I regolatori italiani e spagnoli sono fuori di testa. Ieri, nel pieno di un attacco speculativo che prima dell’ora di pranzo vedeva sia Piazza Affari che la Borsa di Madrid in calo del 5%, cosa decidono di fare? Un bel bando sulle vendite allo scoperto, esattamente come nell’estate dello scorso anno! E cosa ottennero come risultato allora? Nulla, se non aumentare il panico, basti vedere le performance dei titoli bancari nel periodo di divieto dello short selling. Ok, molti analisti danno ormai per certa una terza asta Ltro, visto che ieri il rendimento del Bonos spagnolo a 10 anni flirtava con la soglia di non ritorno del 7,5%, ma anche in questo caso cosa hanno ottenuto le aste della Bce? Subordinazione e abbraccio mortale tra debito sovrano e settore bancario.
L’attacco temuto per Ferragosto è già partito, per il semplice fatto che i mercati hanno visto sia Italia che Spagna con la guardia abbassata: ma come, io ti attacco e tu invece di reagire vieti le vendite allo scoperto, segnale chiaro che sei terrorizzato? Quale è stato ieri l’effetto di questo annuncio? Da -5% a -2,65%, salvo scivolare a -4% già alle 14:30 e restare in area -3%: mai sentito parlare di derivati ibridi e opzioni? La vendita allo scoperto non è mica l’unica strategia a disposizione di chi specula, è solo la più semplice e funzionale: detto fatto, abbiamo detto al mondo che non abbiamo la minima idea di come reagire, il tutto per evitare un tracollo e goderci solo un bel calo consistente. È stato così ieri, ma quanto durerà l’effetto placebo? Complimentoni, tanto vale chiudere la Borsa e aspettare che Deutsche Bank si rimangi la promessa e si compri Unicredit a prezzo di saldo facendo valere le opzioni di Fondo Pamplona.
D’altronde, il crollo di ieri è conseguenza diretta di quello di venerdì, reso possibile dalle parole di un politico spagnolo, capace di trasformare il sì dell’Eurogruppo al prestito per le banche spagnole in un pannicello caldo. Il ministro delle Finanze spagnolo, Crsitobal Montoro, ha ammesso en plein air che senza la Bce il Paese sarebbe già fallito: secondo voi, uno che detiene debito spagnolo o titoli di banche iberiche che fa, compra? E chi invece li sta shortando entrambi, che fa, chiude la posizione? Ma non basta. Dopo questa uscita degna del club dei suicidi, ha partorito un’altra idea geniale: una tassa del 56% sulle transazioni finanziarie di breve termine. Ovvero, un’arma di distruzione di massa della liquidità, roba degna del governo Chavez. Detto fatto, le aziende straniere già su tutte le furie per l’aumento dell’Iva, minacciano di lasciare la Spagna in massa.
Anche perché, cari lettori, non si può fare i rigoristi con il portafoglio degli altri: sapete infatti qual è l’unico settore che ha visto un abbassamento dell’Iva? Il già ampiamente sussidiato settore delle energie rinnovabili, il cui leader iberico incontrastato è Ricardo Martinez Rio, casualmente anche segretario di Stato per le Finanze. In Spagna non si è capito che lo sbilanciamento della politica di rigore verso la creazione di nuovo gettito fiscale attraverso le tasse invece che con una seria politica di tagli porta solo un aggravamento della crisi, non la soluzione: su 65 miliardi di aggiustamento, 38 sono infatti di gettito fiscale e solo 27 frutto di tagli. Sapete quanti posti di lavoro per dipendenti pubblici sono stati creati dalle varie regioni spagnole negli ultimi 10 anni? 427mila e il presidente delle Generalitat, Artur Mas, ha già minacciato il governo di fuoco e fiamme se verranno toccati: altro che regione Sicilia!
Come se questo non bastasse, poi, sempre venerdì l’agenzia di rating indipendente Egan-Jones ha tagliato la valutazione sul debito iberico da CC+ a CCC+, sentenziando che Madrid non tornerà a crescere prima del 2014. Dalle sale operative non hanno dubbi: a far infiammare i mercati sono stati un effetto psicologico e uno meramente matematico. Il primo si sostanzia nel fatto che la Spagna, oramai, non può più mentire o edulcorare la realtà: prima si ammette candidamente che senza gli acquisti della Bce, il Paese sarebbe già fallito e poi, pochi istanti dopo il sì agli aiuti, la Comunidad Valencia ha chiesto il salvataggio allo Stato centrale usando, prima fra le regioni autonome, il nuovo strumento ideato da Madrid per fornire liquidità agli enti locali.
La decisione si è resa necessaria «per fare fronte alle scadenze di debito del 2012». Secondo il meccanismo ideato nell’ultimo consiglio dei ministri, i governi locali potranno attingere risorse da un fondo da 18 miliardi di euro, ma in contropartita dovranno sottostare a una serie di impegni e sanzioni sulla falsariga di quelli europei. Un giorno ed ecco che la Murcia comunica al mondo che sarà la seconda comunità autonoma spagnola a chiedere il salvataggio al governo centrale. Lo ha annunciato il presidente della Regione, Ramon Luis Valcarcel (Pp) in un’intervista al quotidiano locale La Opinion: «Certo che lo chiederemo e speriamo che sia disponibile a settembre», ha affermato. La Murcia avrà bisogno, secondo le stime del governo regionale, di un massimo di 300 milioni di euro, che spera di ottenere usando il nuovo strumento ideato da Madrid per fornire liquidità agli enti locali. Secondo El Pais, saranno sei in tutto le regioni che chiederanno il salvataggio. Insomma, il Re è nudo.
Il secondo effetto si basa sulle criticità che quanto deciso a Bruxelles porta con sé, sia a livello operativo, sia a livello di capacità di intervento. Primo, perché dai dettagli emersi dall’Eurogruppo si evincerebbe che nella bad bank spagnola, destinata a ripulire il sistema, sarebbero inclusi anche gli assets deteriorati non legati al settore real-estate, ampliando quindi la platea a fronte del denaro offerto dall’Ue e che la stessa applicherà valutazioni economiche di “lungo termine reale”, facendo quindi diminuire la possibilità di alterare i bilanci. Al netto del fatto che la Spagna stia già soppesando la possibilità di imporre perdite ai detentori di debito bancario junior, poi, ciò che i mercati non hanno digerito è la vaghezza che ha ammantato ogni dichiarazione spagnola rispetto alle reali necessità di rifinanziamento dei propri istituti, fissata in maniera un po’ nebulosa a un massimo di 62 miliardi di euro.
Con il piano di aiuti messo in campo dall’Ue, di per sé ridicolo, unito ai costi di finanziamento del debito sul mercato primario e secondario in aumento, la ratio debito/Pil della Spagna passerà infatti dal 94% del 2013 al 112% del 2015, al netto di un dato di crescita sul triennio che offre miglioramenti solo frazionali. E c’è di più: la Spagna non ha solo un problema legato al settore bancario, ma anche sovrano, inestricabilmente unito. I costi di finanziamento statale per i prossimi tre anni sono di 548 miliardi di euro, questo dovendo al tempo stesso stimolare la crescita di fatto senza spesa e mettendo sotto stretto controllo il disfunzionale debito regionale, vista anche la richiesta di aiuti di Valencia.
È chiaro, poi, che – stante la decisione pendente fino a settembre da parte della Corte costituzionale tedesca – non sarà l’Esm a garantire i fondi al Frob iberico, bensì l’Efsf, situazione che da un lato riduce i rischi legati alla seniority, ma, di fatto, ha già attivato richieste massicce di collaterale in nome della “negative pledge”, vedi la Finlandia. Inoltre, le nazioni dell’Ue sono esposte all’economia spagnola per circa 913 miliardi di euro, una cifra capace da sola di darci l’idea di quale impatto avrebbe un default e di perché ieri i mercati abbiano reagito così. E ancora, a pesare sui giudizi degli investitori – oltre a un tasso ormai fisiologico e sempre più pressante di speculazione pura – c’è il fatto che dei 146,8 miliardi di securities sul debito a medio e lungo termine emesse dalle banche spagnole, 123 (ovvero l’84%) sono state finanziate dai soldi delle prime due aste Ltro della Bce.
Acquisito questo dato, le stesse banche iberiche devono trovare altri 26,2 miliardi di euro entro giugno soltanto per andare incontro alle richieste di ricapitalizzazione avanzate dall’Eba: e tu, regolatore del mercato, a fronte di una situazione simile rispondi con un bando di tre mesi sullo short selling? E tu, politico iberico, davanti a questo status quo proponi una tassa del 56% sulle transazioni finanziarie a breve? Siamo fritti amici miei, qui urgono politici con due attributi così e in giro non ce ne sono. Certo, il silenzio degli anti-berlusconiani di professione di fronte allo spread che vola oltre quota 520 punti base fa rumore come una valanga in alta quota e ridere come un film demenziale ma si sa, questo Paese è fatto così.
D’altronde quando uno come Beppe Grillo è accreditato al 20% dei consensi, c’è da mettere mano alla pistola ma per spararsi e farla finita, evitando ulteriore strazio. Direte voi, Bottarelli critica tanto ma cosa avrebbe fatto al posto dei regolatori e dei politici? Ho chiesto, come faccio spesso, un parere a un banchiere popolare che ritengo di provata capacità e trasparenza e il suo parere contrasta in parte con il mio: «È attacco vero. Per il resto, ho la sensazione che le authority comincino a togliersi i guanti bianchi…». Spero quindi di sbagliarmi nel mio giudizio sulla Consob e il suo operato, ma temo che di fronte ad atti di guerra – finanziaria, certo ma sempre guerra è – come quello visto ieri, occorre alzare l’asticella dello scontro un po’ più in su e pronunciare alcune paroline magiche come nazionalizzazione, protezionismo, boicotaggio, rottura dei Trattati e dei Patti uccidi-nazioni come quello di Stabilità, da violare immediatamente per far ripartire l’economia.
È il contrario del libero mercato, lo so, ma i soggetti che operano oggi sul mercato non sono investitori, bensì banditi. E per i banditi, ci vuole la galera. O la forca. L’Italia, per quanto messa male, non sconta uno spread reale di 520 punti sul Bund: quindi, chi lo sta facendo gonfiare per proprio interesse, è un nemico. Anche se membro Ue, come temo.