Nel vecchio Partito comunista, quando si facevano manovre o interventi pasticciati, si bollavano gli autori con una metafora impietosa: “Non hanno il quadro”. Intendendo per “quadro”, la situazione complessiva e, non conoscendola, mostravano tutta la loro incapacità nell’affrontarla. Non è molto diverso il giudizio che si può dare della manovra sulla spending review varata nella tarda di ieri. Il “governo dei tecnici” ha discusso per oltre sette ore, un’autentica maratona che fa pensare anche a contrasti interni, e alla fine ha deciso un programma di “tagli” in tre anni pari a 25 miliardi di euro. Rispettivamente 4,5 per quest’anno, 10,5 per il prossimo anno, 11 per il 2014. I bersagli principali di questi tagli sono sostanzialmente le Regioni, i Comuni, le Province e la Pubblica amministrazione. Ma se un taglio di 4,5 miliardi (lo 0,5% della spesa) richiede questo tipo di risoluzioni, scaricando i costi soprattutto sulle Regioni e gli enti locali, o con alcuni ritocchi alle spese della Pubblica amministrazione, l’impressione è che l’impianto complessivo della spesa pubblica non venga affatto intaccato seriamente. Il professor Ugo Arrigo, docente di Finanza pubblica all’Università Bicocca di Milano, commenta con scetticismo: «Sembrano dei medici che non riescono a fare una diagnosi della malattia e alla fine non danno le medicine giuste secondo i protocolli della scienza medica. Non riesco a vederci interventi razionali».



Ci sono questi interventi sulla Pubblica amministrazione, con la diminuzione dei dipendenti. Poi c’è il solito taglio di “auto blu”, ma anche dei buoni pasto.

Perché, i dipendenti pubblici non mangiano? Vediamo l’impianto della nostra Pubblica amministrazione con un minimo di razionalità. Non è che sia elefantiaca nei numeri. Ci sono tre milioni e mezzo di dipendenti pubblici, con un rapporto per i Paesi europei dell’Ocse che non è molto diverso. Se noi abbiamo 6,5 dipendenti ogni cento abitanti, in Germania ne hanno 5,5, in Francia addirittura 10. Il problema è che la nostra Pubblica amministrazione non funziona, mentre in Germania e in Francia sì. Il vero problema, la vera diagnosi da fare è questa. È questo il primo grande errore di carattere ideologico.



Qual è allora il vero problema?

Guardi, la spending review straordinaria del “governo Monti” intende applicare al settore pubblico processi di controllo dei costi che rappresentano invece la prassi quotidiana delle imprese di mercato. Non si tiene conto di due limiti. Il primo consiste nel fatto che nel settore privato dell’economia rappresenta un errore ed è nell’interesse dell’azienda e degli azionisti rimuovere questo errore in modo efficace e rapido. Nel settore privato poi c’è la catena di comando che funziona. Tutto questo non funziona invece nel settore pubblico. Il governo cerca di spostare le truppe burocratiche così come i generali le divisioni sul terreno muovendo bandierine sulle carte geografiche, tuttavia mentre le divisioni si spostano, non essendo dotate di obiettivi e volontà autonome, gli organismi burocratici non ci pensano proprio.



C’è anche uno scarto evidente tra quello che lo Stato taglia e quello che invece devono tagliare i cittadini.

Questo è più che mai evidente, con pochi conti. Se si pensa a quello 0,5% di taglio della spesa pubblica e invece al crollo dei consumi dovuto ai tagli sui redditi dei cittadini, che sono almeno del 5%, si capisce bene la filosofia di questo governo. Quale tipo di visione ha questo “governo dei tecnici”. Prevale sempre una concezione centralistica, una sorta di Stato napoleonico senza Napoleone, ma con degli aspiranti azzeccagarbugli.

 

Anche l’accorpamento delle Province sembra pasticciato.

 

Ma anche in questo caso non c’è un’idea chiara. Il problema, a mio avviso, non sono nemmeno le Province, ma le competenze attuali che sono assegnate alle Province. Forse potrebbero essere utili in qualche altro modo, con altre competenze e funzioni.

 

Poi c’è un autentico salasso per Regioni e Comuni. Soprattutto le Regioni sono già sul “piede di guerra”.

 

Questa è la classica politica dello “scaricabarile finanziario”. Non riescono a ridurre le spese nella “casa madre” e scaricano il tutto sulle “controllate”. È l’ennesimo intervento di questo tipo da molti anni a questa parte. Mi chiedo continuamente perché vanno a caccia di risparmi e di tagli sulle controllate dei comuni e non guardano quello che avviene a livello centrale. Ma perché non cominciano soprattutto dalla testa?

 

Evitano comunque l’aumento dell’Iva nei prossimi mesi. Hanno spostato tutto a luglio del 2013, tra un anno.

 

Hanno spostato tutto a quando non saranno più al governo, probabilmente. Ma in tutti i casi danno un messaggio sbagliato ai consumatori, che continueranno a non consumare come stanno facendo in questi mesi. Che messaggio è un aumento indiscriminato dell’Iva di due punti su tutti i beni, anche quelli primari ed essenziali? Per alcuni generi di consumi non si potrebbero ridurre? Dimostrano solamente un vizio centralista e statalista, anche in questo caso.

 

(Gianluigi Da Rold)

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