Le notizie provenienti da Karlsruhe riportano un po’ di serenità: non ci sarà alcun rinvio da parte della Corte costituzionale tedesca e la tanto attesa sentenza sul fondo salva-stati Esm arriverà come annunciato entro il 12 settembre. Ciò detto, l’Italia non ha certo risolto i suoi problemi. È vero che l’asta dei Bot di lunedì è andata bene, ma lo spread resta sempre a livelli di guardia, intorno ai 440-450 punti base. Il problema dell’Italia sembra essere diventato quello del debito pubblico. Questa è almeno l’impressione generale, visto che il Governo si prepara a mettere in campo da settembre un piano “taglia-debito”. Le ricette e le proposte sul da farsi sono numerose e per fare chiarezza sul tema ilsussidiario.net ha interpellato Mario Deaglio, Docente di Economia internazionale all’Università di Torino.



Professore, partiamo da una prima considerazione: intervenire sul debito è davvero necessario?

Chiariamo subito i termini della questione. Abbiamo firmato il Fiscal compact che ci impone di portare il nostro rapporto debito/Pil al 60%, dal 120% circa attuale, in 20 anni. Questo implica che dovremo avere mediamente un surplus di bilancio del 3% l’anno. Dato che non abbiamo mai fatto surplus di bilancio negli ultimi 20 anni (e quelli prima sono stati molto rari) è necessario capire come poter raggiungere questo obiettivo.



Sembra che l’intenzione sia quella di procedere alla dismissione di beni pubblici.

Lo Stato ha moltissimi beni. Tra quelli che può dismettere ci sono beni immobiliari (come edifici e terreni) e finanziari (come azioni di società). Sul come e quanto vendere c’è una notevole gamma di proposte, nessuna delle quali esclude l’altra. Va comunque detto che la vendita di asset pubblici non è urgente. L’urgenza mi pare più mediatica che reale: ci sono venti anni per raggiungere il risultato e un ampio ventaglio di proposte su cui ragionare. Esiste anche la possibilità di non vendere grandi quote di beni e utilizzare strumenti di tassazione, come un’imposta patrimoniale.



Non pensa che un patrimoniale potrebbe avere qualche controindicazione?

In effetti, la patrimoniale può creare dei problemi di liquidità a chi deve pagarla. Se un cittadino possiede molte case, per pagare l’imposta magari potrebbe trovarsi costretto a venderne alcune. Se in tanti dovessero agire in questo modo, ci sarebbero ripercussioni sul mercato immobiliare. Se passiamo dai beni immobiliari a quelli finanziari, la situazione diventa più complicata. Non è facile, infatti, capire dove e quanti sono i patrimoni. Ci si può provare, ma si potrebbero anche creare dei danni all’economia.

Che tipo di danni?

Chi venisse colpito dalla patrimoniale potrebbe anche decidere di lasciare il Paese. Inoltre, dato che le tipologie di capitale finanziario sono tante, potrebbero nascere dei contenziosi che potrebbero trascinarsi per lungo tempo. Per questo, al di là di quello che si è già fatto sull’Imu, è difficile pensare ad altre patrimoniali. Probabilmente occorrerebbe istituire un’anagrafe patrimoniale simile a quella francese prima di poter pensare a ulteriori interventi.

 

A proposito di possibili danni all’economia, c’è chi mette in guardia dal mettere in vendita le quote pubbliche di aziende ritenute strategiche, come Eni e Finmeccanica. Cosa ne pensa?

 

Il clima di una fase recessiva è sfavorevole alla vendita di beni pubblici in generale, perché vengono pagati meno. Non dobbiamo poi dimenticare che l’Eni è l’ultimo gioiello che ci resta a livello mondiale, l’unica impresa italiana che è veramente un player globale riconosciuto. In caso di vendita, insieme a questa società perderemmo anche una sorta di “rango”. E oltre a Eni ci sono altre aziende importanti. Va quindi fatta una scelta: ci interessa contare nel mondo o no? Vogliamo continuare a prendere decisioni o subire quelle altrui?

 

È per questo che la settimana scorsa ha proposto di utilizzare le riserve d’oro per risanare i conti pubblici?

 

Siamo il quarto detentore pubblico di oro al mondo. Per via di un accordo esistente tra i detentori, di questo oro non possiamo che venderne una piccola parte ogni anno, corrispondente a circa 1,5 miliardi di euro: una cifra che non guasta mai, ma di certo non risolutiva. In effetti, la mia era una proposta un po’ a latere rispetto al tema del debito; non tanto operativa sul fronte delle dismissioni, quanto utile per avere uno strumento in più per difendere i nostri titoli pubblici e quindi calmierare lo spread.

 

In che modo potremmo usare il nostro oro per abbassare lo spread?

 

Nel 1976 abbiamo dato il nostro oro in garanzia per un prestito (da parte della Bundesbank). Ora non ci servirebbe un prestito, ma una linea di credito con cui poter agire in controtendenza sul mercato nel caso i nostri titoli pubblici si trovino sotto attacco. Si potrebbe quindi depositare il nostro oro presso il Fmi in cambio di una linea di credito, pagando un interesse solo per la parte che venisse eventualmente utilizzata. Penso che potrebbe essere un’idea almeno da prendere in considerazione. Quello che mi stupisce, infatti, è che rispetto a tutte le proposte circolate ultimamente non si sia fatto mai riferimento all’utilizzo dell’oro. Sembra quasi un tabù.

 

L’Italia potrebbe quindi avere una sorta di scudo anti-spread “autonomo”.

Teniamo conto che la linea di credito potrebbe ragionevolmente arrivare fino a 150 miliardi. Potrebbe quindi diventare una sorta di piccolo scudo, che potremmo anche non usare mai. Magari solamente nei casi di emergenza, quando lo spread sale e il volume delle contrattazioni è basso e quindi pochi interventi possono risultare utili. Non sostituirebbe le altre misure, ma potrebbe essere un buon complemento.

 

In questi giorni si rincorrono comunque voci sull’esistenza di pressioni sull’Italia perché chieda già aiuto all’Europa. Cosa ne pensa?

 

Credo che sia un discorso molto prematuro. Intanto dobbiamo vedere quale sarà la sentenza della Corte costituzionale tedesca sull’Esm. Ogni giorno che passa ci avvicina al 12 settembre e agosto, che doveva essere un mese terribile sui mercati, per il momento non ci sta riservando catastrofi. E poi non sappiamo neanche bene cosa ci chiederebbe l’Europa in cambio degli aiuti.

 

(Lorenzo Torrisi)

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