Dalla finanza all’economia reale. Fino alle famiglie, quindi. Le maglie della crisi continuano a estendersi senza impedimenti e ormai da tempo hanno imbrigliato il quotidiano di milioni di persone. CRIF, azienda internazionale specializzata nello sviluppo e nella gestione di sistemi di informazioni creditizie, ha certificato il deflagrare di un fenomeno allarmante. Anche in Italia, la ricchezza privata ha iniziato a erodersi. Sempre più spesso i cittadini si indebitano per far fronte alle spese necessarie per sopravvivere. Tra chi accede a prestiti personali o a forme di microcredito, il 12,9% lo fa per pagare le rate delle polizze assicurative (nel periodo pre-crisi, prima del 2008, era il 7,8%), il 2,4% per curarsi (prima del 2008, l’1,2%) il 25,1% per i consumi quotidiani (21% prima del 2008). Gaetano Troina, professore di Economia aziendale presso la facoltà di Economia dell’Università degli Studi di Roma Tre, spiega a ilSussidiario.net come analizzare i dati. «La situazione è grave, è lo sta diventando sempre di più – afferma -. Per intenderci: se dovessimo paragonare la crisi a un forno, e gli italiani a una pizza, dobbiamo constatare che non siamo ancora entrati tra le fiamme. Ma, a breve, lo saremo».
Che in effetti le circostanze siano amare è sotto gli occhi di tutti: «L’aggravio impositivo, di certo, non aiuta. Anche se, a dire il vero, sono convinto che il governo, in queste condizioni, non avrebbe potuto agire altrimenti. Salvo, forse, introdurre una sorta di patrimoniale al posto di un’Imu così pesante. In ogni caso, già da tempo le famiglie non arrivavano a fine mese, nonostante qualcuno si ostinasse a insistere sul fatto che i ristoranti continuavano a essere pieni». Ora, tuttavia, la situazione rischia di sfuggire di mano. «Quando la gente non ha lavoro, né la possibilità di procurarsi il minimo indispensabile, si creano le condizioni per la disperazione. Un fattore che, se diffuso su larga scala, non è gestibile».
Si stanno producendo, oltretutto, conseguenze fino a poco tempo fa inimmaginabili. «Nel corso della crisi, la coesione sociale si è allentata e anche gli italiani, storicamente connotati da un atteggiamento solidale, si sono piegati alla logica del profitto a tutti i costi. È sufficiente osservare quanti proprietari di case hanno deciso di aumentare l’affitto ai propri inquilini, nonostante questi versassero già in pesanti difficoltà, per rendersi conto della deriva». Secondo il professore, se non si fa qualcosa e non lo si fa presto, si mette male. «L’indebitamento delle famiglie è contestuale alla chiusura di migliaia di piccole medie e imprese che andavano bene e si sono trovate costrette a chiudere. L’impressione, tuttavia, è che siamo in un vicolo cieco, senza soluzioni spendibili nell’immediato». Gli occhi di mezzo mondo, in realtà, sono puntati sul braccio di ferro tra Draghi e la Bundesbank. Non è escluso che il governatore della Bce riesca a strappare il consenso necessario affinché l’istituzione che presiede disponga della facoltà di acquistare titoli di Stato illimitatamente; tanto più che le pressioni della comunità internazionale e, in particolare, degli Usa, si fanno sempre più marcate.
«Non c’è dubbio – continua Troiana – che gli Usa siano preoccupati. La globalizzazione, ormai, non esporta più solo i prodotti, ma anche i rischi; l’iniziativa americana non rappresenta un sostegno alla linea di Draghi, ma una sorta di autodifesa». Detto ciò, nel merito, il professore non è così convinto del fatto che la Bce rappresenti panacea di tutti i mali. «Temo che si tratti, sostanzialmente, di un palliativo. Nessuna soluzione alla crisi si rivelerà definitiva fino a quando l’Europa non arriverà a un’effettiva unità politica e fiscale».
(Paolo Nessi)