Monti è andato a trovare Hollande, presidente francese. “Ora vedo una luce in fondo al tunnel”. Ma di che luce si tratta? Nessun chiarimento in merito. Poi vola a Helsinki, a trovare il collega finlandese. Uno dei tanti temi che riguardano l’Italia è l’incertezza della politica. “L’Italia non ha bisogno di salvataggi”, dichiara Monti. E poi aggiunge che, siccome i mercati tardano a capire il valore delle manovre italiane, allora lo spread potrebbe avere bisogno di un aiutino. E così, pure in questo caso, la politica manifesta tutta la sua incertezza. E pensare che abbiamo fatto tanta fatica per avere finalmente un tecnico alla guida dell’Italia! Finalmente un non politico; finalmente uno di cui fidarsi, anzi, uno di cui i mercati si potessero fidare. Uno che conosce bene i mercati, conosce bene l’Europa e i colleghi europei. Uno capace di parlare con linguaggio chiaro ai mercati finanziari; un tecnico in grado di fare le cose giuste, e di farsi capire dai mercati. E invece no: improvvisamente scopriamo dallo stesso Monti che “i mercati non hanno capito…”. Che abbia ragione Sallusti, direttore de il Giornale, a sottolineare i fallimenti di Monti e a chiedere che se ne vada a casa?
“Una luce in fondo al tunnel”. La frase mi è rimasta in testa, come un tarlo. Facciamo un po’ di conti. Il fondo Efsf ha una dotazione di 440 miliardi di euro. Di questi, circa 200 sono stati utilizzati per Grecia, Irlanda e Portogallo. Altri 100 sono stati di recente promessi alla Spagna. Ennesimo salvataggio inutile, sia chiaro: sia perché ne avrebbe bisogno di 300, sia perché a un Paese indebitato che ha problemi con il debito attuale, non si danno altri 100 miliardi di debito futuro. Come dare droga a un drogato in astinenza.
Il fondo Efsf comincia a essere a corto di carburante, e siamo ancora lontani dalla soluzione. D’accordo, si sta preparando il nuovo fondo Esm. Ma la Germania si è già messa di traverso. E c’è da capirla, la Germania. Per il fondo Efsf la Germania contribuisce con una percentuale del 27%, la Francia con il 20%, l’Italia con il 18%, la Spagna con il 12%. Ma se la Spagna non contribuisce perché deve essere aiutata, e l’Italia non contribuisce perché risorse non ne ha, la quota tedesca diventa 38%, mentre quella francese diventa 28%. Ma Germania e Francia, sono in grado di contribuire? Hanno tutti questi soldi? No, ovviamente.
Si tratta di uno scenario lontano? Finora, sono otto le regioni spagnole che hanno chiesto aiuto al governo centrale per tentare di evitare la bancarotta. Ma negli stessi giorni il governo spagnolo ha approvato una manovra durissima, da 65 miliardi di euro. Una manovra che di sicuro otterrà l’effetto di deprimere l’economia spagnola. Finita la visita in Finlandia, Monti si recherà proprio in visita ufficiale in Spagna. “I mercati non hanno capito”, “vedo una luce in fondo al tunnel”. Vi prego di avvisare subito Monti. Che qualcuno avvisi Monti: la luce in fondo al tunnel si avvicina rapidamente; la luce in fondo al tunnel è un treno in arrivo.
Come aiuto a meglio comprendere i tentennamenti tedeschi, non ci sono solo i numeri di salvataggi impossibili. C’è anche un’altra matematica, quella che studia i comportamenti umani di fronte a scelte che determinano un vantaggio o uno svantaggio. Questa matematica è conosciuta come “Teoria dei giochi”. Un interessante documento compilato da Bank of America – Merrill Lynch analizza la convenienza di alcuni paesi europei a rimanere o uscire dall’euro. La cosa interessante è che ha compiuto questa analisi utilizzando proprio la “Teoria dei giochi”, resa famosa dal film “A Beautiful Mind”. Il film racconta la storia del matematico premio Nobel John Nash, principale autore e studioso della Teoria dei giochi. Tale teoria viene utilizzata per verificare il comportamento decisionale di diversi soggetti (due o più) in un ambiente in cui vigono alcune regole e condizioni, insieme a informazioni note a tutti.
Nello studio di Bank of America, sono prima messe in paragone Germania e Grecia, con un dilemma paragonabile al dilemma del prigioniero; poi sono messi in paragone tutti i principali paesi dell’eurozona, nella ipotesi di una uscita dall’Euro. La prima analisi è riportata dalla prima figura.
Risulta evidente che se la Grecia dovesse scegliere senza sapere quale sarà la scelta dei tedeschi, per massimizzare il proprio risultato, sceglierebbe “No austerity”, poiché i due risultati possibili sono +10 oppure zero, invece di +5 oppure -5. Quindi la Grecia sceglierebbe la soluzione non cooperativa. Seguendo lo stesso ragionamento, pure la Germania troverebbe logico scegliere la soluzione “No Eurobonds”, cioè la soluzione non cooperativa. E questo è il risultato importante di tale teoria: se non si conoscono le intenzioni dell’altro, in un ambiente competitivo la scelta puramente razionale è quella di non cooperare. Razionale, ma probabilmente non ragionevole. Il matematico Nash vinse il premio Nobel per l’economia nel 1994. Ma i suoi studi sono di circa 40 anni prima. Alla Bce potevano informarsi prima?
Nella seconda analisi sono messi in paragone la variazione degli indicatori economici in caso di uscita dall’euro. Risulta che il paese che avrebbe maggiore convenienza sarebbe la Germania, seguita a ruota, e questa è la sorpresa, dall’Italia. A trovarsi male, secondo questo report, sarebbero Spagna, Grecia, Irlanda. E pure, con una certa sorpresa, la Francia. Come accade troppo spesso di questi tempi, i dati e le informazioni ci raccontano una storia, mentre la televisione e i giornali ce ne raccontano un’altra.
Cosa concludere da questi studi? Il presupposto di questo aspetto della teoria dei giochi è la non conoscenza del comportamento dell’altro, che si risolve in una non-cooperazione. Secondo una prospettiva sociale, la non conoscenza stimola la paura, rende quasi ragionevole la sfiducia. E qui siamo di nuovo al cuore della questione: la mancanza di fiducia.
Non a caso, dal dibattito politico è completamente scomparsa la sussidiarietà. Il tema oggi dominante è quello della crisi, e qualsiasi argomento a essa connesso. La crisi ha messo in discussione la solidarietà, perché in Europa il principio che vige è quello della competitività, anche laddove occorrerebbe solo solidarietà. E senza solidarietà, lo spazio per la sussidiarietà si riduce a zero. Se non vogliamo ridurci come tanti don Chisciotte della Mancia a combattere contro i mulini a vento, non dobbiamo opporre la sussidiarietà alla crisi, ma dobbiamo battere prima la crisi. E la strada è una sola: quella della speranza, coltivare speranza perché cresca la fiducia.
“Lo scambio è un’azione sociale; il denaro è un meccanismo sociale; è una misura pubblica del valore, l’unità del quale non è una moneta e neppure un biglietto, ma tutte le monete e i biglietti a corso legale all’interno di una nazione sommati insieme; il denaro, per esse equo, deve essere di una quantità stabile; la stabilità può essere assicurata soltanto dalle regole e dall’autorità nazionale; se vuoi prosperità devi aver fiducia che il governo nazionale conservi la Misura del Valore; se non ti fidi del governo, puoi certamente conservare la misura della moneta nelle tue tasche, ma non potrai assicurarti i profitti che essa potrebbe farti guadagnare; e perseverare in questo stato di cose porterà gli altri, e probabilmente anche te stesso, alla rovina”. Questo scriveva Alexander Del Mar, nel 1899, nella sua opera “Storia dei crimini monetari”.
“Se vuoi prosperità devi aver fiducia che il governo nazionale conservi la Misura del Valore”. Come avere fiducia, se la speranza non è un’esperienza concreta? Come fare questa esperienza, senza una esperienza di solidarietà? Occorre una “societas”, in cui gli uomini si riconoscano “soci”, cioè amici. Che qualcuno avvisi Monti. O almeno si sparga la voce.