La patrimoniale spacca il Partito democratico scatenando un dibattito dal sapore pre-elettorale. Tutto per una dichiarazione dell’ex ministro delle Finanze, Vincenzo Visco, secondo cui la patrimoniale di baserebbe “su un equivoco di fondo: che basti dare una botta e la soluzione arriva. Altro che portare a casa 10 o 20 punti di Pil in un solo colpo in quanto un’ imposta straordinaria alla fine peserà su tutti, sottraendo risorse all’economia reale”. Il lettiano Francesco Boccia gli ha risposto a muso duro: “Siamo di fronte alla vecchia sindrome di una certa sinistra che, per paura di passare per il partito delle tasse, smentisce se stessa”. Ilsussidiario.net ha intervistato Carlo Borghi Aquilini, editorialista de il Giornale e professore di Economia degli intermediari finanziari.
Da dove nasce la spaccatura del Pd sulla patrimoniale?
E’ una posizione tipica della sinistra cercare di aumentare quanto più possibile l’imposizione fiscale, per potere gestire il potere in modo centralista aumentando le dimensioni dello Stato. Dall’altra parte il Pd ha il timore delle conseguenze elettorali di una patrimoniale. Gli italiani hanno già provato sulla loro pelle che quando si dice “anche i ricchi piangano”.
Che cosa intende dire?
Tradotto nella realtà chi ne paga di più le conseguenze non sono tanto i più benestanti bensì la classe media. Sapendo quindi che l’italiano non è uno sprovveduto e ha già visto come va a finire, quanti nel centrosinistra si sono dissociati dalla richiesta di una patrimoniale vogliono semplicemente che non se ne parli prima delle elezioni. Non avendo ancora vinto, per non farsi del male da soli questi esponenti del Pd preferirebbero dire che non la faranno, e dopo un’eventuale vittoria ci ripenseranno. La spaccatura del Pd è dunque per motivi elettorali, e non per una contrarietà di fondo a un qualsiasi tipo di inasprimento fiscale.
Perché ne è così certo?
Ricordo che la promessa elettorale di Romano Prodi nel 2006 era che chi già pagava le tasse non avrebbe dovuto temere nulla. In realtà abbiamo visto che le persone che guadagnavano più di 35mila euro, cioè meno di 2mila euro lordi al mese, si sono trovate arruolate loro malgrado nella categoria dei ricchi a cui si chiedeva un sacrificio.
E i veri super-ricchi?
Chi ha grandi patrimoni non aspetterà certo di farsi tassare, ma li trasferirà all’estero, li metterà in holding o comunque al sicuro. Anche perché questi personaggi hanno alle loro dipendenze schiere di commercialisti che possono riuscire a mettere in sicurezza una parte significativa dei loro beni. Per portare gettito l’asticella della patrimoniale, così come è già avvenuto con le tasse sul reddito, salirà dunque sempre di più per il ceto medio. Una prova concreta l’abbiamo già vista in atto con l’Imu, che non è altro che una patrimoniale dalla quale le persone povere non sono state certo esentate.
Per quale motivo ritiene che la patrimoniale colpirà soprattutto il ceto medio?
In Italia tanto per i redditi quanto per i “beni al sole” esiste una piramide con una base molto larga e una punta molto stretta. Per esempio solo l’1% dichiara più di 100mila euro, mentre la media delle dichiarazioni è di 19mila euro. Alzare le aliquote per questo 1% di ricchi, o di onesti che dir si voglia, permetterebbe di raccogliere una somma che divisa per la base della piramide darebbe un risultato infinitesimale. Se io voglio ottenere gettito, devo dunque scendere molto rispetto alla piramide in modo da riuscire a pescare su una base più ampia.
Un conto però è la distribuzione del reddito, un’altra i patrimoni immobiliari …
Le statistiche di Bankitalia rivelano che quasi tutti gli italiani possiedono una prima casa, e ciò rappresenta un’anomalia rispetto al resto del mondo. Degli 8mila miliardi di ricchezza di cui si discute, un’ampia percentuale è costituita da ricchezza immobiliare e soprattutto dalle prime case. Si tratta di un valore tra l’altro virtuale, perché vendendo questi immobili non ci sarebbe la possibilità immediata di fare cassa. Casi di contribuenti che dichiarano 500 appartamenti sono invece estremamente rari. Anche chiedendo a questi ultimi un particolare contributo, il gettito complessivo resta infinitesimale rispetto alle esigenze del bilancio pubblico. Per non parlare delle conseguenze negative che si produrrebbero anche tassando i più ricchi.
In che senso?
La decisione di tassare le barche ha fatto sì che ne abbiamo perse 30mila che sono finite all’estero. Quindi lo Stato italiano ha guadagnato 1 dalla tassa e ha perso 10 dall’indotto e dalla fuga di appassionati di nautica.
(Pietro Vernizzi)