La notizia arriva nel tardo pomeriggio, alle “cinque della sera” e lascia tutti un po’ perplessi e dubbiosi. La banca d’affari americana Goldman Sachs, che ha avuto tanti consulenti italiani che hanno poi fatto una strepitosa carriera politica e istituzionale, ha deciso nel secondo trimestre di quest’anno, tra marzo e giugno, di fuggire dai Btp, cioè dai titoli del debito italiano. Già qualche giorno fa si parlava della fuga dei big di Wall Stret in termini generici. I grandi della finanza americana hanno venduto titoli degli Stati cosiddetti periferici dell’eurozona e allo stesso tempo hanno aperto un’autentica corsa a strumenti di cosiddetta natura derivata, come i cds (credit default swaps), cioè dei prodotti assicurativi che dovrebbero tutelare dal rischio-Paese e soprattutto dall’implosione dell’euro. Che cosa ha fatto nello specifico Goldman Sachs? Ha ridotto, appunto, tra marzo e giugno, la sua posizione sul debito italiano di ben il 92 percento. In pratica, ha venduto 2,5 miliardi di euro di titoli di Stato italiano, tenendone 191 milioni. E contemporaneamente anche Goldman Sachs aumenta la sua posizione nei derivati per assicurarsi da eventuali rischi di default in Italia. Magari tra qualche mese, la situazione potrebbe essere rovesciata. Tra marzo e giugno, effettivamente, la corsa alle vendite dei titoli dei Paesi cosiddetti periferici dell’eurozona è stata una specie di valanga. Ma siamo appena nella prima decade di agosto e il risultato è quello che attesta la stessa Sec americana. Che cosa vuol dire? Che significato ha? Giulio Sapelli, un grande economista, che è professore ordinario di Storia economica all’Università degli Studi di Milano, e che conosce come pochi al mondo, per la sua esperienza, i problemi della finanza e dell’economia mondiale, ha subito la risposta giusta di fronte a una domanda di valutazione di questa scelta di Goldman Sachs.
«Il commento che si può fare è quello di un orientamento sospettoso rispetto alla tenuta dell’euro, quindi alla consistenza dell’eurozona. E per quanto riguarda l’Italia, Goldman Sachs dimostra di vedere tutta l’incertezza di questo governo, tanta incertezza nel governo e in alcune forze interne al Paese. Quale altro significato può avere una simile ritirata strategica della banca d’affari americana? È vero che ha venduto in un momento in cui tutti vendevano, ma gli scenari complessivi non mi sembrano cambiati». Sapelli ha scritto in questi ultimi mesi articoli, saggi sull’incertezza di questo governo. Soprattutto ha scritto un libro esemplare “L’inverno di Monti”, con un sottotitolo significativo “Il bisogno della politica”, in cui ha prefigurato le difficoltà che sarebbero inevitabilmente arrivate e con le quali occorreva fare i conti. In questo momento Sapelli si sta godendo il mare della Sicilia ma non rinuncia a considerazioni più ampie. «Ho letto cose curiose in questo periodo. Curiose si fa per dire, intendiamoci. Un’intervista del ministro dell’Economia e delle Finanze, Vittorio Grilli, prefigurava vendita di asset di ogni tipo. Poi sto guardando le mosse del famoso “duo” Giuliano Amato e Franco Bassanini. Grilli parla della vendita dei beni pubblici per 15 o 20 miliardi all’anno pari all’uno per cento del Pil. Amato e Bassanini elaborano un documento per portare in sicurezza il debito italiano entro il 2017. E’ curioso leggere quel documento, perché si parla di tutto e di più, poi in due righe si aggiunge la possibile vendita di Eni e Finmeccanica. Vorrei commentare con un vacanziero: “alla faccia”. Che cosa viene in mente osservando questo dibattito a più voci? Che si sta ricreando una situazione come quella del 1992, quando si è cominciato a svendere i gioielli del Paese e quindi ridimensionare ancora di più il sistema industriale, riducendo l’Italia a un bel giardino». Anche questo dibattito a più voci alimenta lo scetticismo e i sospetti di una banca come Goldman Sachs? «È evidente che ci sia un concorso, non necessariamente orchestrato, di forze interne ed esterne che puntano su un ridimensionamento economico del ruolo dell’Italia. Occorre dire che mi è piaciuto in questa occasione Stefano Fassina, che in una intervista a “Il Foglio” ha più o meno detto che qui si sta pensando di vendere tutto.
O addirittura di svendere. E tutto questo mentre si conoscono le difficoltà del nostro sistema produttivo, le difficoltà che stanno incontrando le nostre imprese sul mercato in diversi settori produttivi. Ho pure la sensazione di qualche sorpresa a ferragosto. Speriamo che sia solo una sensazione». Una situazione come quella del 1992 darebbe forse il colpo di grazia al sistema produttivo italiano. «Io temo che si possa ricreare quella stagione, ma c’è una differenza importante rispetto a quell’epoca: questa volta il capitalismo americano è diviso. C’è chi non vuole ridurre l’Italia a “Paese senza peso” in una zona cruciale come il Mediterraneo. Soprattutto adesso, con quello che sta succedendo nei Paesi arabi e nel Medio Oriente. Forse gli Stati Uniti, sicuramente una parte importante, non vuole ridurre il peso che l’Italia ha sempre avuto in questo settore del mondo».