Sussurrano i commessi della Presidenza del Consiglio che da qualche giorno è un gran via vai di plichi “riservati” che (lo sanno anche i topi delle soffitte di Palazzo Chigi) contengono proposte su come tagliare il debito sovrano con una o più misure straordinarie. Lo stesso Prof. Monti ha affermato che la riduzione del peso del debito pubblico sarà uno dei temi centrali della ripresa autunnale. Oltre a documenti istituzionali (Pdl, Fondazione Astrid, ecc.) sollecitati dal Governo, arrivano proposte individuali di economisti, giuristi ed anche di giornalisti. Monti & Co. Avranno un’amplia platea da esaminare. Quindi, è bene che stabiliscano presto adeguati parametri di valutazione e criteri di scelta.
Il problema della riduzione del debito sovrano è un tema relativamente recente e studiato soltanto negli ultimi anni. In passato, i sovrani non erano usi a saldare i debiti “con denaro”. Utilizzavano , al più, cessioni territoriali, come documentato nel bel volume di Anne Krueger “A New Approach of Sovreign Debt Restructuring” , Internazional Monetary Fund 2002. Un lavoro più recente di Jordan Branch apparso nel 2011 nell’”European Journal of International Relations” (“Colonial reflections and territoriality”) cita, in modo più sintetico, dello studio della Krueger, numerosi esempi in cui , specialmente nel sedicesimo e diciassettesimo secolo, la cessione di territorio era quasi una prassi per risolvere questioni di debito sovrano mentre dal diciottesimo secolo si cominciò a cedere colonie. Un bel film francese di una trentina di anni fa (Noir et Blanc en Couleur) mostrava come avversari che avevano, però, studiato a La Sorbonne ed Heidelberg si giocassero a dadi territori di poveri africani in seguito a debiti di guerra durante la Prima Guerra Mondiale (a cui si erano aggiunti quelli di gioco nelle lunghe giornate a fronteggiarsi in trincea in Africa Equatoriale).
La stessa Casa Savoia si avvantaggiò del debito contratto nei suoi confronti dalla Corona di Francia. E’ una storia contorta che viene da lontano: dalla ufficiale “sospensione del debito” (nei confronti dei creditori) decretata nel 1351 da Giovanni Il Buono, Capeto, Re di Francia, durante la guerra dei cento anni. Tra i creditori c’erano anche i Savoia (professionisti della guerra) che da allora iniziarono ad avere pretese per montare di grado nel consesso europeo, anche tramite un’attenta politica di alleanze politiche e matrimoni. Nei delicati equilibri del sedicesimo e diciassettesimo secolo combatterono spesso contro i francesi (è nota la battaglia di San Quintino) guadagnando terreni e crediti (per danni di guerra). Da Conti diventeranno Duchi, ed anche Re della piccola Cipro. Nel 1713, con il Trattato di Utrecht, ottennero su pressione della Gran Bretagna ma anche con il beneplacito della Francia (che aveva molto insoluto nei loro confronti) la cessione della Sicilia da parte della Spagna: un Vittorio Emanuele fu incoronato Re a Palermo. Dopo pochi anni, in seguito alle pressioni per una nuova alleanza anti-spagnola (nell’ambito delle guerre di successione nella Penisola Iberica) la scambiarono con la corona di Sardegna. Queste vicende sono trattate, tra l’altro, in Simone Candela “Piemontesi in Sicilia”, Caltanissetta, S. Sciascia 1996, nonché in una storia di Casa Savoia” in più volumi di cui è autrice l’ex Regina Maria José e pubblicata da Mondadori negli Anni Cinquanta.
Il debito sovrano è diventato un problema finanziario da quando esiste la finanza internazionale ed occorre pagare per rinnovarlo. Tanto meno è credibile il sovrano debitore tanto più caro è il costo (ora si chiama spread). Ho l’età per ricordare i “Rosa Bonds” dal nome del Sottosegretario dell’Amministrazione Kennedy inviato in Europa a piazzare obbligazioni a interesse contenuto per pagare la difesa comune (in effetti il costo della guerra in Viet-Nam). Ricordo anche quando nell’autunno il Messico dichiarò, come Giovanni Il Buono, che avrebbe sospeso i pagamenti.
Perché ricordare queste vicende antiche e relativamente recenti? Per sottolineare che il problema non è tecnico: le schede riassuntive pubblicate da “Il Sole-24 Ore” mostrano che la dozzina di proposte ha molti punti in comune. Sotto il profilo tecnico, è meno difficile di quello che sembri trovare un punto d’incontro. Il problema è politico poiché tutte le proposte postulano un impegno di lungo periodo, dai 7 ai 25 anni, ben superiore all’arco di una legislatura. L’attuazione di ciascuna di loro – o di un mix delle migliori – richiede una forte e salda coesione politica, mentre i partiti appaiano sempre più frammentati e litigiosi. L’alternativa sarebbe un grande patto sociale, tra le forze sociali, preparato dal Cnel che già il 5 giugno scorso ha messo a raffronto le varie proposte allora sul tappeto.
Se i partiti non sono in grado di assicurare l’impegno di lungo periodo necessario, lo sono i sindacati e le organizzazioni degli imprenditori? Lo chiediamo a loro, sperando che numerosi rispondano all’interrogativo de Il Sussidiario?