Monaco di Baviera In questa calda estate 2012 siamo arrivati al “momento della verità” per l’unione monetaria europea. Lo si percepisce a tutto tondo a Monaco di Baviera, capitale dell’area con il reddito più capite più alto dell’Unione europea e molto più influente sulle decisioni del Governo tedesco di quanto normalmente si pensi: non solo a ragione del suo peso specifico all’interno della Germania, e nell’ambito del partito che ha espresso Angela Merkel come Cancelliere della Repubblica Federale, ma anche in quanto sono gli istituti di ricerca economica con sede centrale a Monaco – specialmente il CESifo – quelli a cui il Governo federale più si appoggia per analisi e consigli.



Il rapporto dell’Istituto per il Nuovo Pensiero Economico – una delle creature di George Soros – ha qui avuto una lettura della situazione completamente differente da quella fatta a Madrid, a Roma, a Parigi e, soprattutto, ad Atene (dove da oggi il Presidente della Commissione europea, José Manuel Barroso, è in quella che potremo eufemisticamente chiamare una “visita pastorale”). Il documento afferma che la “Ue è come una sonnambula che cammina su un precipizio di dimensioni incalcolabili” e invita le economie più forti (Germania, Olanda, Svezia, Austria) a una maggiore condivisione dell’onere del riassetto nel breve periodo “per il benessere di tutti nel lungo termine”: “senza un’adeguata risposta collettiva, l’euro si disintegrerà”.



Di tale disintegrazione vede i segni Harald Benink, professore di banche e finanza all’università di Tilburg in Olanda e in visita al CESifo (di cui è socio) in questi giorni: “Se la Grecia esce (dall’unione monetaria) l’assunto di base dell’unione monetaria, ossia la sua irreversibilità, è rotto una volta per tutte”. Ciò non vuole dire, però, che le istituzioni europee e il Fondo monetario internazionale debbano accettare le nuove proposte del Governo di Atene (un riscadenzamento degli impegni assunti quando è stato definito l’ultimo programma di aiuti): “Se non osserva il principio dell’inviolabilità dei contratti, i principi di base vanno ugualmente a gambe all’aria”.



Cosa fare? In primo luogo, è sterile prendersela con le agenzie di rating e imputare loro l’impennata degli spread. Al CESifo si mostra un saggio, avvertendo che dovrebbe essere letto con maggiore attenzione in Italia: il lavoro di Thomas Langner e Dodo zu Knyphausen-Aufsess a pp. 157-202 dell’ultimo numero della rivista Financial Markets, Institution and Instruments. Il lavoro passa in rassegna 40 anni di ricerche economiche sulle agenzie per concludere che, nonostante qualche “sporadico” errore, sono stati utili guardiani del buon funzionamento del mercato dei capitali.

Non possono mancare riferimenti a come in Italia si sia irriso il downgrading dei nostri titoli pubblici da parte di Moody’s: le vicende di questi giorni provano che l’agenzia aveva ragione nello stimare un deprezzamento delle obbligazioni italiane, anche per le ragioni spiegate la settimana scorsa su questa pagine.

Dalla differente percezione allora espressa su Moody’s alla politica economica dell’Italia (argomento di cui si preferirebbe non parlare) il passo è breve. Non si sa se lo si debba attribuire a qualche vecchia ruggine degli anni in cui Mario Monti era Commissario europeo, ma, parlando tra colleghi sia al CESifo, sia all’Università Tecnica di Monaco, il giudizio sul Governo guidato dal Professore appare molto meno positivo di quanto non dicano i comunicati ufficiali emessi in occasione di incontri “bilaterali” a Roma o a Berlino. Queste le critiche:

Il Governo ha solo un alone tecnico, ma in sostanza è l’alibi di una “mini-coalizione” che lo tira da una parte all’altra e lo fa restare immobile. In pratica, l’esecutivo non avrebbe dovuto mandare Ministri e Sottosegretari a negoziare i singoli provvedimenti, ma presentarli avvertendo che in mancanza di approvazione se ne sarebbe tornato a casa e sarebbero state indette elezioni. Le troppo evidenti ambizioni politiche del Presidente del Consiglio, di Ministri e anche di Sottosegretari paralizzano l’azione più di quanto non faccia “la strana maggioranza”.

Il programma di politica economica ha sinora compreso unicamente aumenti delle imposte e rischia di tramutare la recessione in grave depressione. Per le ragioni riassunte in precedenza, il “CresciItalia” è stato annacquato e la tanto pubblicizzata spending review sta per fare la stessa fine. Inoltre, non sono stati aggrediti i costi dell’apparato politico: Monti & Co. avrebbero dovuto dare il buon esempio, mettersi gratis al servizio del Paese (come in condizioni analoghe fece De Gaulle) e indurre così il Parlamento a una drastica riduzione dei costi.

– Quel che è più grave, l’esecutivo pare senza bussola. Ove avesse una direttrice chiara non si comprenderebbe perché si respingono gli apporti (e la vigilanza) della Commissione europea, della Banca centrale europea e del Fondo monetario internazionale o perché non si supporta apertamente il programma di unione fiscale e vigilanza europea e la cessione di sovranità che esso implica.

I timori di un’imposta patrimoniale straordinaria o ancora peggio di un’uscita dall’euro stanno accelerando la fuoruscita legale di capitale verso banche della Baviera (e non solo), rendendo ancora più difficile un’eventuale ripresa degli investimenti.

La diagnosi, quindi, è inquietante. Previsioni? Pur se tutti sono cauti, appare chiaro che si aspetta con ansia un Governo frutto di elezioni che possa prendere in mano la situazione dell’Italia. Sperando che sia ancora nell’unione monetaria.