Gli effetti di un eventuale default potrebbero essere sperimentati, a breve, dai comuni. Loro per primi potrebbero scoprire cosa significa non aver soldi in cassa per pagare i dipendenti pubblici. E’ lo scenario che si prefigura il prossimo agosto. Mancano all’appello, infatti, un miliardo e 300mila euro. A incidere sui bilanci, i mancati introiti provenienti dall’Imu. Il gettito, infatti, è stato decisamente inferiore alle attese. Visti i tempi di crisi, la maggior parte dei cittadini italiani ha optato per la rateizzazione più conveniente, producendo così un incasso che, nella stragrande maggioranza dei casi, si è attestato al 30-40% dell’importo totale. Il governo ci ha messo del suo; tra i tagli ai trasferimenti e quelli inseriti nella spending review, già operativi per l’anno in corso, le amministrazioni comunali sono state messe in ginocchio. Con una certa pervicacia, si direbbe. Moltissimi comuni, in sostanza, rischiano di trovarsi alla canna del gas. Tra i più grossi, alcuni di quelli maggiormente in difficoltà sono Lecce, che ha incassato solo il 36,2% dell’Imu, Rimini (36,4%), Mantova (36,9%), Monza (38,9%), Reggio Emilia (38,9%), Modena (40,4%), Roma (45,3%) e Napoli (45,9%). Attilio Fontana, sindaco di Varese e presidente dell’Anci (Associazione nazionale comuni italiani) lombarda spiega a ilSussidiario.net quali scenari si prefigurano. «Purtroppo, tutto ciò non mi stupisce. Avevo paventato mesi fa il fatto che, prima o poi, si sarebbe determinata una situazione del genere e che si sarebbe corso il rischio di non essere nelle condizioni di remunerare i dipendenti comunali». Fontana aveva fatto presente gli sviluppi concreti che avrebbe assunto il pagamento  dell’Imposta municipale unica. «Avevo chiaramente sottolineato come i proventi dell’Imu sarebbero stati nettamente inferiori rispetto a quelli stimati dallo Stato e che, di conseguenza, le casse cittadine si sarebbero trovate in profonda sofferenza».



Oltretutto, fa presente il sindaco, «gli incassi sono avvenuti a macchia di leopardo: alcuni hanno ottenuto molto di più, altri molto di meno». L’esecutivo ha messo il dito nella piaga: «I tagli del governo rappresentano un ulteriore e drammatico colpo alla situazione finanziaria dei comuni italiani». A fronte dell’ipotesi di lasciare i dipendenti senza di che vivere, non resta che opporre a mali estremi, estremi rimedi: «L’unica conseguenza possibile e inevitabile è che tutti i Comuni si troveranno costretti a uscire dal Patto di stabilità interno». Una scelta del genere risulterebbe drammatica. Uscire dal Patto comporta pesanti penalizzazioni per il Comune che lo viola, come il divieto assoluto di assunzioni nel periodo successivo all’infrazione. In tal senso, Fontana lancia la sfida a tutti i Comuni italiani. 



«Propongo che, a quel punto, tutti i Comuni, contemporaneamente, escano dal Patto di stabilità onde evitare che solo alcuni – e in particolar modo i più virtuosi – risultino danneggiati per colpa delle decisioni scellerate del governo. Non escludo che, in seno all’Anci, possa esserci la volontà politica per un’operazione del genere. Se ci fosse una ribellione di questo genere, il governo si troverà costretto a fare marcia indietro». In particolare, sarebbe sufficiente modificare la spending review: «Da qui ad agosto si possono tranquillamente individuare le vere sacche di inefficienza. Nel nostro Paese sono immense e nessuno ha mai avuto il coraggio di sfiorarle. Mi riferisco, ad esempio, alla sanità del Sud, alle migliaia di società ed enti inutili che fanno riferimento al governo, alle missioni all’estero e alle Regioni a statuto speciale».



 

(Paolo Nessi)