Italiani, pizza e mandolino? Non solo: anche portatori di un “modello culturale”, scrive l’autorevole Washington Post, che fa di noi “il malato cronico d’Europa”. In un articolo pubblicato sul quotidiano statunitense, infatti, si dice che nonostante i passi avanti fatti dal governo Monti – che viene anche lodato, specie per quanto fatto al recente vertice europeo – rimarremo sempre una nazione a rischio. Le cause? Evasione fiscale record, mancanza di spirito civico, nepotismo che esclude la meritocrazia. E, soprattutto, il prolungato crollo di competitività verso la Germania. Secondo il Washington Post, da quando esiste l’euro l’Italia ha perso il 30% di produttività nei confronti dei tedeschi. Secondo Marco Fortis, economista e vicepresidente della Fondazione Edison, il giornale americano fa «le solite semplificazioni spannometriche ingiustificate». Non ci sta proprio Fortis a riconoscersi nel quadro dipinto dal quotidiano americano: «Da quando esiste l’euro, l’Italia compete con la Germania su molti prodotti e va meglio dei tedeschi. Dal 1999 al 2011 siamo cresciuti di più della Germania, ad esempio nel settore dell’esportazione di prodotti meccanici senza parlare del tessile, dell’abbigliamento, delle calzature dove la Germania non è neanche in grado di competere con noi».



Esiste davvero un modello culturale italiano così negativo come lo descrive il Washington Post?

Penso che quanto pubblicato sia solo la solita semplificazione ingiustificata fatta da questi organi di stampa. Se noi oggi in Italia avessimo con i nostri media la stessa autorevolezza internazionale che hanno invece certe testate straniere, e ci mettessimo a discutere di quante ruberie hanno fatto i banchieri inglesi e americani nel corso degli ultimi vent’anni, il Washington Post avrebbe poco da mettere in evidenza il nostro cosiddetto modello culturale.



Perché pensa che gli organi di stampa esteri abbiano piacere ad attaccare in questo modo l’Italia?

Parliamoci chiaro: non è in Italia che sono saltate fuori i titoli tossici o i mutui subprime. Negli Usa c’è gente che è stata chiamata davanti al Parlamento a rendere conto del comportamento tenuto in questi anni sul fronte finanziario. Un atteggiamento che riguarda tutto il mondo anglosassone se si pensa che in Inghilterra, proprio ieri, si è dimesso il presidente di una banca solo per fare da “paravento” all’amministratore delegato dopo lo scandalo sulla manipolazione del Libor: qualcosa di incredibile.



Queste cose le scriviamo anche sui nostri media…

Se scrive – bontà sua – una testata italiana sugli Stati Uniti, la notizia non rimbalza oltreoceano. Invece se il Washington Post fa un commento sull’Italia, questo rimbalza in tutto il mondo. È una questione di rapporti di forza anche dei media, così come ci sono problemi di rapporti di forza anche nelle agenzie di rating e negli analisti che tranciano giudizi su questo o quel Paese.

Tornando a quanto denuncia il Washington Post, ad esempio riguardo una produttività inferiore rispetto alla Germania, c’è del vero?

Sono considerazioni che in molti casi fanno anche ridere perché l’idea che l’Italia perda quota nei confronti della Germania è un’assurdità.

Ci spieghi meglio questo punto.

L’Italia compete con la Germania su alcuni prodotti e su questi, da quando c’è l’euro, va meglio. Per esempio, per quanto riguarda l’esportazione di prodotti della meccanica che è il campo in cui l’Italia eccelle e compete con la Germania. Non tiro in ballo l’abbigliamento, le calzature, il tessile o le piastrelle dove noi siamo forti e la Germania non è neppure concorrente. Non tiro in ballo neanche l’automobile, perché noi e i tedeschi facciamo prodotti completamente diversi: non esiste la Bmw italiana, abbiamo la Fiat che non compete assolutamente con la casa tedesca perché fa altri modelli di auto.

 

Lei sta dicendo che nelle esportazioni, ad esempio nel settore della meccanica, siamo più competitivi della Germania?

 

Sì: nel periodo che va dal 1999 al 2011 in alcuni settori siamo cresciuti più della Germania, quindi affermare il contrario, come fa il Washington Post, è un falso. Certo, se si va a vedere la quota della Germania nel mercato mondiale si noterà che la sua industria ha tenuto un po’ di più (ma neanche più di tanto) di quella dell’Italia, mentre quelle degli Usa, della Gran Bretagna, della Francia e del Giappone sono crollate. C’è poi un altro particolare che viene taciuto.

 

Quale?

 

Il fatto che la Germania, avendo un’industria automobilistica unica al mondo, vende tantissimo proprio nei Paesi ricchi che vengono accusati di non essere competitivi, come l’Italia. Dovrebbero ringraziarci per questo: vuol dire che in Italia c’è gente così ricca da poter comprare Porsche, Mercedes e Bmw.

 

Però lo stesso Washington Post ha parlato bene dei risultati ottenuti da Monti al vertice europeo…

 

Sull’Economist invece si è letto che Monti è stato troppo duro perché ha rotto il fronte anti-tedesco in Europa. L’Italia è sempre stata un “tappetino” a livello internazionale: per una volta che è andata lì a imporsi, bene così. Il blog dell’Economist ha anche detto che Monti si sarebbe mosso come un elefante in una cristalleria, quando c’era l’occasione per coagulare un’alleanza. Invece, avrebbe indispettito Hollande. Ma scusate: per una volta che abbiamo fatto il nostro interesse…

 

Che ne pensa dello scudo anti-spread scaturito proprio da questo vertice?

Innanzitutto, nessuno ha ancora capito come funzionerà questo scudo. È stato comunque stabilito un fatto molto importante: un Paese che sotto il profilo fiscale fa meglio della Germania non può subire uno spread come quello attuale.

 

E quindi?

 

È come uno che prima faceva male i compiti e prendeva 4; poi si è messo a studiare e fa i compiti meglio degli altri, ma continua a prendere dal 5 al 6 perché è antipatico al professore. Il problema dello spread è stato portato da Monti all’attenzione generale perché l’Italia ha oggi il miglior avanzo primario non dell’Europa ma dell’intero mondo avanzato. È un Paese che negli ultimi due anni ha aumentato il debito pubblico di 4 punti di Pil, mentre la Germania lo ha aumentato del doppio e la Gran Bretagna del triplo. Per non parlare poi degli Usa.

 

Dunque non si capisce perché l’Italia debba avere uno spread del tipo che sappiamo.

 

Monti ha chiesto che intervengano dei meccanismi automatici per contenerlo. Non so se si interverrà su questi meccanismi all’Ecofin che si terrà la prossima settimana, però è un dato di fatto che il problema è stato posto.

 

C’è chi dice che il vertice è servito solo a salvare le banche spagnole.

 

E se fosse così? Bisogna avere la vista lunga: cosa volevamo, che la Spagna naufragasse col rischio che il prossimo contagio fosse per noi? Aver messo un argine alla Spagna significa aver spostato in là di parecchio il confine fra il rischio di default e l’Italia. Quanto concertato consente alla Spagna di mettere una pezza a una situazione economica veramente disastrosa. La nostra situazione è differente, perché il nostro debito pubblico non è per niente disastroso: è alto come quelli inglese e francese ed è più basso di quello tedesco.

 

Continuiamo ad avere un’immagine di debito pubblico che risale agli anni ‘90…

 

Allora sì che il nostro debito pubblico era il doppio di quello degli altri, ed era persino più alto di quello tedesco. Dobbiamo ora uscire da questa logica debito/Pil che ci penalizza, perché l’Italia ha un Pil che non rende l’idea della forza della sua economia. Anche perché ci sono numerose aziende – e ci sono studi economici che lo evidenziano – che hanno fatturati contenuti e un rapporto fatturato/debiti del tutto sostenibile.

 

Cosa sarebbe necessario a questo punto?

 

Che il governo Monti faccia una rivoluzione anche su questo fronte, altrimenti continueremo a rimanere inchiodati allo stereotipo dell’Italia con un debito pubblico incontenibile.

 

Ci sono voci che dicono che la Bce si appresti a tagliare i tassi di interesse. Il suo parere in merito?

 

Draghi ha già fatto molto in questo senso e una nuova manovra del genere sarebbe benvenuta.

 

(Paolo Vites)