Tutto concorre all’inverarsi delle peggiori ipotesi. Alla massiccia concentrazione di fattori sfavorevoli si somma l’inerzia degli attori in campo. I governi europei sembrano perseguire con pervicacia l’immobilismo. Ricapitolando: lo spread tra Btp e Bund decennali veleggia oltre quota 500 (con rendimenti dei nostri titoli al 6,6%); quello tra dei Bonos spagnoli oltre quota 600 (rendimenti al 7,7%); intanto, l’Esm, cui sarà attribuito il potere di fungere da fondo taglia spread è in stanby, in attesa che la Corte costituzionale tedesca si pronunci sulla sua ratifica (non è intenzionata a farlo prima di settembre) e Moody’s ha rivisto al ribasso l’outlook del Fondo salva-stati Efsf. Ilsussidiario.net ha fatto il punto della situazione con Giancarlo Marini, direttore del Dipartimento di Economia Diritto e Istituzioni dell’Università Tor Vergata di Roma. «La soluzione – spiega -, ormai nota a chiunque, consiste in un annuncio credibile da parte della Bce attraverso cui si impegni ad acquisire il debito sovrano, nelle prossime emissioni, a un tasso compatibile con i fondamentali dei singoli Stati. Questo non rappresenterebbe la monetizzazione del debito, ma l’efficace contrasto alla speculazione». Qualunque altra misura non sarebbe altro che un semplice palliativo. «Lo stesso fondo taglia spread, al di là del giudizio dell’agenzia di rating, sortirebbe ben pochi effetti. Gli speculatori sanno benissimo che disporrebbe di risorse limitate e punterebbero a accaparrarsele; una volta esaurite, tutto sarebbe identico a prima». E’, tuttavia, altrettanto nota l’ostilità della  Germania a qualunque iniziativa da parte della Bce: «E’ vero. Lo è anche il fatto che il suo atteggiamento è estremamente miope. E che in gioco c’è il futuro stesso dell’euro. La speculazione ha un disegno ben preciso, e intende farlo saltare. Ora: se lo scopo principale della Banca centrale è la stabilità della divisa unica, e se da anni continuiamo a sottolineare la sua tanto celebrata autonomia, a un certo punto dovrà decidere se avvallare, seppur involontariamente, il piano della speculazione o usare tutti gli strumenti a disposizione per uscire dalla situazione. Opponendosi, quindi, al veto tedesco».



Al di là dei trattati e delle procedure giuridiche, è necessaria, anzitutto, una presa di posizione sul fronte politico. «Sia la Banca d’Italia che il Fmi hanno certificato il fatto che il differenziale tra i nostri titoli di Stato e quelli tedeschi non corrisponde alle condizioni reali della nostra economia. Se la Germania intende ostinarsi nel negare questa verità, o ha da guadagnare dalla situazione, o della caduta dell’euro gliene importa ben poco». A questo punto, come affermava su queste pagine Leonardo Becchetti, non resta che porre alla Germania un aut aut: «Sarà necessario sbattere i pugni sul tavolo; abbiamo fatto i compiti, dimostrato responsabilità e capacità di onorare gli impegni a costo di enormi sacrifici. Dovremmo pretendere dalla Germania la marcia indietro rispetto al suo atteggiamento dalla Bce e minacciare, in caso contrario, l’uscita dall’euro. Se noi abbandonassimo l’Eurozona, i tedeschi sanno bene che, in fondo, ne risentirebbero anche loro». Non ci sono, d’altro canto, alternative. «In caso contrario, dubito che supereremo agosto indenni». 



Sta di fatto che nei Pesi che dovrebbero battersi contro la Germania, una tale volontà politica sia del tutto assente. Ieri, infatti, il ministro degli Esteri spagnolo aveva comunicato l’esistenza di una nota firmata anche da Francia e Italia in cui si chiedeva all’Ue «l’applicazione immediata degli accordi» del vertice di giugno e, in particolare, dell’Esm. Peccato che Italia e Francia si siano affrettate a smentire la notizia della loro firma. «Avrebbero potuto, tuttavia, far presente che, benché non avessero firmato la nota, ne condividevano i contenuti. Si è trattato di un atteggiamento deludente che prefigura scenari difficili. Chi, infatti, se non la Francia dispone attualmente della forza necessaria per incalzare la Germania?». 



 

(Paolo Nessi)

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