“Che cosa ci vuole per uscire dalla crisi? Ci vuole tempo, non meno di 5-7 anni per assorbire gli eccessi della stagione del credito facile, digerire il debito e ripartire. Le scorciatoie, come dimostrano gli scarsi risultati finora raccolti da governi e banche centrali, non portano a nulla”. Parla così Gary Shilling, forse il più irriducibile pessimista tra gli osservatori di Wall Street, che per anni predicò invano i rischi che comportava la bolla immobiliare. “Sapete cosa vogliono Angela Merkel, Mario Draghi o François Hollande? Cari investitori, vogliono i vostri soldi. Fanno progetti, programmi, vi lasciano credere che sia allo studio un piano per il risanamento delle finanze di Italia e Spagna. In realtà vogliono che voi mettiate i soldi al posto loro. E così vi nascondono la realtà: non solo Italia e Spagna non possono reggere tassi tra il 6% e il 7%, ma anche una sovrattassa del 4% è insostenibile”. È il senso di un intervento senza peli sulla lingua di Bill Gross, il più importante gestore del mondo di titoli di debito (Pimco, la società che lui dirige, ha un patrimonio di 230 miliardi di dollari investiti nel reddito fisso), sul Financial Times.
Queste opinioni, largamente condivise tra i grandi operatori, servono a inquadrare la congiuntura, tutt’altro che allegra, ma che non ha portato a quelle tragedie che molti paventavano per il mese di agosto. In realtà, nessuno si fa illusioni su interventi taumaturgici da parte delle banche centrali. L’economia internazionale segna il passo, in assenza di locomotive che abbiano sufficiente energia per trainare il convoglio. Rispetto al primo atto della crisi, quello seguito al crac di Lehman Brothers, la Cina e gli altri emergenti hanno meno margine di manovra. Anche se, per evitare di arrivare al cambio dei vertici di ottobre in piena crisi, i governanti di Pechino continuano a mandare messaggi rassicuranti ai mercati. E altri già sono passati dalle parole ai fatti: il Brasile ha avviato un piano di investimenti da 66 miliardi di dollari, mentre i vicini del Sud America, dalla Colombia al Cile, puntano a indebolire le valute nazionali per rilanciare l’export. Ma non è il caso di scherzare con le valute: gli Stati Uniti guardano con crescente nervosismo all’indebolimento dell’euro che sta favorendo il made in Germany.
Insomma, come dice Shilling, l’unica medicina convincente sembra essere il tempo. Purché, nel frattempo, il mondo osservi la cura giusta. Intanto, nell’attesa che i politici/medici scelgano la terapia, non resta che affidarsi ai banchieri centrali/chirurghi. Si attende con interesse, ma senza spasmodica tensione, l’intervento di Ben Bernanke il 31 agosto a Jackson Hole: di sicuro il presidente della Fed aprirà la porta a nuovi stimoli, ma nessuno pensa che la Fed abbia in mano, a tre mesi alle elezioni Usa, una bacchetta magica capace di avviare la svolta. Pochi giorni dopo, il 6 settembre, la Bce spiegherà con maggiori dettagli la natura del suo intervento sui mercati. Per quella data, forse, Madrid avrà già compiuto il grande passo chiedendo il sostegno dello scudo Efsf.
In tal caso, la patata bollente passerà a Mario Monti. E non solo a lui. Al di là delle chiacchiere di maniera, è impossibile che l’Italia possa restare fuori dalla bufera nel caso che la Spagna si rifugi sotto lo scudo. Più che chiedersi se l’Italia attiverà o meno la richiesta dello scudo, è il caso di domandarsi come l’operazione avverrà: un conto è offrire garanzie ai partner sul rispetto della tabella di marcia già approvata dal Parlamento, altro è subire controlli più stringenti e lesivi dell’autonomia politica del Paese. Ma più tardi ci si muove e peggio è. Più i comportamenti delle forze politiche e delle parti sociali si allontanano nella sostanza dalla linea del risanamento, peggio è.
In questa cornice torna utile la provocazione di Bill Gross. Prima o poi, dopo aver fissato le regole e ottenuto le garanzie richieste, l’Europa dovrà decidere quali e quante energie impiegare nella partita a difesa dell’euro. Per convincere la speculazione che l’euro non rischia una fine prematura o che prima o poi non si rischi un default drammatico di Bonos e Btp occorre che l’Europa politica riprenda al più presto l’iniziativa, convincendo gli irriducibili scettici alla Bill Gross.
Meglio prender atto, al più presto, che l’Europa ha in corpo grossi problemi strutturali senza farsi distrarre dalla cronaca minuta. Si torna a parlare di una richiesta di rinvio da parte della Grecia e della pronta reazione negativa della Germania. È un balletto che va avanti da anni e che ormai non attrae più i mercati. Meglio essere onesti: prendere atto che la riduzione dello stock di debito richiederà molti anni anche in presenza di una monetizzazione, cui si piegherà la Germania, che alla fine risulterà essere piuttosto aggressiva. In un ambiente internazionale sempre più complicato: gli acquisti di titoli da parte della Bce non potranno andare avanti molto a lungo senza che qualcuno in Germania si innervosisca e ne chieda la sospensione. Gli acquisti concentrati sul breve indurranno poi Italia e Spagna a emettere poco sul lungo e questo renderà più fragile e instabile il loro debito. L’avvicinarsi delle elezioni farà crescere in Germania la tentazione di dire e fare di nuovo qualcosa di ostile ai grandi debitori.
Dopo la tregua d’estate, insomma, è lecito attendersi una fase più tosta, segnata da scelte politiche tanto più difficili quanto più saranno rinviate. L’Italia dei tecnici ha il dovere di mettere il Paese di fronte al bivio: la richiesta di aiuto è sacrosanta, una classe politica che non sa nemmeno darsi una legge elettorale o affrontare i tagli alle auto blu piuttosto che alle province non può illudersi di evitare all’infinito l’appuntamento con le riforme necessarie. La Germania, invece, dovrà chiedersi quale sforzo intende fare per assumersi la leadership europea che spetta all’economia più potente e avanzata.
Scelte pesanti, da farsi nel momento più difficile: Pechino alle prese con una frenata della congiuntura e un cambio politico così complicato come non succedeva da trent’anni; gli Usa alle prese con il fiscal cliff; i Brics alle prese con la siccità, il calo delle materie prime, i vincoli strutturali che stanno esplodendo in India e altrove. Non è il migliore dei mondi possibile. Ma la catastrofe di agosto, però, non c’è stata. Le Cassandre, quando sono ascoltate per tempo, possono essere smentite.