Col passare delle settimane, con la Borsa che scende e poi risale in termini non significativi, con lo spread che sembra ancorato, bloccato sopra i 450 punti, viene sempre più in evidenza l’incertezza del “governo dei tecnici” di Mario Monti. Ma se tutto questo serve per un’analisi limitata di politica finanziaria, legata ai conti pubblici dello Stato e alla quadratura del bilancio (per far contenti i tedeschi e gli euroburocrati), in questi ultimi giorni sui tavoli degli analisti si sono accumulati dati più cupi, per usare un aggettivo del professor Francesco Forte, che riguardano la recessione economica italiana: la perdita secca della produzione industriale, il crollo dei consumi, l’ampiezza inquietante della disoccupazione, la stretta del credito, la sofferenza delle famiglie. È stato lo stesso ministro del Lavoro, Elsa Fornero, a parlare di un sistema industriale italiano in difficoltà e di un possibile autunno caldo. Forse, dietro a questa dichiarazione e all’incertezza percepibile del governo Monti, si svela in tutta la sua portata una scelta di politica economica sbagliata. E alla fine, quasi involontariamente, i tecnici devono prendere atto, anche se forse non lo ammetteranno mai, che la linea del governo d’emergenza, sorretto dalla “strana maggioranza”, non ha compreso quello che stava succedendo e ha sbagliato. Francesco Forte, grande economista, ex ministro delle Finanze, aveva previsto da tempo che si sarebbe creato questa situazione e, fin dal maggio del 2011, aveva cominciato a lavorare a un documento organico per la crescita dell’Italia. La base di partenza era di operare sullo stock di debito, con dismissioni del patrimonio dello Stato ben congegnate. La creazione di un Fondo e alcune operazioni di cartolarizzazione. E, soprattutto, non concentrarsi continuamente sul deficit, come lo stesso ministro dell’Economia dell’epoca, Giulio Tremonti insisteva. Dice oggi Francesco Forte: «Operare sullo stock di debito significava fare una politica di espansione economica, essere ossessionati dal deficit voleva dire ricorrere alla pressione fiscale, fare una politica restrittiva e portare alla recessione. Si discuteva in quel periodo di un’alternativa alla “patrimoniale” che voleva la sinistra, compreso Giuliano Amato, che è oggi in fase di grande ripensamento, impegnato com’è oggi sullo stock del debito con Franco Bassanini. Ma forse oggi è già tardi per un mutamento di questa linea di politica economica. È evidente che, visti i risultati, ci stanno pensando in molti e stanno giocando le loro carte politiche in modo confuso».



Su una posizione simile a quella di Francesco Forte, anche attraverso una differente impostazione, c’erano altri economisti. Su Il Sole 24 Ore, Paolo Savona ricorda i “Nove impegni per la crescita” del 16 luglio 2011 e anche in quel documento la priorità era operare sullo stock del debito e non sul deficit, come invece è stato fatto. Monti è invece andato per la sua strada, guardando al deficit, all’avanzo primario e alla pressione fiscale che piaceva soprattutto a sinistra. «E quello che sta accadendo oggi non è altro che quello che aveva previsto Goldman Sachs. La banca d’affari americana ha venduto i Btp italiani tra marzo e giugno, nel periodo di maggior auge del governo Monti. Che cosa aveva previsto Goldman Sachs, dove conoscono bene Monti perché è stato un loro consulente? Avevano previsto che con questa politica restrittiva l’Italia sarebbe andata in recessione, che Monti non avrebbe risolto la situazione. È per questa ragione che Goldman Sachs è fuggita dal debito italiano, perché ha previsto una caduta della nostra economia.



 

Non ci voleva molto in fondo con quella manovra fiscale depressiva.

 

Appunto. È impressionante che la Fornero lo dichiari adesso, che il governo abbia continuato a insistere sullo scudo anti-spread che non può diventare automatico. Tutto questo dimostra che il “governo dei tecnici” non aveva capito quasi nulla di quello che stava accadendo.

 

Ritorniamo al suo documento di maggio. Fu subito respinto da Giulio Tremonti.

 

Con motivazioni che devo definire risibili. Ma quel documento restava e si arricchiva anche attraverso altri contributi. Lo guardò anche il capogruppo del Pdl alla Camera dei deputati, Fabrizio Cicchitto. Nel momento della crisi di novembre, quel documento restava come proposta del Pdl e non fu neppure preso in considerazione dal Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, e di conseguenza neppure dal “governo dei tecnici” di Mario Monti, che anzi seguì una linea del tutto opposta, quella che in fondo sponsorizzava la sinistra.



 

Ma oggi Angelino Alfano, con la sua proposta, spariglia i giochi.

 

La proposta di Alfano non è molto diversa da quello che costituiva il mio documento organico fatto nel maggio 2011. Il problema differente è che oggi, di fronte ai risultati della recessione, sorgono dubbi anche nel “governo Monti”. Ci si trova in una strana situazione politica. Il governo prende atto, pur non ammettendolo oppure facendo ammissioni a mezza voce, che la sua linea non ha funzionato. In più c’è la stessa sinistra che in questo momento si sta sganciando dal governo. Basta guardare il piano che sta predisponendo l’economista del Partito democratico, Stefano Fassina, che è poi una nuova richiesta di patrimoniale, che avrebbe un altro carattere recessivo, e una serie di interventi keynesiani.

 

Sta illustrando la posizione di un governo che sta in mezzo al guado.

 

Solo che in questo momento, al contrario di qualche mese fa, il Pd è attaccato alla barca stando in acqua, mentre il Pdl sta sulla barca. Si sono rovesciate le posizioni.

 

Quindi c’è la possibilità di una presa in considerazione della proposta Alfano?

 

Questa volta l’hanno presa in considerazione. Ma mi chiedo se è credibile e possibile che si possa adottare il suggerimento di Alfano. Non credo che finiranno per adottarlo. Il governo cercherà di tirare avanti fino alla scadenza delle elezioni, di campare settimana dopo settimana, confidando in qualche mossa di Mario Draghi, che effettivamente ne ha a disposizione.

 

Quali ad esempio?

Una nuova emissione di liquidità alle banche garantita da obbligazioni degli Stati, così come è già stato fatto. Poi certo, tutto dipende da un problema: o l’euro regge o l’euro cade.

 

Mario Monti farà pure i suoi calcoli in questo periodo, anche sul suo futuro, ma soprattutto arriverà a fare il passo di una sottomissione dell’Italia alle ragioni dell’Europa?

 

Io credo che Monti abbia sempre pensato che gli italiani e l’Italia non sono in grado di fare nulla senza l’Europa e la Germania. A mio avviso è questa la linea che ha seguito e che in fondo andava bene non solo al suo modo di pensare, ma anche alla natura del suo governo sorretto dalla sinistra. È possibile che alla fine sottoponga l’Italia alla firma di un protocollo. Certo, in questo caso, dovrà dimenticare alcune sue aspirazioni di carattere politico e istituzionale.

 

In una situazione come quella che descrivendo, come si arriverà alle elezioni della prossima primavera?

 

Guardi è difficile fare delle previsioni. La scommessa di alcuni traders internazionali è che l’euro cadrà a marzo del 2013. Questo io non lo so proprio prevedere. È invece prevedibile come si andrà a votare in Italia. Su due posizioni: o sulla salvezza e sul rilancio dell’impresa e del sistema industriale italiano o sulla salvezza dell’euro. Questa sarà la contrapposizione di fondo. Io sono, ad esempio per l’euro-lira, magari con Gran Bretagna, Svezia e altri Paesi. Non è che non si possa stare nell’euro. Ma ci volevano vere liberalizzazioni, vere semplificazione, un’autentica riforma del mercato del lavoro. Non hanno fatto nulla di tutto questo.

 

(Gianluigi Da Rold)