquisto contribuirebbe al bene del Paese e i cittadini ci guadagnerebbero. «Anche in tal caso, il problema si ripropone nei termini suddetti. L’acquisto di Btp potrebbe rivelarsi, effettivamente, un affare sempre; ma a patto che la Bce li garantisca, fermando la speculazione e comprandoli direttamente a tassi calmierati».
(Paolo Nessi)