Tagli che generano nuove tasse. Perché la spending review, al di là del nome suggestivo, è la classica manovra sforbiciante. E, come in molti avevano previsto, produrrà nuove gabelle. Era ovvio che le Regioni, trovandosi decurtati i trasferimenti da un giorno all’altro, non sarebbero state più in grado di erogare i servizi essenziali. Quelle in rosso, per lo meno. Si è, quindi, individuata una soluzione che sembra peggiore del male. Un emendamento del Pdl al decreto sulla revisione delle spesa, infatti, consentirà alle amministrazioni in dissesto sanitario di anticipare l’aumento dell’addizionale irpef dallo 0.5% all’1,1% al 2013. IlSussidiario.net ha chiesto a Paolo Costanzo, titolare dell’omonimo studio consulenza aziendale, quali effetti si produrranno, concretamente, per i cittadini e se esistono alternative percorribili. «La maggiorazione del carico Irpef – spiega -, dal contribuente medio sarà avvertita distintamente. Se, in una situazione normale, si tratterebbe di un importo tutto sommato modesto, nell’attuale regime fiscale l’ulteriore esborso potrebbe rivelarsi, in certi casi, insostenibile. La contribuzione effettiva, infatti, tra tasse dirette e indirette, arriva ormai spesso al 70% del proprio reddito». Si produrrà un’altra conseguenza perversa. «Siamo già in recessione e l’aumento delle tasse non può fare altro che inasprire la stretta recessiva». Certo, «è pur vero – continua – che il nostro debito pubblico ammonta a 2mila miliardi di euro e la spesa per gli interessi a circa 60-70 miliardi all’anno».



E’ evidente che così non si può andare avanti. «Aumentare le tasse è uno dei modi più semplici per far fronte alla situazione. Tuttavia, tutti sanno che la riduzione del Pil azzera l’efficacia di qualunque operazione di riduzione del debito». Oltre all’aggravio impositivo, esistono altri modi per rispondere all’emergenza. «Uno di questi consisterebbe proprio nela riduzione della spesa». Non stiamo di certo parlando della spending review del governo. «I suoi connotati, prevalentemente, la assimilano a una mera manovra di tagli. Oltretutto, per un importo che, rispetto all’entità del debito, è pressoché nullo. Si era parlato di tagliare 100 miliardi sprechi e si riusciranno a tagliarne, forse, appena 6». La colpa non è esclusivamente del governo. «In seno all’apparato burocratico, nei ministeri e nelle amministrazioni pubbliche, sussistono fortissime resistenze a ogni cambiamento, finalizzate a impedire la perdita dei propri privilegi». 



Oltre alla tasse e alla riduzione degli sprechi, ci sarebbe una terza soluzione che, fin qui, non è stata lontanamente presa in considerazione: «Si dovrebbe procedere con la vendita del patrimonio dello Stato. Un’operazione, ovviamente, lunga e complessa. Ma, in parte, attuabile nell’immediato. Emettendo, cioè, titoli di Stato che siano garantiti da tali beni e indirizzati esclusivamente agli investitori italiani. Si tratterebbe di obbligazioni sicure. E la loro vendita al mercato interno consentirebbe, da un lato, di ridurre l’esposizione all’estero, dall’altro, di rendere il debito meno oneroso». Una mossa necessaria come non mai. «Gli italiani stanno investendo sempre più in Bund tedeschi, nonostante i loro rendimenti siano negativi; oltretutto, secondo le stime della Banca d’Italia, la ricchezza privata dei cittadini corrisponde a circa 4mila miliardi di euro. Incentivarli ad acquistare titoli italiani permetterebbe di risolvere buona parte dei nostri problemi». 



 

(Paolo Nessi)