Tra le pieghe del rapporto dell’Istat sui consumi della famiglie si evince una contingenza allarmante. Riassumendo: ogni nucleo (quello tipico è composto da 2,4 elementi) ha speso mediamente, nel 2011, 2.488 euro al mese. Si è prodotto, quindi, un aumento dell’1,4% rispetto all’anno precedente. In particolare, è cresciuta, del 2,2% la spesa per alimentari e bevande, del 3,3% quella per l’abitazione, mentre è diminuita del 5,9% quella per l’abbigliamento e calzature.  IlSussidiario.net ha chiesto a Simona Beretta, professoressa di Politica economica presso l’Università Cattolica di Milano come interpretare questi dati. «A una prima analisi – spiega -, essi ci rivelano esclusivamente le abitudini di consumo delle famiglie. Non possiamo dedurne se siano più ricche o più povere. Riusciamo a svolgere alcune ulteriori considerazioni soffermandoci sulla composizione dei dati e sulla variazione dei flussi relativi all’aumento della spesa per gli alimentari, per la casa e per i trasporti (aumento che dipende dall’inflazione, dall’aumento delle bollette di luce e gas e del petrolio) e al calo delle spese per calzature e abbigliamento». In sostanza: «Significa che la gente spende di più per avere le stesse cose di prima. E che ha indirizzato i propri acquisti verso l’essenziale, nel tentativo di risparmiare sul superfluo. Ne deduciamo che le famiglie, mediamente, si percepiscono più povere». In ogni caso, in assoluto, si parla di cifre piuttosto elevate. Come può mantenere un tale livello di spesa, ad esempio, una famiglia monoreddito? «Dai numeri dell’Istat – continua la professoressa – non possiamo evincere la provenienza del reddito necessario per mantenere tali comportamenti. Sappiamo, per esperienza, che sempre più spesso ci troviamo di fronte a trasferimenti di reddito intrafamiliari (il 30enne che chiede una mano ai genitori per sbarcare il lunario) o a fenomeni di accesso al credito al consumo. Si stanno moltiplicando, specie nei quartieri periferici, le agenzie finanziarie alle quali le persone ricorrono per chiedere un prestito per sostenere le proprie spese quotidiane».



Si sta intensificando sempre di più un comportamento che in passato non esisteva. «Una spirale pericolosissima. La stessa che dieci anni fa seminò, negli Stati Uniti, le basi della crisi». D’altra parte, non può che essere così. «Spesso, oggi, chi ha perso il lavoro, non ha alternativa per comprare il cibo per sfamare la sua famiglia o pagare le bollette. La soglia di comprimibilità dei consumi, oltretutto, specie tra la fasce più deboli, è ridotta al minimo». Ovviamente, ci sono delle disuguaglianze interne enormi. E, in certi posti, la situazione è peggiore che altrove. «In Lombardia, dove la spesa media si attesta sui 3.033 euro mensili, il fenomeno del sostegno al reddito per gli acquisti – sia attraverso i trasferimenti intra-familiari che attraverso i prestiti al consumo – è ancora più acuto». Siamo di fronte a una catastrofe? In realtà, no. La situazione, certo, è drammatica. Ma molto meno di come viene percepita. «E’ opportuno fare un confronto a livello internazionale per renderci conto di come il nostro tenore di vita sia mediamente più alto di quello degli alti Paesi europei; anche di molti di quelli più ricchi di noi. Come la Germania. Si stanno manifestando le contraddizioni interne di un sistema di consumi elevati in cui la percezione di sé è molto legata a ciò che si possiede».    



Si tratta di un atteggiamento che sarà necessario abbandonare. «Che l’economia debba crescere è fuori discussione. Che cosa, tuttavia, deve crescere? La prospettiva di consumo in virtù della quale il benessere sia legato, per intenderci, al possesso di tre cellulari diversi, non potrà più reggere se non nel breve periodo. Ci sono molte cose che contribuiscono alla qualità della vita – e che costano moltissimo – che non sono beni materiali. E fanno girare l’economia. Mi riferisco a tutto ciò che riguarda la creazione e il mantenimento di beni a fruizioni collettiva». Ecco qualche esempio: «Restaurare un’opera d’arte, recuperare un edificio, riqualificare un quartiere, sono operazioni legate che rilanciano la produzione e migliorano la qualità della vita collettiva».



 

(Paolo Nessi)

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